Bonus edilizi e frodi fiscali: nuovo intervento della Cassazione sul sequestro dei crediti

Antonella Ciaccia

03/12/2022

Bonus edilizi e sequestrabilità dei crediti ceduti alla banca. La Cassazione conferma il suo orientamento: solo la prova di buona fede e dell’ordinaria diligenza impediscono il sequestro preventivo.

Bonus edilizi e frodi fiscali: nuovo intervento della Cassazione sul sequestro dei crediti

La terza sezione penale della Corte di Cassazione interviene su un caso di frode fiscale relativo alla cessione di crediti edilizi inesistenti con una decisione che non passerà inosservata.

Con sentenza n. 45558 del 16 novembre 2022, depositata due giorni fa, la Suprema Corte prende nuovamente posizione in merito al meccanismo del cd. Superbonus e al sequestro dei crediti ceduti alla banca. Nella fattispecie viene accolto il ricorso di un Pubblico Ministero per l’annullamento di una ordinanza che aveva disposto il dissequestro di crediti di imposta maturati per interventi edilizi inesistenti e sui quali era seguita la cessione.

Il nuovo intervento della Suprema Corte riguarda dunque la cessione di un credito inesistente e sancisce come il credito d’imposta acquisito dal cessionario risulta sequestrabile dal giudice penale se il cedente beneficiario non aveva diritto al bonus per non aver sostenuto alcun costo di lavori edilizi mai effettuati.

Per i giudici, trattandosi di profitto del reato, solo la prova della buona fede e dell’ordinaria diligenza impediscono il sequestro preventivo.

Il meccanismo della cessione dei crediti edilizi

Non è affare semplice sbrigare le matasse che si sono create intorno al meccanismo della cessione dei crediti edilizi messo a punto con l’art. 121 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio).

In questa norma è stabilito che i soggetti che sostengono spese per determinati interventi, che siano di recupero del patrimonio edilizio, di efficienza energetica, di adozione di misure antisismiche, di recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, di installazione di impianti fotovoltaici, di installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, di superamento ed eliminazione di barriere architettoniche), negli anni di riferimento (2020, 2021, 2022, 2023 e 2024), possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente:

  • per il cd. sconto in fattura, ossia un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione;
  • per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini (più volte modificati) del comma 1, lett. b), o di essere portato in compensazione con debiti erariali.

Con il primo dei criteri qui sopra citato, chi ha commissionato gli interventi che rientrino tra quelli indicati, rimane titolare di un proprio credito d’imposta, ma ne subisce la riduzione, anche sino alla totale scomparsa, per la parte in cui le spese di intervento siano sostenute non da lui, ma direttamente dal fornitore/esecutore, sotto forma di sconto.

Quest’ultimo, per la misura corrispondente, vede allora sorgere un proprio ed autonomo credito d’imposta, che potrà portare in compensazione o, a sua volta, cedere nei termini di cui alla stessa norma.

Sentenza Cassazione n. 45558/22
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La Cassazione sulle responsabilità penali del cessionario

La Corte riconosce che dalla lettura del decreto Rilancio che ha varato i bonus edilizi, emerge l’assenza di conseguenze sul cessionario per la truffa ai danni dello Stato perpetrata dal falso beneficiario. E al cessionario la norma non impone alcuna verifica specifica sulla condotta del cedente.

Per tale ragione interviene, affermando che anche i crediti di imposta ceduti ai sensi dell’art. 121 del Decreto Rilancio, relativa alla disciplina del “Superbonus 110%”, possono dar luogo, in quanto derivanti direttamente dal diritto originario in capo al committente alla detrazione d’imposta di costi in realtà non sostenuti, al delitto previsto dall’art. 10-quater, comma 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, ovvero indebita compensazione, se utilizzati in compensazione dal cessionario, avendo natura di crediti non spettanti o inesistenti.

Validità delle comunicazioni inviate alla Piattaforma per la cessione dei crediti

Come rilevato dal Pubblico Ministero e poi confermato dalla Cassazione, le comunicazioni inviate alla Piattaforma per le cessioni dei crediti dell’Agenzia delle entrate non rappresentano né sostituiscono gli atti contrattuali di cessione del credito intervenuti tra le parti, che restano disciplinati dalle pertinenti disposizioni civilistiche.

Si evidenzia come la comunicazione rappresenti lo strumento con cui un soggetto rende noto all’Agenzia delle Entrate di aver ceduto un credito di imposta ma che la presenza di un credito sulla Piattaforma non implica in alcun caso il riconoscimento della sua esistenza e dell’effettiva spettanza della detrazione da cui lo stesso trae origine.

È evidente che la comunicazione della cessione da parte del falso avente diritto sulla Piattaforma delle Entrate, non rende nuovo né autonomo dall’illecito del cedente, il credito d’imposta acquistato dal cessionario.

Sequestro funzionale alla confisca nei confronti del terzo estraneo al reato

Chiarisce la Cassazione che ciò che impedisce il sequestro preventivo del bonus, presente nel cassetto fiscale del cessionario prima della compensazione, è la sua condizione di «persona estranea al reato».

L’estraneità però non deriva solo dall’acclarata buona fede di chi acquista l’agevolazione dal truffatore, ma anche dall’aver agito con la richiesta diligenza: come la verifica delle segnalazioni Uif di Banca d’Italia che nel caso concreto sussistevano.

Infatti, la legge penale non considera persona estranea al reato chi ne ha tratto un vantaggio ed è perciò sottoposto al sequestro di quello che è il profitto del reato.

Prova di buona fede e ordinaria diligenza impediscono il sequestro preventivo

Alla luce del mutato presupposto giuridico che aveva indotto i giudici del Riesame ad accogliere la richiesta di revoca del sequestro proposta dal cessionario, è opportuno domandarsi se si possa o meno confermare quello stato soggettivo di buona fede che aveva indotto i suddetti giudici a ritenere esente da qualsiasi rimprovero il comportamento complessivo posto in essere da parte del cessionario.

Nella sentenza in esame, la Suprema Corte rimane stabile nell’affermare il principio secondo cui in tema di confisca, rientra nella nozione di «persona estranea al reato», (in danno della quale non possono essere confiscate cose o beni ad essa appartenenti ai sensi dell’art. 240, comma terzo, cod. pen., richiamato dall’ultimo comma dell’art. 2641 cod. civ.), il soggetto che non ha concorso alla commissione del reato, né ha tratto vantaggio dall’altrui attività criminosa, serbando una condotta in buona fede.

Gli Ermellini, del resto, hanno aderito all’orientamento secondo cui, in tema di sequestro preventivo ai fini di confisca, è persona estranea al reato, il soggetto che non abbia ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere - con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta - l’utilizzo del bene per fini illeciti.

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