Come si prova la violenza sessuale?

Ilena D’Errico

18 Gennaio 2025 - 23:13

La violenza sessuale è un reato molto grave e le vittime si trovano in una situazione molto delicata. Ecco come si prova in tribunale secondo la giurisprudenza.

Come si prova la violenza sessuale?

I processi penali riguardanti accuse di violenza sessuale generano spesso scalpore per le sentenze, di cui talvolta vengono strumentalizzati alcuni stralci e che altre volte contengono disposizioni a dir poco anacronistiche. Oltretutto pochi casi rispetto ai reati effettivamente consumati giungono alle aule di tribunale e ancor meno arrivano al giudizio della Cassazione, che in merito si adopera fortemente nella tutela delle vittime. È infatti consolidato nella giurisprudenza il valore probatorio della testimonianza della vittima di violenza sessuale, nel rispetto delle garanzie processuali.

Come si prova la violenza sessuale?

Molto difficilmente il reato viene provato da una prova unica e concludente, quanto piuttosto da un insieme di prove che contribuiscono in modo logico e lineare a fornire una ricostruzione attendibile della vicenda. La testimonianza della vittima ricopre un ruolo fondamentale nel processo penale, venendo valutata in modo minuzioso dal giudice in merito a credibilità, coerenza e linearità delle dichiarazioni. L’attenzione deve essere massima, visto che nel nostro ordinamento penale le dichiarazioni della vittima hanno pieno valore di prova, contrariamente a quelle dell’imputato.

Chiaramente, ciò non significa che il giudice assuma per vere tutte le affermazioni della vittima pronunciando una sentenza di condanna solo sulla base della sua versione dei fatti. La testimonianza deve infatti essere verificata dal giudice in base agli altri indizi disponibili, ma anche alla logica e alla coerenza del racconto stesso. Se la testimonianza appare attendibile, coerente e logica, può essere anche l’unica vera e propria prova su cui basare la sentenza. Ciò vale in qualsiasi processo penale e, come confermato a più riprese dalla Corte di Cassazione, anche per la violenza sessuali e i reati affini.

I chiarimenti della Cassazione sono molto importanti perché nella stragrande maggioranza dei casi la testimonianza della vittima rappresenta l’unica prova del crimine subito, che spesso avviene in modo ben nascosto. Ciò non esclude l’utilizzo di mezzi come le dichiarazioni testimoniali e le prove come le registrazioni delle telecamere di sicurezza per supportare una determinata narrazione dei fatti, anche quando non possono direttamente documentare il reato.

Per esempio, gli atteggiamenti tra la vittima e l’imputato, indicazioni sui loro spostamenti e altre circostanze simili possono sostenere la testimonianza e validarne la coerenza. Le conversazioni e i messaggi, quando presenti, sono anche estremamente utili a questo scopo e aiutano a ricostruire la vicenda quanto più fedelmente possibile. Naturalmente, quando sono presenti registrazioni video o audio la questione è per certi versi più semplice, anche se le dichiarazioni della vittima continuano a fornire elementi cruciali per la corretta interpretazione e contestualizzazione del materiale.

La refertazione medica non è invece il mezzo di prova per eccellenza, come molti ritengono erroneamente. Bisogna infatti considerare che molto spesso le vittime non chiedono alcun tipo di assistenza, che non tutti gli atti di violenza lasciano tracce concludenti e che comunque la diagnosi può raramente dare indizio sul consenso, assente o presente, della vittima. In presenza di circostanze che hanno viziato la capacità della vittima di esprimere il consenso, tuttavia, l’onere della prova risulta più semplice (sempre in riferimento al solo ambito procedurale).

Il referto tossicologico sulla somministrazione di sostanze medicinali o stupefacenti e le dichiarazioni testimoniali sullo stato di alterazione della vittima possono per esempio far emergere chiaramente l’incapacità di fornire consapevolmente il consenso. In tal proposito si ricorda che qualsiasi patto preventivo è del tutto nullo dal punto di vista giuridico, essendo il consenso all’atto sessuale necessario in ogni momento dello stesso ed espresso nel pieno delle facoltà mentali.

Il modo concreto con cui si sono svolti i fatti cambia ovviamente anche l’uso dei mezzi di prova, ma in linea generale la Cassazione considera la testimonianza della vittima sufficientemente attendibile, a meno che contrastante con dati oggettivi rilevati o in completa assenza di indizi esterni di supporto. Il giudice deve sempre motivare la propria valutazione della testimonianza, pertanto non c’è il rischio che un imputato sia condannato “solo” per accuse, che potrebbero essere infondate, prediligendo il metodo analitico. La ricchezza del contenuto e la completezza del racconto sono fondamentali, così come la soggettiva credibilità della vittima, senza automatico pregiudizio in caso di infermità mentali peraltro. Anche per questo è importante che le vittime abbiano accesso a un adeguato supporto psicologico, considerando l’impatto emotivo del processo, soprattutto della fase dibattimentale.

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