Ancora piena di punti interrogativi, la Brexit sta causando gravi danni all’economia del Regno Unito, quantificabili in 800 milioni di sterline a settimana secondo Bank of England, che allerta: “Le cose potrebbero peggiorare”
Dopo la vitoria dei ’leave’ al referendum del 2016, il Regno Unito ha inaugurato un lungo processo di indebolimento della sterlina, accompagnato da anni di incertezze che hanno pesato sull’attività economica del Paese e innescato un crollo degli investimenti.
È più o meno questa l’analisi che fanno economisti e osservatori di tutto il mondo, e non è molto diversa da quella realizzata in mattinata da Bank of England, la banca centrale del Regno Unito. Con una rilevante differenza, ovvero la quantificazione del danno: secondo la BoE infatti la Brexit costa 800 milioni di sterline a settimana, ovvero 1 miliardo di dollari.
Si tratta di una cifra che colpisce, ma è seguita da dati inequivocabili: l’economia si è ridotta del 2% rispetto ai volumi che si sarebbero prodotti in caso di ’remain’, per una produzione economica persa, dal referendum in poi, che vale ovvero 4,7 milioni all’ora (circa 800 milioni di sterline a settimana).
Conseguenze che potrebbero anche aggravarsi visto lo stallo attuale e i dubbi che circondano l’uscita, specie per quel che riguarda la tematica cruciale relativa ai rapporti commerciali con l’UE.
La Brexit costa all’UK 1 miliardo di dollari a settimana secondo la BoE
Durante gli ultimi 3 anni, la Gran Bretagna ha continuato a vendere beni e servizi nell’Unione europea, il suo principale partner commerciale, confidando nella negoziazione dei tratti del divorzio da parte dell’esecutivo britannico.
È stato quindi relativamente facile per le società del Regno Unito assumere lavoratori dell’UE e mantenere catene di approvvigionamento che attraversano i confini nazionali.
Ma ora, in totale mancanza di chiarezze sul futuro commerciale del Paese, diventa molto difficile per le aziende pianificare. Sulla scia di queste incertezze, gli investimenti sono in stallo e molte aziende hanno speso milioni nella pianificazione del “caso peggiore”.
Il rischio che il Paese lasci l’Ue senza un accordo è ancora vivo, e la BoE ha dichiarato che le ricadute di un simile scenario sarebbero peggiori rispetto alla crisi finanziaria del 2008.
Brexit: il grande rallentamento
Il Regno Unito è stata l’economia del G7 che ha mostrato la crescita più rapida prima del referendum del 2016. Da allora, quella crescita economica è dimezzata.
Gli investimenti delle aziende si sono bloccati, registrando un +3,7% nel 2018 a fronte del +6% segnato dai restanti Paesi del G7, con la fiducia delle imprese crollata al livello più basso in quasi un decennio.
Secondo Gertjan Vlieghe, del Comitato per la politica monetaria della Banca d’Inghilterra, il motivo della notevole sottoperformance sta in primis nelle incertezze della Brexit.
La sterlina è crollata del 15% rispetto al dollaro dopo il voto del 2016, mossa al ribasso accompagnata dal notevole aumento del prezzo delle merci importate. Questo ha inevitabilmente finito per stimolare l’inflazione e impoverire gli stipendi.
In più, diverse banche hanno avviato nuove filiali in Germania, Francia, Irlanda e altri Paesi dell’UE, al fine di salvaguardare i loro affari dopo Brexit. Secondo la società di consulenza EY, ammonta a più di 1.000 miliardi di dollari il valore economico che sta abbandonando il Paese.
Da Sony a Panasonic passando per Nissan, Schaeffler e altri grandi gruppi, l’esodo risulta massiccio, anche sulla scia della minaccia hard brexit. Hard Brexit che, secondo quanto dichiarato dalla Confederazione dell’Industria Britannica, porterebbe a una vera e propria “emergenza nazionale”:
“Le aziende e tutte le realtà commerciali del Regno Unito non sono pronte per questo scenario: andiamo incontro a uno shock per la nostra economia, che sarebbe avvertito dalle generazioni a venire”.
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