Troppi pacifisti impreparati sulle cause economiche dei massacri in corso: oggi si fatica a intravedere un forte movimento pacifista.
Che i fanatici del più ottuso atlantismo stiano inquinando il dibattito sulla guerra con un idealismo da terza liceo, ormai al limite della parodia, è un fatto conclamato. Ad avviso di questi sedicenti figli di Kant, il boom della spesa militare occidentale si spiegherebbe esclusivamente con l’altissimo proposito di difendere la libertà e la democrazia nel mondo, giammai gli affari. I campioni di grottesco, tra questi crociati della guerra, sono forse i liberisti filo-americani.
Usciti ideologicamente acciaccati dalla grande crisi economica e vogliosi di riciclarsi, i cantori del laissez-faire dimenticano i loro vecchi entusiasmi per l’ingresso della Cina nel WTO e chiudono gli occhi dinanzi alla svolta degli Stati Uniti verso la politica del “friend shoring”, un protezionismo unilaterale aggressivo che è alla base degli attuali venti di guerra. L’involontaria comicità liberista è ormai senza freni.
Anche dal lato dei pacifisti, tuttavia, bisogna ammettere che le cose non vanno benissimo. Nelle loro argomentazioni c’è ancora molta retorica e poca analisi materiale dei fatti, il che non aiuta a fronteggiare le mistificazioni dei guerrafondai.
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