L’economista dell’Osservatorio sui Conti pubblici dell’Università Cattolica, Giampaolo Galli, spiega a Money.it perché in Italia l’inflazione scende più lentamente rispetto agli altri Paesi europei.
L’inflazione, nonostante il calo degli ultimi mesi, continua a essere altissima in tutta Europa. Ma in Italia ancora è più alta della media: più del 10% contro l’8,5%. Negli altri grandi Paesi del Vecchio Continente, poi, la situazione è ben diversa rispetto a Roma: in Spagna è stimata al 5,8%, in Francia al 6% e in Germania all’8,6%.
In questi Paesi negli ultimi mesi, nonostante il dato negativo di Madrid e Parigi a gennaio, l’indice dei prezzi al consumo è sceso più rapidamente rispetto all’Italia.
Perché questa differenza? E soprattutto: ha ragione Confindustria a dire che i prezzi nel nostro Paese rimarranno alti per tutto il 2023? Secondo Giampaolo Galli, economista dell’Osservatorio sui Conti pubblici dell’Università Cattolica, la situazione italiana non è preoccupante e il paragone con i vari Paesi europei va fatto in modo attento e differenziato.
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La sua previsione, in ogni caso, è di un’inflazione che scenderà rapidamente nel corso dell’anno, con le politiche monetarie della Bce che per ora, dati alla mano, non rischiano di portare alla recessione.
Perché l’inflazione in Italia è più alta che in Germania
Come Italia, secondo Galli, “abbiamo avuto minore inflazione nel 2021 rispetto agli altri Paesi europei e una un po’ maggiore nella parte finale del 2022”. Il professore ricorda come ancora a settembre, vedendo i livelli di inflazione accumulata dall’inizio del 2021, eravamo sotto la media europea e la Germania.
Poi, però, qualcosa è cambiato a partire da inizio dicembre, proprio mentre si iniziavano ad abbassare i prezzi di gas e luce trascinati dalla discesa del metano al Ttf di Amsterdam. Da quel momento in poi la nostra inflazione ha superato quella tedesca.
Il motivo, per Galli, è tecnico. “Noi - spiega - abbiamo fatto affidamento più di altri sul bonus sociale bollette, che ora copre 3 milioni di famiglie per l’elettricità e 2 per il gas: è corrisposto come sconto per le famiglie svantaggiate, ma non viene conteggiato come riduzione dell’inflazione (nonostante produca quell’effetto), a differenza della riduzione delle accise, come confermato da Istat e Ufficio parlamentare di bilancio”.
Al decrescere dei prezzi, insomma, il nostro meccanismo di indicizzazione sarebbe in qualche modo “ritardato”, perché ad esempio Arera per il mercato tutelato fa aumentare o scendere i prezzi, ma non nel momento in cui variano all’ingrosso sui mercati internazionali, affinché i consumatori non subiscano sbalzi eccessivi. In questo modo “ci vuole più tempo rispetto ad altri Paesi europei affinché la discesa dei prezzi dell’energia faccia calare il dato sull’inflazione”.
Inflazione e crisi energetica, le differenze con Spagna e Francia
Nella sostanza, quindi, la nostra inflazione è in realtà più bassa di quanto appare e non ci sarebbero differenze strutturali con la Germania, che con l’Italia condivide storicamente la forte dipendenza dal gas russo e quindi una maggiore sensibilità agli shock energetici.
I nostri prezzi sono pertanto, secondo Galli, sui livelli tedeschi. In tutto ciò il bonus sociale, seppur produca lo scarto formale tra i nostri indici, per l’economista “è una cosa importante che abbatte l’inflazione, mentre la riduzione delle accise erga omnes aumenta la domanda e aiuta Putin e la Russia, assieme agli altri Paesi da cui importiamo energia”.
Diverso il caso di Spagna e Francia, che “hanno meno interdipendenza energetica e dipendenza dal gas russo di noi, quindi ci sono motivi strutturali nella differenza d’inflazione”.
Guerra economica con la Russia, ha vinto Mosca o l’Ue?
Per Galli, comunque, l’economia italiana ed europea hanno “reagito meglio di come ci si immaginasse alla sostanziale chiusura delle forniture di gas dalla Russia”. Il docente ricorda come le previsioni disastrose sull’industria non si siano realizzate e ciò dimostrerebbe una “buona capacità di adattamento del sistema produttivo, resiliente a dispetto dello shock energetico e della guerra economica con Mosca”.
Sarebbe invece diversa la situazione per le famiglie “per cui il gas metano è indispensabile in cifre complessivamente elevate”. Quindi Galli che ora, tra completamento del rigassificatore di Piombino e installazione dei nuovi nel Nord Europa, la dipendenza europea della Russia “si ridurrà ancora e praticamente si azzererà, considerando che già ora da Mosca arriva ben poca energia”.
In tal senso anche il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin si è mostrato fiducioso, spiegando che “gli stoccaggi ci sono e non dovrebbe più esserci il rischio di rimanere al freddo e senza luce per quest’inverno: la preoccupazione rimane per l’anno prossimo”.
La previsione sui prezzi per il 2023
Per il 2023 l’economista dell’Osservatorio conti pubblici ritiene poi “improbabile” un rialzo dell’inflazione e anzi prevede che i prezzi si abbasseranno in modo rapido, almeno vedendo gli ultimi dati e proiettandoli sull’anno. Allora perché Confindustria prevede livelli d’inflazione alti per tutto l’anno?
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“Il 2023 - spiega il docente - parte con un’inflazione acquisita, cioè ereditata dal 2022, molto alta, pari al 5,1%. Quindi se da gennaio in poi l’inflazione rimanesse a zero, comunque saremmo al 5% e basta poco per arrivare al 6 o 7%. Un conto è inflazione acquisita che impatta sulla media annua, altra cosa è quella che avremo a dicembre rispetto ad ora e al momento tutto fa pensare che quest’ultima sarà bassa”.
La Bce sta aumentando troppo i tassi di interesse in Europa?
In tutto ciò, secondo Galli, finora non c’è stato un impatto recessivo dovuto al rialzo dei tassi di interesse da parte di Bce e Fed e anzi il Pil dei principali Paesi europei è previsto in tenue rialzo nel 2023.
“Le banche centrali - conclude - in una situazione come questa non hanno altra scelta che aumentare i tassi, ma l’impressione che ci sia un po’ di bluff a fin di bene, cioè abbaiano molto sperando in questo modo di poter mordere di meno dopo. Un discorso pubblico duro sull’inflazione come l’ultimo di Christine Lagarde può far calare le aspettative sui prezzi senza bisogno di aumentare troppo i tassi di interesse. In termini reali i tassi di interesse al netto dell’inflazione, quelli che contano per gli investimenti delle imprese, sono bassi, addirittura negativi, come mai prima dagli anni ’70”.
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