Insetti ma non solo: dalla carne sintetica alle alghe, vi presentiamo gli alimenti che potrebbero arrivare sulle nostre tavole
Difficile immaginare che cosa potrà esserci nei nostri piatti tra dieci anni, specialmente in un mondo in cui la tecnologia procede così rapidamente: di insetti si è già sentito parlare a lungo e le aperture (anche dal punto di vista burocratico) del mondo occidentale al consumo di larve, formiche o bruchi potrebbero incentivarne il consumo.
Intanto, la locusta migratrice e il grillo domestico, per esempio, hanno già ottenuto il via libera al consumo dall’Autorità Europea per la Sicurezza alimentare.
Resta aperto ovviamente il tema culturale, perché di quello si tratta: il cibo è in fondo cultura e tradizione, e soprattutto in Italia – malgrado chi li abbia assaggiati sia pronto a dire che gli insetti sono buoni oltreché una straordinaria fonte di proteine – sembra difficile immaginarne oggi un consumo a larga scala.
Non solo: a questo si aggiunga che molte delle intolleranze e delle allergie alimentari emerse negli ultimi anni sono proprio legate alle proteine, e quindi bisognerà capire quali insetti potrebbero favorirne di nuove.
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Eppure, sottolineano gli esperti del settore, gli insetti entrano già ora nella nostra catena alimentare: fanno parte dei raccolti, quindi durante i processi di produzione di farine, pasta, salse di pomodoro, cereali per la colazione, o altri cibi preconfezionati.
Si stima che ogni persona possa arrivare a consumare inconsapevolmente fino a mezzo chilo di insetti in un anno anche perché se ne possono trovare tracce in aperitivi analcolici, dolciumi, gelati dal classico colore rosso potrebbero contenere un estratto di insetto, aggiunto solo col fine di colorare questi prodotti.
Verso una cucina sostenibile
Tema complesso, quindi, quello degli insetti. Allora, per tornare alla domanda iniziale, che cosa finirà nei nostri piatti tra dieci o vent’anni anni?
La Fondazione Veronesi non ha dubbi: “Non solo sano, ma anche sostenibile: così dovrà essere il cibo del futuro, per dare sollievo a un pianeta sovrappopolato e in affanno. Si stima che la popolazione mondiale raggiungerà i 10 miliardi entro il 2050 e fare in modo che tutti nel mondo si possano alimentare adeguatamente e allo stesso tempo salvaguardare il pianeta è una doppia sfida”.
Meno allevamenti intensivi, più tecnologia, quindi. Ma probabilmente anche meno acqua per le irrigazioni e quindi fantasia nell’ideare prodotti nuovi commestibili. “Potrebbe avere senso in futuro ricorrere alla cosiddetta “carne sintetica” che già da diversi anni è in sperimentazione”, spiega la Fondazione scientifica.
“Si tratta, in sintesi, di carne prodotta in vitro grazie a tecniche di agricoltura cellulare, che permettono di far crescere e moltiplicare cellule prelevate da un animale vivo. Si può così evitare di allevare e uccidere un numero elevato di animali, riducendo le risorse impiegate e le emissioni prodotte rispetto agli allevamenti intensivi”, scrive Elena Dogliotti, Biologa nutrizionista.
Lo studioso di bioetica Marco Annoni, sempre per la Fondazione Veronesi, affronta il tema dal punto di vista etico.
“Lo sviluppo e l’adozione di tecniche per la produzione di carne da cellule staminali animali - dice Annoni - potrebbe rappresentare un passo importante, seppur all’interno di un quadro strategico più articolato, per costruire un futuro migliore per l’umanità, rispettoso delle altre specie animali e dell’ecosistema del Pianeta”.
Per comprendere meglio il significato di queste parole, basti pensare che secondo una ricerca dell’università olandese di Maastricht, si potrebbero produrre 175 milioni di hamburger a partire dalle cellule di una singola mucca.
Quindi, ricapitolando: insetti, carne sintetica, hamburger o salsicce a base vegetale, ma anche alghe (una pratica agricola assai utilizzata a oriente) o funghi.
Tutto questo perché, rispetto al mondo in cui siamo abituati a vivere, dove la sussistenza arriva dalla terra o dal mare, questi cibi possono essere coltivati o allevati in sistemi modulari, come delle serre sempre più evolute tecnologicamente, per esempio, che richiedono un minor consumo di suolo e potrebbero quindi essere realizzate in insediamenti e ambienti urbani.
Intanto, per iniziare ad abituarci, un primo passo è rappresentato dalle cosiddette “bistecche 3d”, in arrivo anche nei supermercati e nella grande distribuzione.
Sono formate, come la carne animale, da un 60-70% di acqua mentre la restante percentuale di ingredienti arriva da proteine (provenienti dai piselli gialli o soia), oli vegetali, aromi e coloranti naturali ed estratti di alghe utili per le fibre, mentre il succo della barbabietola può donare il colore rosso per un effetto “carne al sangue”.
Per produrla serve circa un quarto d’ora di tempo, utilizzando una stampante da desk. L’ideale per chi vuole provare la “non-carne” e ha curiosità. Ma anche tante domande cui trovare risposte.
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