Il Comune di Campione, socio unico, si è reso economicamente indipendente dalla Casa da Gioco, che a sua volta ha ridotto personale e spese. «Mai più stipendificio».
Ci eravamo abituati a un paese fronte-lago, tutto bandiere e striscioni e voci alte di protesta sulla piazza: un ex popolo ricco che improvvisamente diventava povero, riunito per giorni e settimane a imprecare contro «scelte scellerate» e un futuro che moriva. Perché, tre anni e mezzo fa, questa e sola era Campione: gente che lavorava al Casinò e con il proprio privilegio e uno stipendio d’oro tirava egregiamente avanti una famiglia. Fino a che, dinnanzi a una sentenza inaspettata e il fallimento dichiarato della propria fonte di guadagno, mostrava alle televisioni il proprio volto sconcertato, gridando all’ingiustizia.
Il nuovo volto di un paese fiero
Cambio immagine. Eccola, oggi: Campione d’Italia dignitosa e ordinata, in coda davanti alla Casa da gioco che infine riapre, ammessa per un giorno a riveder le slot e i tavoli che dal 26 gennaio sono di nuovo operativi. Luci, colori, il profumo del denaro e tutto che sembra uguale a prima. Invece no: tutto diverso, giurano. Non avrebbe altrimenti il tribunale ritirato il suo provvedimento, e consentito di provare per altri cinque anni secondo un piano concordato. Poi, se i debiti verranno ripianati, via libera: ma come prima, tutti d’accordo, non si tornerà mai più.
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Quaranta milioni di «folli pretese»
E ciò ben venga, dice chi siede nei posti che di nuovo contano. «Basta stipendificio, ora siamo una vera azienda», garantisce l’amministratore delegato: quel Marco Ambrosini che c’era anche nell’estate 2018, chiamato a far miracoli poco prima che tutto andasse gambe all’aria. Lui, assicura, aveva provato a far restare tutto in piedi; poi, dinnanzi alle resistenze di un’amministrazione comunale «che non voleva fare la propria parte e abbassare le sue folli pretese», aveva rassegnato le proprie dimissioni. «Furono rifiutate. Male. Fui costretto a rimanere in sella ancora un mese. Certo non immaginavo una situazione così disperata». Quaranta milioni da versare ogni anno al Comune socio unico e introiti che non lo consentivano, debiti vecchi di anni da ripagare che invece incrementavano.
«I bei tempi sono finiti»
Adesso sorride, però, l’ad ingegnere, rinfrancato dalla ripartenza. «Nonostante tutto - confessa Ambrosini, già presidente di Villa Erba di Cernobbio per Fiera Milano - non ho mai riposto il pensiero. Il tempo mi ha dato ragione». Quello che passava lento e inesorabile, assottigliando via via le speranze, mentre lui «e un gruppo di amici che mi sostenevano a titolo gratuito» facevano calcoli e ipotesi e infine riuscivano a convincere la magistratura. Addio remunerazioni stellari, addio personale fuori di misura. Così semplice nella sua sintesi, la soluzione. E uguale nelle bocche di tutti: «I bei tempi sono finiti», conferma il nuovo sindaco, Roberto Canesi: che, a differenza del suo predecessore Roberto Salmoiraghi, ha accettato il «sacrificio necessario» . Ha consentito alla riduzione degli importi destinati al Municipio, «accontentandosi» di 7 milioni e mezzo in cinque anni invece di 200 come sarebbe stato prima. «Ora sì - dice Ambrosini - che si ragiona».
Da 100 a 17 dipendenti in Municipio
Ma Canesi poi non si è fermato lì. Non sarebbe stato sufficiente. «A quel punto, per l’amministrazione era necessario rendersi economicamente indipendente dal Casinò, con i cui proventi in precedenza programmava di coprire costi esorbitanti». Così ha tagliato la spesa incomprensibile dei dipendenti di un piccolo Comune, passato da oltre un centinaio di impiegati a 17 oggi che, sorpresa ma anche no, bastano e avanzano. Risultato: fine dei bilanci in rosso.
