Qual è la situazione tra Cina e Taiwan e quale ruolo hanno gli USA? Ci sarà davvero un’invasione armata? Lo abbiamo chiesto a Beatrice Gallelli, ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali.
La Cina attaccherà Taiwan? Lo abbiamo chiesto a Beatrice Gallelli, ricercatrice presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI) dove si occupa di studi relativi all’Asia e, in particolare, alla Repubblica popolare cinese, alla politica estera cinese, ai rapporti Italia-Cina ed Europa-Cina. La dottoressa Gallelli è ricercatrice all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna Lingua e Traduzione Cinese. Ha conseguito il dottorato di ricerca cum laude presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia nel 2019, ed è stata visiting research fellow presso la Scuola di Giornalismo e Comunicazione dell’Università di Pechino.
Quali sono gli ultimi sviluppi della crisi Cina-Taiwan? Le esercitazioni cinesi nei dintorni di Taiwan sono terminate, ora ci sono quelli che vengono definiti “pattugliamenti regolari”. Eppure, in una nota Pechino ha sottolineato come non ci sia “nessuna tolleranza per l’indipendenza” e non promette di rinunciare all’uso della forza”.
Per Gallelli in realtà da qui a breve non ci sarà un’invasione armata dell’isola: nell’analisi della questione taiwanese e della tensione alta di questi giorni bisogna cercare di avere una prospettiva più ampia. Non si è arrivati a questo punto all’improvviso: la tensione c’è da mesi, anche a causa della retorica statunitense.
Tensioni Cina-Taiwan: qual è stato (e continua a essere) il ruolo degli Stati Uniti
Uno dei primi pensieri quando c’è stata l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è andato proprio a Taiwan: il paragone è stato fatto quasi subito. La retorica statunitense ha continuato a essere molto dura nei confronti di Taiwan, ed è peggiorata con l’andare avanti della guerra in Ucraina. Le dichiarazioni del Presidente Biden hanno fatto intendere che l’approccio degli Stati dei confronti dell’isola potrebbe cambiare. Una strategia, quella statunitense, caratterizzata da una certa ambiguità: non è mai stato dichiarato apertamente l’intervento USA nel caso di un’invasione da parte di Pechino.
La visita della speaker della Camera Nancy Pelosi, la figura istituzionale di grado più alto a recarsi nell’isola in un periodo che va indietro di 25 anni, ha spostato di parecchio l’ago della bilancia degli equilibri internazionali. E infatti non tutti, sottolinea Gallelli, erano d’accordo con questa visita ufficiale. A dirla tutta, la visita di Pelosi a Taiwan era l’ultima cosa che serviva a tutto l’assetto internazionale. Lo stesso Biden, che ha avuto toni molto duri nei confronti della Cina, ha messo in dubbio l’utilità della visita a Taiwan.
Gli intrecci politici, economici e diplomatici tra Stati Uniti, Repubblica popolare cinese e Taiwan non sono così facili da districare. L’esempio che fa Gallelli per chiarire quanto siano complessi e interconnessi i rapporti tra questi paesi è quello della Foxconn, la più grande produttrice di componenti elettrici ed elettronici per aziende come Amazon e Apple. Oltre a essere tristemente nota per la quantità di suicidi dei suoi lavoratori per i ritmi serrati e disumani di lavoro, la Foxconn è un’azienda taiwanese, con cui gli Usa hanno evidenti rapporti economici, e la sua fabbrica più grande al mondo si trova a Shenzhen, in Cina.
Questo è solo uno degli esempi con cui si spiega quanto conti economicamente Taiwan non solo per gli Stati Uniti, ma anche per la Cina. Dall’altro lato Taiwan è importante anche sotto l’aspetto simbolico: è una democrazia cresciuta sotto l’ombrello degli Usa, anche se dagli anni ’70 la Cina riconosciuta a livello ufficiale e diplomatico è la Repubblica popolare cinese. Ma viste le connotazioni che il dibattito internazionale sta assumendo negli ultimi tempi, con il ritorno dello scontro tra democrazie (guidate dagli Stati Uniti) e le autocrazie (soprattutto Cina e Russia), Taiwan diventa il simbolo della democrazia che va difesa. Nancy Pelosi, durante la sua visita, ha sottolineato proprio questo aspetto.
La posizione della Cina nei confronti di Taiwan è sempre stata la stessa: nessuna tolleranza per l’indipendenza
La posizione di Pechino, guardandola in prospettiva storica, si pone in continuità: non ha mai detto che avrebbe rinunciato a Taiwan, non è argomento di discussione per la dirigenza cinese. È uno degli obiettivi per cui si è sceso a patti nel mantenere questo status quo dell’isola, ma l’indipendenza non sarebbe mai stata accettata, nemmeno nei decenni passati. È un elemento, spiega Gallelli, che viene spesso frainteso: non è che Pechino abbia iniziato a dire oggi che non accetta l’indipendenza formale di Taiwan, lo ha sempre detto.
