Il coniuge che si prende cura della casa e dei figli deve essere pagato?

Ilena D’Errico

07/10/2023

Il coniuge che non lavora per prendersi cura della casa e dei figli non produce reddito, quindi deve essere pagato dall’altro? Non esattamente. Ecco cosa stabilisce la legge.

Il coniuge che si prende cura della casa e dei figli deve essere pagato?

Non è ancora infrequente in un matrimonio che un coniuge rinunci al lavoro per prendersi cura della casa e dei figli. Un’attività che risulta fondamentale per la famiglia, ma che non garantisce ovviamente alcun tipo di reddito. Non si tratta quindi di un’attività lavorativa, benché richieda ore di tempo; infatti, consente in molti casi un notevole risparmio sul bilancio familiare.

È quindi naturale chiedersi se il coniuge che si prende cura della casa e dei figli deve essere pagato, dato che non produce reddito per prendersi cura dei bisogni familiari. La questione è importante per tutte le coppie, ma assume maggior rilievo in seguito alla separazione, dove vengono tirati in campo diversi diritti di natura patrimoniale.

Il coniuge che si prende cura della casa e dei figli deve essere pagato?

Quando ci si chiede se il coniuge che si occupa della casa e dei figli debba essere pagato ci si pone da una prospettiva errata della questione, valutando soltanto la spesa che comporterebbe far eseguire gli stessi compiti a un aiuto esterno.

In realtà, il coniuge che rinuncia al lavoro per occuparsi della gestione domestica e della prole adempie semplicemente al suo dovere di collaborazione e assistenza verso il coniuge e la famiglia. La legge, infatti, prevede tra i coniugi un reciproco obbligo di assistenza materiale e morale.

Il coniuge che non lavora presta la sua assistenza materiale in natura, ovvero tramite il lavoro domestico con cui collabora alle esigenze familiari, ed è comunque tenuto sostenere il coniuge anche dal punto di vista morale.

Di conseguenza, il coniuge che invece lavora e produce reddito dovrà adempiere il suo dovere di assistenza materiale provvedendo alle esigenze della famiglia dal punto di vista economico. Questo, però, non significa che l’altro abbia diritto a essere pagato direttamente.

Semplicemente, il coniuge con reddito dovrà garantire all’altro il proprio tenore di vita, provvedendo ai bisogni della famiglia, da quelli primari fino a tutti gli “extra” che le sue finanze gli consentono. Il coniuge ha quindi un certo diritto sui soldi dell’altro, ma non può vantarvi pretese dirette chiedendo un compenso: può invece pretendere il soddisfacimento delle sue esigenze.

Cosa cambia dopo la separazione, mantenimento e risarcimento

In seguito alla separazione le possibilità economiche dei coniugi sono piuttosto importanti per valutare l’eventuale assegno di mantenimento. In presenza di un coniuge che non ha lavorato bisogna però verificare alcuni elementi.

In primo luogo, se la scelta è stata effettuata di comune accordo della coppia, dettata da esigenze prioritarie o personale. In secondo luogo, bisogna anche distinguere tra il supporto fornito sul piano domestico e familiare dalla sola disoccupazione.

Quando i coniugi scelgono che uno di loro si dedichi alla cura della casa e dei figli rinunciando a lavorare, quest’ultimo matura il diritto a ricevere un assegno di mantenimento. La giurisprudenza considera infatti il sacrificio effettuato, che ha impedito la crescita economica e professionale.

Al contrario, se l’attività casalinga non è stata concordata fra i coniugi non si presuppone alcun diritto particolare a ricevere l’assegno di mantenimento. Sul punto è quindi fondamentale distinguere tra il coniuge senza lavoro che provvede in natura ai bisogni della famiglia (caso in cui è difficile ipotizzare a un mancato accordo), il coniuge che non lavora perché non può o non riesce (per problemi di salute ad esempio) e il coniuge che non vuole lavorare e non svolge neanche il lavoro domestico.

È evidente che nelle prime due ipotesi si configura un diritto al mantenimento, mentre nell’ultimo caso si palesa una violazione dell’obbligo di assistenza che può ribaltare la situazione. Il coniuge che non ha lavorato né provveduto ai bisogni familiari in altro modo è responsabile, tanto da poter ricevere l’addebito della separazione.

In ogni caso, anche la disposizione di un assegno di mantenimento non si configura come un vero e proprio pagamento per il lavoro domestico eseguito (proprio perché rappresenta l’adempimento di un dovere matrimoniale).

La giurisprudenza più recente ha però spesso riconosciuto anche dei risarcimenti per il contributo alla vita familiare, in modo limitato ai casi in cui l’altro coniuge non ha equamente contribuito. Un esempio può essere la moglie casalinga di comune scelta per la quale il marito provvede solo alle esigenze primarie come il vitto e l’alloggio, mentre accumula un grande patrimonio e si permette spese di lusso.

Rimane quindi fondamentale l’applicazione del dovere di assistenza tra i coniugi durante gli anni di matrimonio.

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