Brexit, Londra paga con la recessione l’uscita dall’Ue: “È una lezione per l’Italia di Meloni”

Giacomo Andreoli

01/02/2023

Antonio Majocchi, professore di Economia e gestione delle imprese internazionali alla Luiss, spiega che, a tre anni dalla Brexit, il Regno Unito è in crisi e la spinta per tornare nell’Ue crescerà.

Brexit, Londra paga con la recessione l’uscita dall’Ue: “È una lezione per l’Italia di Meloni”

A tre anni dalla Brexit il 57% dei britannici si dichiara scontento, le aziende fuggono e l’economia va verso la recessione. A dipingere questo scenario sono i dati e le previsioni macroeconomiche sul Regno Unito, ma anche la media degli ultimi sondaggi sull’uscita dall’Unione europea, che si è completata nel gennaio 2020.

Antonio Majocchi, professore di Economia e gestione delle imprese internazionali alla Luiss dice a Money.it che “si iniziano a vedere gli effetti della scelta presa con il referendum del 2016 e sono significativi”. Quest’anno secondo il Fondo monetario internazionale, il Regno Unito sarà in recessione, ed è l’unico Paese del G7 per cui c’è una previsione del genere.

Questo perché lì l’inflazione colpisce più forte che nel resto dell’Occidente e si somma agli effetti del caro-energia e della pandemia, senza più l’ombrello protettivo dell’Unione europea. La previsione del docente è che nei prossimi anni, con un’economia britannica che potrebbe andare sempre peggio, la spinta della popolazione per rientrare in Ue crescerà, ma non sarà affatto facile annullare la Brexit.

Perché i britannici hanno cambiato idea sulla Brexit

Fenomeni come la Brexit - spiega Majocchi - si sviluppano nel medio-lungo periodo ed eventuali effetti negativi non si vedono il giorno dopo. Per questo nei primi mesi dopo l’uscita ufficiale si diceva ’va tutto bene, non cambia nulla’. Ora le cose sono diverse”.

Secondo il professore, infatti, “le piccole e medie imprese prima esportavano molto e ora hanno difficoltà enormi: tanto reddito in meno e molta burocrazia in più, con un export sensibilmente ridotto”. Alcune medie e grandi imprese, invece, “hanno trasferito all’estero le attività le produttive: l’effetto paradossale è che conviene di più investire in Europa, ci stiamo avvantaggiando noi”.

Altro aspetto, segnala il docente, è che “non solo le merci circolano meno, ma anche persone e capitali: la promessa di Boris Johnson era ’ci accordiamo con altri paesi’, ma nel commercio internazionale nessuno ti apre il mercato gratuitamente e le dimensioni del mercato sono importanti: l’Ue ha 320 milioni di consumatori, la sola Uk molto meno”. Insomma, “non volevano prendere ordini da Bruxelles, ma ora sono soli e contano meno, con la sterlina che ha perso parte della sua forza e la manifattura che ne risente: si sono sparati sui piedi”.

Brexit tre anni dopo, “una lezione per l’Italia”

Per Majocchi, quindi, questa vicenda nasconderebbe una “lezione per l’Italia e per i Paesi europei: esistono fattori su cui i singoli paesi non ce la fanno, solo assieme sulle grandi sfide si può fare qualcosa”. Inoltre “senza l’Ue aumenta l’instabilità politica: lo dimostrano i molti governi e i tanti scioperi negli ultimi anni in Inghilterra”.

Nel 2016 l’attuale presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni elogiava la Brexit, ma ora, rileva il docente “mi pare evidente che abbia cambiato idea, rendendosi conto che serve la sponda dell’Ue: tutto il cosiddetto sovranismo europeo dovrebbe fare lo stesso”.

Il Regno Unito può tornare nell’Unione europea?

In queste condizioni è possibile per il Regno Unito fare marcia indietro e tornare nell’Ue. “Non sarà semplice - prevede il professore - hanno parlato male dell’Europa e non è detto che l’Ue li voglia indietro, anche se non c’è uno stigma contro il Regno Unito. Sicuramente non si potrà tornare indietro in tempi brevi, ma secondo me nell’Uk ogni anno ci saranno sempre più persone che si renderanno conto dell’errore commesso e l’economia britannica potrebbe andare ancora peggio”.

Tra i fattori che possono peggiorare l’attuale crisi c’è un eventuale problema dell’Irlanda del Nord che esplode di nuovo o un ulteriore referendum per l’indipendenza della Scozia. Quanto all’uscita di Edimburgo dal Regno Unito e il suo ingresso in Ue, per Majocchi sarà difficile, perché sarebbe “un’operazione economicamente non neutra, visti gli ingenti trasferimenti da Londra alla Scozia”. L’ingresso di quest’ultima in Ue porterebbe poi al ritorno dei fondi strutturali comuni, ma “gli spagnoli sono contrari per la questione della Catalogna, che potrebbe prendere Edimburgo a esempio”.

Per questo, conclude il professore, “la soluzione migliore sarebbe il ritorno di tutto il Regno Unito nell’Unione europea, in ogni caso non scommetterei sulla crescita dell’Uk nei prossimi anni”.

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