Ecco come disfarsi di un immobile inutilizzato attraverso la rinuncia alla proprietà, quando è possibile, come fare e quali sono i costi.
Possedere dei beni immobiliari non è tutto rose e fiori, soprattutto quando sono inutilizzabili. Non rendono economicamente, né possono essere impiegate, ma le spese continuano ad accumularsi. Sono molte le persone che si trovano in questa situazione, per lo più a causa delle difficoltà economiche che rendono insostenibile mantenere la proprietà e impossibile rimetterla in sesto.
A volte, invece, mancano proprio le voglie o il tempo di dedicarcisi e si cerca quindi una soluzione per evitare spese immotivate. Il diritto di proprietà riconosce al titolare dei poteri molto ampi, che gli permettono anche di cedere questo diritto ad altri soggetti (ad esempio con una compravendita o una donazione).
Disfarsi di un immobile inutilizzabile non è impossibile, sia per gli unici proprietari che nei casi di comunione c’è una procedura specifica da utilizzare. Bisogna, però, assicurarsi di non commettere errori. Ecco come fare.
Come disfarsi di un bene inutilizzabile
La procedura da utilizzare per disfarsi di un bene inutilizzato è la rinuncia alla proprietà. Come anticipato, i proprietari possono liberamente cedere ad altri (a titolo gratuito o meno) i propri beni, è un’espressione del loro diritto. Il meccanismo della rinuncia, ovviamente, non prevede un corrispettivo economico. Altrimenti si dovrebbe optare per una vendita, chiaramente improbabile se il bene è inutilizzabile.
La rinuncia alla proprietà si configura quindi come una donazione, ma non ha un destinatario specifico. Se la casa ha più proprietari la rinuncia di uno di loro accresce automaticamente la quota degli altri, altrimenti se l’unico proprietario rinuncia il bene passa allo Stato.
Il nostro ordinamento, infatti, non prevede che i beni siano senza un proprietario. Trattandosi di beni immobili la rinuncia è l’unico meccanismo per disfarsi del bene senza venderlo, poiché non possono essere abbandonati. Questo istituto ha ovviamente alcuni limiti, ma soffre anche di dibattiti giurisprudenziali discordanti. Si riportano qui le tesi più condivise.
La rinuncia alla proprietà
La rinuncia può essere abdicata o liberatoria. La prima comporta che il rinunciante si faccia carico delle spese sorte prima del giorno della rinuncia, senza più accumularne da quel momento in poi. La rinuncia liberatoria, invece, libera il rinunciante anche dalle spese passate – oltre che da quelle future – legate alla proprietà.
La rinuncia liberatoria è dunque la soluzione più conveniente, ma è possibile soltanto nei casi di comproprietà, salvo il rifiuto dei comproprietari. La rinuncia abdicata, invece, non deve essere accettata o resa nota, ma comporta come effetto automatico l’accrescimento delle quote o il passaggio della proprietà allo Stato.
Si tratta comunque di una soluzione efficace, perché permette di disfarsi dell’immobile ed evitare ulteriori spese, dovendo però farsi carico di quelle precedentemente accumulate. Nonostante ciò, anche la rinuncia abdicativa è sottoposta ad alcuni limiti.
Come fare
Per rinunciare a un immobile o a una quota di proprietà è necessario recarsi dal notaio, poiché la rinuncia necessita di un atto pubblico, oltre che dell’analisi del professionista per capirne la fattibilità. Se la casa è particolarmente dissestata o comunque pericolosa, è preferibile anche l’assistenza di un avvocato.
La giurisprudenza, infatti, ha raccolto parecchi precedenti discordanti in merito all’istituto della rinuncia, che peraltro non è neanche disciplinata in modo specifico dal Codice civile e non è sempre è possibile.
I costi
La rinuncia è molto conveniente, ma trattandosi di un atto pubblico prevede comunque dei costi da sostenere. In particolare, se la rinuncia avviene in favore dello Stato si sommano:
- Imposta di bollo di 230 euro;
- tassa ipotecaria di 90 euro;
- imposta di donazione dell’8% sul valore;
- onorario del notaio.
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Se l’immobile è in comproprietà, invece, si pagano le seguenti spese:
- Imposta ipotecaria pari al 2% del valore dell’immobile (o in misura fissa di 200 euro se sussistono le agevolazioni prima casa);
- imposta catastale dell’1% sul valore dell’immobile (o in misura fissa di 200 euro se si beneficia delle agevolazioni prima casa);
- imposta di donazione (secondo le aliquote e le franchigie previste per alcuni beneficiari);
- onorario del notaio.
A tutto ciò si deve poi aggiungere l’eventuale onorario dell’avvocato, che soprattutto nella rinuncia come unico beneficiario svolge un ruolo fondamentale.
Quando non si può rinunciare alla proprietà
Secondo l’Avvocatura dello Stato, la rinuncia non è ammissibile quando ha “il solo fine egoistico” di trasferire i costi onerosi sulle casse statali. Dunque, la rinuncia in favore dello Stato è nulla quando il bene:
- Ha problemi di dissesto idrogeologico che necessitano di “opere di consolidamento, demolizione e manutenzione”;
- è completamente inutilizzabile e lo Stato dovrebbe pagare per la demolizione;
- ha terreni inquinati che necessitano di bonifica.
In questi casi bisognerebbe fare il possibile per mettere l’immobile in sicurezza e poi rinunciare alla proprietà, anche perché la rinuncia non esonera dalle conseguenze penali in caso di danneggiamenti, contaminazioni e così via.
Si può rinunciare alla proprietà di un bene inutilizzabile quando non produttivo, eccessivamente oneroso nel mantenimento e nella gestione, ma non meramente per trasferire all’Erario l’onere delle spese.
La demolizione si pone come valida alternativa quando il bene manca di requisiti di idoneità o la bonifica del terreno. Se il bene ha un alto valore di mercato queste soluzioni possono rivelarsi perfino più convenienti, ma dipende dai casi specifici, dal tipo di intervento e dalla metratura. In ogni caso, non si può rinunciare alla proprietà dei beni condominiali.
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