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D’ora in poi si fa da sé
Eppure il dubbio ancor resta. Possibile che, al netto dei ridimensionamenti verso il basso, ce la si possa far davvero? Eccome, garantisce il sindaco. «Il bello è questo: se anche il Casinò non riuscisse a pagare i creditori, come stabilito dal Tribunale, e se di qui a cinque anni fallisse in via definitiva, il Comune sarebbe in grado di andare avanti da solo», dice con fierezza, raccontando di persone che non sono quelle viste nel 2018 sugli schermi, piagnucolose e cariche di desiderio di non far null’altro che elemosinare status quo e favori. «L’opinione pubblica ci era ostile, poi pian piano ha cambiato atteggiamento: perché ci siamo rimboccati le maniche. È così che l’abbiamo fatta».
Nessuno ci avrebbe scommesso
In poco tempo, in fondo; fra lo scetticismo generale di chi, pur nel paese dell’azzardo, sui conti in ordine non avrebbe scommesso nemmeno una moneta. «Neanch’io lo immaginavo, tanto presto. Ma provarci era doveroso. Era obbligatorio». Et voilà: un contributo di Stato fino al 2046, la pianta organica bloccata fino almeno a metà dell’anno prossimo, la rinegoziazione del mutuo dello stabile del Casinò, di cui il Comune è proprietario, «senza oneri aggiuntivi». Si ricomincia.
In arrivo opere pubbliche e negozi di lusso
I soldi in entrata dalla Casa da gioco, d’ora in poi, serviranno solo a far opere pubbliche: «Questo paese è rimasto trascurato troppo a lungo». Si riprende a vivere, magari non più in grande ma per bene; a ripristinare quei servizi che, quando tutto andava a rotoli, venivano sospesi. «L’asilo, l’assistenza sociale». Il lavoro, invece, l’ha portato ancora il Casinò, com’era quasi ovvio: 174 dipendenti, ma «i posti salgono a 230 se si considerano anche i servizi esternalizzati». Non sono i 492 del passato, ma per crescere serve pazienza: il ristorante del settimo piano, la sala eventi al nono, la galleria di negozi di alto livello che si progetta di inaugurare prima o poi all’ingresso, su modello dei grandi Casinò americani, porteranno altra occupazione. A patto di accettare che le cose cambiano, si evolvono: e non è per forza in peggio, neanche quando sembra.
Las Vegas detta la linea
«Il gioco da solo e fine a se stesso non esiste più - spiega Ambrosini - Per farlo sopravvivere, va inserito in un contesto. Per questo, una volta introdotti i due correttivi della riduzione delle pretese del comune e della esternalizzazione delle funzioni non core business, abbiamo immaginato un paradigma nuovo per questo enorme edificio, che garantirà offerte di tipo commerciale e ricreativo. Il Casinò vivrà della molteplicità della sua offerta: in questo modo riuscirà a reggersi sulle proprie gambe, a essere competitivo e produrre reddito sufficiente per garantire lavoro ed equa remunerazione».
Stipendi bassi? «Su, non scherziamo»
Nessun segreto, a tirar le somme: se non escogitare la maniera di farcela, da soli. Basta commistioni insane fra Comune e Casinò. Basta pericolose dipendenze. Però chi storce il naso, in tutto questo dire bene, c’è: ed è giusto chi ne beneficia. Per i nuovi assunti, i compensi pattuiti con il beneplacito dei sindacati non sono quelli cui si era avvezzi prima. Così la gente qualche volta mormora, mugugna. Guarda indietro. «Siamo seri, gli stipendi al Casinò sono in linea con le medie svizzere - Ambrosini scantona le polemiche - Si può guadagnare ancora molto bene. Ma se qualcuno vuol tornare a com’era prima, se lo scordi pure».
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