Dopo la visita di Pelosi a Taiwan, la Cina ha reagito: non va sottovalutata, sottolinea Gallelli, la portata della questione taiwanese nel dibattito interno. A ottobre/novembre ci sarà il 20° Congresso del Partito Comunista, durante il quale Xi Jinping verrà probabilmente coronato con il suo terzo mandato. La visita di Pelosi ha servito su un piatto d’argento la questione del rafforzamento del nazionalismo. Le esercitazioni militari innescate da questa visita si sono concluse, ma hanno messo un punto solido in questa situazione: le forze armate sono pronte a reagire.
In una nota del Comando di Pechino ripresa dall’Ansa il 10 agosto si legge che «le truppe terranno d’occhio i cambiamenti della situazione nello Stretto di Taiwan, continueranno a svolgere addestramento e preparativi militari, organizzeranno regolarmente pattuglie di prontezza al combattimento e difenderanno risolutamente la sovranità nazionale e l’integrità territoriale». La Cina è disposta a «creare un ampio spazio per la riunificazione pacifica» con Taiwan, ma «non lascerà mai alcuno spazio per varie forme di attività separatiste per l’indipendenza» e «non promette di rinunciare all’uso della forza».
L’Ufficio per gli Affari di Taiwan e l’Ufficio informazioni del governo centrale hanno pubblicato ieri 10 agosto un white paper, un libro bianco intitolato «La questione di Taiwan e la riunificazione della Cina nella nuova era», nel quale si ribadisce «il fatto e lo status quo che Taiwan fa parte della Cina». Per realizzare la riunificazione pacifica, «un Paese, due sistemi è la soluzione più inclusiva a questo problema».
L’obiettivo è quello della “riunificazione” pacifica, ma come sottolinea Gallelli, non si esclude l’uso della forza. Questo è un elemento che causa una modifica dell’approccio di Pechino nei confronti della questione taiwanese non del tutto radicale: benché venga concepito l’uso della violenza per riporre Taiwan sotto il controllo di Pechino, la questione che Taiwan appartenga alla Cina non è mai stato messo in discussione. La questione taiwanese è sempre stata un aspetto cardine del progetto di ringiovanimento e rinascita della nazione cinese: un sogno da realizzare entro un centenario dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese.
“La Cina ha altre priorità, non attaccherà Taiwan”: il difficile equilibrio tra la politica interna e internazionale
Il problema sta nel come mantenere l’equilibrio in questa situazione perennemente in bilico. Il governo della Repubblica di Cina viene riconosciuto da pochissimi paesi al mondo, mentre la Repubblica popolare cinese è la Cina che in teoria, a livello diplomatico, viene riconosciuto anche dagli Stati Uniti e dai paesi europei, dagli anni ’70 a oggi.
Cos’è cambiato negli ultimi anni? Il fatto che oggi non si escluda l’uso della forza. Tuttavia, sottolinea Gallelli, questo non significa che allora la forza sia lo strumento con cui questa “riunificazione” verrà messa in atto.
Pechino su questo aspetto ha mostrato sostanziale continuità, coerenza se vogliamo, e proprio per questo sarebbe stato meglio evitare la tensione scaturita dalla visita di Pelosi a Taiwan. Tuttavia, secondo Gallelli, la classe dirigente della Repubblica popolare cinese non ha alcun interesse a portare avanti un’invasione armata in questo momento. Attualmente ci sono altre priorità, a partire dalla strategia «zero Covid» non sta funzionando benissimo, e porta con sé strascichi sia economici che in termini di malcontento popolare.
Oltre alla politica interna, nemmeno quella internazionale va a gonfie vele, come si vede dai rapporti Cina/Stati Uniti, ma nemmeno i rapporti con l’Europa sono rosei. E anche se il mondo non si ferma a Stati Uniti e Europa, è anche vero che quest’ultima rappresenta il primo mercato per l’esportazione di merci cinesi. Avere una situazione di tensione con l’Europa non è certo qualcosa che la Cina auspica, anche se si è materializzata negli ultimi anni e aggravata negli ultimi mesi con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
La Cina, quindi, ha una serie di questioni interne da gestire, e delle dinamiche economiche con l’Europa e gli Stati Uniti da preservare: ecco perché invadere militarmente Taiwan non è in cima alle priorità.
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