Contratto a tempo determinato, ecco cosa cambia con il nuovo decreto Lavoro e cosa deve avere l’accordo per il rinnovo o la proroga.
Con il nuovo decreto Lavoro (Dl 48/2023) cambia la disciplina del contratto a tempo determinato, che lascia alle parti un importante margine di discrezionalità, soprattutto riguardo alla definizione delle causali per il rinnovo. Il sistema delle causali era stato progressivamente abbandonato a causa dei conflitti sorti fra i datori di lavoro e indipendenti; perciò, con questo ritorno servirà prestare molta attenzione. Da una parte, il decreto Lavoro pone alcuni paletti per il rinnovo senza causa, nel tentativo di limitare in questo modo la totale liberalizzazione del contratto a termine. D’altro canto, tuttavia, l’ampia delega conferita alle parti manca di tutela per i lavoratori non rappresentati da un’adeguata regolamentazione dei contratti collettivi.
Contratto a tempo determinato, cosa deve avere con le regole del nuovo decreto Lavoro
Con le nuove regole, per rinnovare un contratto a tempo determinato o prorogarlo oltre il termine di 12 mesi bisogna innanzitutto rifarsi alla regolamentazione dei contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali. Spetta a questi ultimi, secondo il decreto Lavoro, stabilire quali sono i casi che ammettono il rinnovo e la proroga.
Dal decreto, infatti, sparisce qualsiasi forma di indicazione precisa sull’individuazione delle causali e non vi è nemmeno più riferimento alle “esigenze tecniche, organizzative e produttive” previste all’origine del sistema delle causali in modo a sé stante. Sostanzialmente, tutto è rimesso alla disciplina collettiva, quando presente, o all’accordo fra lavoratore e datore di lavoro.
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Quando la contrattazione collettiva è completa da questo punto di vista, il rinnovo o la proroga del contratto a tempo determinato possono essere attuati soltanto nel rispetto della normativa prevista. Essendo la contrattazione generica da questo punto di vista, il rinnovo per i lavoratori che dispongono del contratto collettivo è più semplice. Al contrario, in assenza della contrattazione collettiva, le cause devono essere individuate dall’accordo fra le parti.
Il datore di lavoro deve quindi presentare al dipendente a tempo determinato un documento scritto, che illustri le motivazioni che rendono necessario e giustificabile il rinnovo del contratto a termine o la sua proroga. Nel tentativo di soppiantare in qualche modo allo squilibrio decisionale, il decreto Lavoro individua criteri vincolanti per la stipula di questo accordo, ai quali si aggiungono i principi individuati dalla giurisprudenza durante il primo periodo di vigenza delle causali.
Per rinnovare o prorogare un contratto a termine oltre i 12 mesi, il contratto deve avere una descrizione precisa delle esigenze che giustificano la necessità aziendale, attenenti a circostanze effettive e provabili in sede di giudizio. Non sono ammesse le motivazioni generiche e le clausole che non riguardano direttamente la realtà aziendale, è invece richiesto che la causale esprima accuratamente il bisogno produttivo, tecnico o organizzativo collegato con il rinnovo/proroga.
Allo stesso tempo, non è indispensabile che il datore di lavoro indichi esigenze improvvise o imprevedibili, come invece aveva sancito il decreto Dignità. In questo caso la tutela dei lavoratori si esprime nella possibilità di annullare in fase giudiziale anche i contratti privi di finalità illecite, ma motivati in modo generico e superficiale. Anche per questo, i datori di lavoro devono prestare seria attenzione alla formulazione di un accordo dettagliato, in linea con i principi esposti.
Rimane comunque la possibilità di stipulare contratti a termine senza causale per una durata massima di 12 mesi, mentre le proroghe e i rinnovi non possono in ogni caso superare i 24 mesi. Si ricorda, poi, che nonostante sia venuto meno il principio di straordinarietà imposto dal decreto Dignità, le motivazioni dovrebbero comunque rispondere a un carattere di esigenza temporanea, che altrimenti non potrebbe giustificare il termine del contratto all’interno dell’attività aziendale ordinaria.
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