C’è una voce non indicata in busta paga molto importante per il dipendente: i contributi a carico del datore di lavoro utili per andare in pensione. Sai a quanto ammontano?
Ti sei mai chiesto quanto costi davvero al tuo datore di lavoro? D’altronde questa informazione non è specificata in busta paga, in quanto ci sono voci che non sono indicate.
Una di queste è il costo dovuto dal datore di lavoro per il versamento dei contributi previdenziali del dipendente, al fine di assicurargli una copertura previdenziale, ossia di maturare i requisiti contributivi necessari per raggiungere il diritto alla pensione.
Questa voce è tra quelle che più incidono sul costo per dipendente a carico dell’azienda, la quale allo stesso tempo è obbligata anche a farsi carico dei premi assicurativi Inail per dare copertura in caso di infortuni sul lavoro.
Tant’è che prima di assumere, i datori di lavoro vogliono sapere se ci sono incentivi e sgravi per risparmiare su questa voce. E non è un caso che spesso sono i giovani di età inferiore ai 30 anni a essere particolarmente ricercati: esiste infatti uno strumento, conosciuto come contratto di apprendistato, che nei primi anni consente al datore di lavoro di abbattere il costo dovuto (ma al lavoratore è comunque assicurata la copertura previdenziale).
Quanto paga il datore di lavoro per assicurarti una pensione?
Oggi l’aliquota contributiva, ossia la percentuale dello stipendio che va versata a titolo previdenziale, è pari al 33% dell’imponibile lordo nella generalità dei contratti di lavoro.
Ciò vale per tutti i lavoratori assicurati al fondo pensioni lavoratori dipendenti, la cosiddetta AGO, con la sola eccezione degli iscritti al:
- Fondo di quiescenza degli iscritti all’Istituto Postelegrafonici (IPOST), dove è pari al 32,65%;
- il Fondo volo (a seconda dell’anzianità assicurativa e dell’adesione o meno a fondi complementari di previdenza), dove è compresa tra il 37,7% e il 40,82% a seconda dell’anzianità;
- Fondo pensioni lavoratori spettacolo, ma solo per ballerini, tersicorei, coreografi e altri, per i quali è del 35,70%.
Tuttavia, una parte dei contributi è a carico del lavoratore, mentre l’altra del datore di lavoro il quale è l’unico soggetto obbligato per legge al versamento della contribuzione dovuta, con l’obbligo di dover recuperare la quota del lavoratore in sede di calcolo delle retribuzioni mensili.
Nel dettaglio, generalmente l’aliquota è così suddivisa tra dipendente e datore di lavoro:
Settore | Dipendente | Datore di lavoro |
---|---|---|
Privato | 9,19% | 23,81% |
Pubblico impiego | 8,80% | 24,20% |
Solamente la prima aliquota viene caricata in busta paga, per quanto nel 2024 sia previsto un taglio del 7% o 6% per coloro che rispettivamente hanno una busta paga il cui importo lordo non supera i 1.923 e i 2.692 euro. In tal caso, quindi, l’aliquota a carico del dipendente si riduce al 2,19% (1,80% nel pubblico) e al 3,19% (2,80%) con la parte mancante a carico dello Stato così da scongiurare penalizzazioni sulla pensione.
Lo sgravio, invece, non si applica sulla parte a carico del datore di lavoro, il quale quindi versa, nel settore privato, il 23,81% della retribuzione lorda a titolo contributivo.
Su uno stipendio lordo di 1.000 euro, dunque, ne deve altri 238,10 euro all’Inps, mentre con uno stipendio di 2.000 euro il costo raddoppia: 476,20 euro al mese sono dovuti per garantire una pensione al dipendente.
Ed è importante sapere che esistono dei limiti di retribuzione giornaliera. Nel dettaglio, la legge stabilisce che la contribuzione dovuta debba essere calcolata almeno su 56,87 euro (equivalente del 9,5% dell’importo del trattamento minimo mensile di pensione) di retribuzione giornaliera, anche nel caso in cui sia inferiore. Di contributi, quindi, si versano almeno 13,53 euro al giorno.
Le possibilità di risparmio
Come anticipato, però, ci sono delle opportunità di risparmio. Ad esempio, in caso di assunzione con contratto di apprendistato (riservato a chi ha un’età compresa tra i 18 e i 29 anni). Qui, per i datori di lavoro con numero di addetti pari o inferiore a 9, l’aliquota complessiva è del 10% ma è ridotta di 8,5 punti percentuali (scendendo così all’1,5%) nel primo anno di contratto, di 7 punti (3%) per il secondo anno e di 5 punti (5%) a partire dal 25° mese.
Anche lato dipendente l’aliquota contributiva si riduce. L’apprendista, infatti, paga il 5,84% della retribuzione imponibile per tutta la durata della formazione (e anche nel primo anno di trasformazione in contratto a tempo indeterminato).
Ma ci sono anche gli sgravi contributivi, ossia delle misure che consentono di risparmiare sulla quota di contributi dovuta. Ne è un esempio lo sgravio riservato a chi assume giovani under 30 al primo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con il quale si abbatte del 50% la quota di contributi dovuta fino a un massimo di 3.000 euro su base annua.
Come pure lo sgravio al 50% (senza limiti di importo) riservato alle donne di almeno 50 anni disoccupate da oltre 12 mesi, oppure a quelle di qualsiasi età disoccupate da almeno 24 mesi oppure da almeno 6 mesi ma residenti in area svantaggiata, oppure con l’assunzione prevista in un settore economico caratterizzato da un’accentuata disparità occupazionale di genere.
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