Stipendio più basso? La colpa potrebbe essere di questi giorni di assenza, non retribuiti oppure pagati solo parzialmente.
Può capitare che nel corso del mese ci si astenga dallo svolgimento dell’attività lavorativa, tuttavia generalmente le giornate non lavorate vengono comunque pagate in busta paga.
Merito di ferie, permessi e altre forme di congedo, che permettono al lavoratore di assentarsi mantenendo il diritto, a tutto o una parte, alla retribuzione.
Tuttavia, ci sono delle giornate di assenza che non vengono pagate al lavoratore, riducendo così l’importo dello stipendio. Se quindi hai una busta paga più bassa rispetto a quella attesa, la ragione potrebbe essere proprio questa.
A tal proposito, possiamo distinguere le assenze non retribuite in due diversi insiemi: da una parte quelle che il lavoratore non può giustificare con una valida motivazione, dall’altra quelle che riferiscono ad assenze che pur essendo giustificate fanno riferimento a permessi o aspettative non retribuite.
Assenza ingiustificata
Non è retribuita e non è coperta da contribuzione l’assenza ingiustificata, ossia quella che com’è facilmente intuibile dal nome non presenta una valida giustificazione.
Si considera quindi come assenza ingiustificata quella del lavoratore che non avverte l’azienda con congruo anticipo della sua non presenza al lavoro e che nelle giornate successive non riesce neppure a fornire una valida documentazione del perché ciò non è stato fatto.
Si tratta della forma di assenza più grave, dal momento che laddove fosse reiterata potrebbe rappresentare una valida motivazione per far scattare il licenziamento per giusta causa. Senza dimenticare poi che in Parlamento è in esame una proposta che se approvata farà sì che la quinta assenza ingiustificata reiterata sarà considerata al pari delle dimissioni.
Permessi non retribuiti
A differenza dell’assenza ingiustificata, i permessi - o congedi e aspettative - non retribuiti, pur non prevedendo alcuna retribuzione in busta paga consentono perlomeno di giustificare l’assenza, scongiurando così il rischio di essere licenziati.
A tal proposito, rientrano in questa categoria:
- permessi per la malattia del figlio: senza alcun limite nei primi 3 anni di vita del figlio (e nel pubblico impiego i primi 30 giorni vengono persino pagati), mentre tra i 3 e gli 8 anni ne spettano 5 giorni l’anno per ogni genitore;
- aspettativa non retribuita richiesta per gravi motivi personali e familiari, che ad esempio può essere richiesta in caso di infermità del coniuge, del convivente o di un parente fino al II grado. Sono comunque i singoli Ccnl a indicare più specificatamente le ragioni per cui il lavoratore può usufruirne. Può essere continuativa o frazionata, ma comunque non può superare i 2 anni. Superato questo termine, quindi, il lavoratore è esposto al rischio di licenziamento;
- aspettativa richiesta per lo svolgimento di altre attività, come ad esempio per dedicarsi ad attività formative (massimo 11 mesi, da non confondere con i permessi studio) riservata a chi è in azienda da almeno 5 anni, oppure per svolgere una carica pubblica elettiva (in tal caso vale per tutta la durata del mandato), per fare volontariato (90 giorni in un anno, al massimo 30 continuativi).
Permessi retribuiti ma non al 100%
Ci sono poi delle forme di permesso o congedo che consentono tanto di mantenere il diritto alla retribuzione quanto al posto di lavoro ma che comunque riducono lo stipendio. In queste giornate, infatti, al dipendente è riconosciuta una quota parziale della retribuzione solitamente percepita. È il caso, ad esempio, di:
- permessi per malattia, in quanto l’indennità Inps è pari al 50% della retribuzione dal 4° al 20° giorno di malattia, al 66,66% dal 21° al 180° giorno. Tuttavia, ci sono Ccnl che prevedono che il datore di lavoro debba integrare questa percentuale, riconoscendo dunque un importo maggiore (in alcuni casi pari allo stesso stipendio);
- congedo di maternità, pagato all’80% della retribuzione ma per il quale vale lo stesso discorso fatto per l’indennità di malattia. Ci sono Ccnl, infatti, dove le aziende devono farsi carico della quota mancante, non prevedendo così alcuna differenza rispetto al periodo lavorato;
- congedo parentale, tanto per il padre quanto per la madre i giorni di assenza presi da entrambi i genitori per prendersi cura del bambino nei suoi primi anni di vita sono retribuiti al 30% della retribuzione e nemmeno tutti. Sono retribuiti, infatti, un massimo di 9 mesi di congedo, per un massimo di 6 mesi per genitori. Quelli che eccedono questo limite (restando comunque entro le 11 mensilità complessive per ogni genitore) non sono retribuiti. Ricordiamo però che per chi rientra dal congedo di maternità nel corso del 2024 i primi 2 mesi di congedo sono retribuiti all’80%.
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