È stato fatto un ulteriore passo verso l’apertura delle case di comunità. Cosa sono e quali servizi svolgeranno? Su carta tali strutture sembrano essere una vera riforma sanitaria nazionale.
Le case di comunità sono il primo passo verso un’attenzione maggiore sul diritto alla salute dei cittadini. Dopo due anni di pandemia, il messaggio è arrivato forte e chiaro: la sanità va riformata, aggiornata e ripensata a partire dalla prossimità. Le case di comunità hanno proprio questo obiettivo, con l’aggiunta di evitare il sovraccarico delle strutture di pronto soccorso. L’obiettivo è agire su più fronti, da una parte diminuendo la pressione dei soccorsi rapidi, dall’altra di aumentare il controllo sanitario locale e garantire un più facile accesso a diagnosi e cure preventive.
Un piano che su carta è descritto nel Pnrr, nella visione della sanità del territorio. I primi investimenti in tal senso saranno garantiti proprio dal piano di rilancio europeo attraverso il Next generation EU, con l’utilizzo di 2 miliardi di euro per la costruzione e la rivalutazione di 1.350 strutture.
Le case di comunità saranno gestite in presenza e in versione telematica, con il lavoro di almeno 30-35 operatori sanitari, da medici specializzati, medici di base e infermieri. Nella struttura sarà disponibile anche uno sportello sociale e diversi uffici amministrativi per prenotazioni di visite, oltre che hub vaccinali. In pratica è una riforma del sistema sanitario nazionale che punta a rafforzare la presenza sul territorio, almeno ogni 40-50 mila abitanti.
Cosa sono le case di comunità e a cosa servono
Le case di comunità sono un progetto di natura fisica, cioè una vera e propria struttura medica di riferimento territoriale e di prossimità, ma allo stesso tempo vedrà aumentata la telemedicina, cioè il confronto con il medico direttamente da casa. Lo scopo, evidente dopo i due anni di pandemia, è rafforzare le capacità digitali, diminuire la pressione sugli ospedali e i pronto soccorso, ma soprattutto rispondere in tempo alle esigenze dei cittadini di tutte le fasce d’età e di reddito.
Le diverse regioni avranno a disposizione i fondi previsti dal Pnrr (2 miliardi) per recuperare gli immobili dismessi e allestire 1.350 case di comunità su tutto il territorio nazionale. Ne è prevista una ogni 40-50 mila abitanti, con all’interno 30-35 operatori sanitari, amministrativi e assistenti sociali a garantire la prestazione. I medici saranno gli stessi di famiglia che il territorio già conosce, così come anche i pediatri. Da 7 a 11 invece gli infermieri, un assistente sociale e 5-8 unità di supporto socio-sanitario e amministrativo. Potrebbero essere presenti anche psicologi, riabilitatori e ostetrici.
Le strutture saranno aperte 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per attività di ambulatorio, compresi festivi e domeniche. Oltre a evitare pressione sugli ospedali, tali strutture avranno come obiettivo principale la “prossimità”. Ci saranno quindi servizi di monitoraggio delle cronicità (ecografo, elettrocardiografo, retinografo, oct, spirometro), servizi ambulatoriali per patologie ad alta prevalenza (cardiologo, pneumologo, diabetologo, ecc.) e prevenzione collettiva, da screening a vaccinazione.
Case di comunità: la rivoluzione sanitaria dell’Italia
Sul sito del progetto “Case di comunità” si legge che la riforma sanitaria, oltre la prossimità, avrà come obiettivi la riduzione del divario di cittadinanza e la parità di genere. In questa direzione non vanno solo le iniziative e i servizi all’interno delle nuove strutture, ma anche il ruolo dei medici di famiglia e i pediatri.
A questi specialisti sarà richiesto di aggiornarsi tanto nell’uso della tecnologia, quanto nelle competenze di team e individuali. Sono un tassello essenziale della riforma sanitaria, resosi necessario in seguito alla carenza di operatività durante la pandemia. In questa nuova versione del lavoro del medico generale saranno richieste 18 ore di lavoro presso la casa di comunità e 20 ore settimanali presso il proprio studio.
Cambia, con questo nuovo ruolo, il volto e l’immagine dei medici di famiglia. Insieme all’apertura delle case di comunità la riforma sanitaria si appresta a essere un modello di sanità che punta al diritto alla salute, punto di partenza del diritto alla vita.
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