La riforma del premierato in Italia spiegata: il significato, cosa prevede e perché Giorgia Meloni rischia di andare incontro a un pericoloso referendum.
Cosa prevede la riforma del premierato? Una domanda di grande attualità ora che anche il Senato - con 109 voti favorevoli, 77 contrari e un astenuto - ha dato il suo disco verde a questo pacchetto fortemente voluto dalla premier Giorgia Meloni.
Lo scorso novembre il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma del premierato, con il testo che poi è stato inviato in Parlamento dove ha subito diverse modifiche in commissione Affari costituzionali del Senato per approdare poi in Parlamento.
Il premierato è stato definito come la “madre di tutte le riforme” da Giorgia Meloni, con la presidente del Consiglio che, dopo aver puntato in sede di campagna elettorale sul presidenzialismo, alla fine ha deciso di ripiegare sull’elezione diretta del premier.
L’iter della riforma del premierato però è ancora lungo e articolato: il testo ora che è stato approvato dal Senato passerà alla Camera, ma andando a modificare la Costituzione servirà un doppio passaggio in Aula e, senza l’approvazione di una maggioranza dei due terzi nei due rami del Parlamento, può essere soggetto a un referendum confermativo che appare scontato.
La memoria subito corre alla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi e poi bocciata dagli italiani in occasione del referendum che si è tenuto nel 2016, un rischio che Giorgia Meloni sembrerebbe essere pronta a correre.
Visto questo gran parlare in merito alla riforma del premierato con le opposizioni che già sono scese in piazza, cerchiamo di fare chiarezza su cosa cambierebbe in Italia in caso di approvazione e perché appare certo il ricorso a un referendum.
leggi anche
Premierato, è sbagliato dare più poteri al presidente del Consiglio: i risultati del sondaggio
Cosa prevede la riforma del premierato
La riforma del premierato è stata fortemente voluta da Giorgia Meloni ed è condivisa da tutto il centrodestra. Il testo si snoda in cinque articoli che, in commissione Affari costituzionali del Senato, sono stati modificati rispetto alla versione approvata a novembre dal Cdm.
Questi sono i punti centrali della riforma del premierato, mentre nel box in basso è possibile visionare in formato pdf il testo approvato dal Cdm e di fianco quello invece modificato in commissione.
- Il governo della Repubblica è composto del presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per cinque anni, per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l’incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi.
- Le elezioni delle Camere e del presidente del Consiglio hanno luogo contestualmente. La legge disciplina il sistema per l’elezione delle Camere e del presidente del Consiglio, assegnando un premio su base nazionale che garantisca una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività. Il presidente del Consiglio è eletto nella Camera nella quale ha presentato la candidatura.
- Il presidente della Repubblica conferisce al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri.
- In caso di revoca della fiducia al presidente del Consiglio eletto, mediante mozione motivata, il presidente della Repubblica scioglie le Camere. In caso di dimissioni del presidente del Consiglio eletto, previa informativa parlamentare, questi può proporre, entro sette giorni, lo scioglimento delle Camere al presidente della Repubblica, che lo dispone. Qualora non eserciti tale facoltà e nei casi di morte, impedimento permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nel corso della legislatura, l’incarico di formare il Governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio.
In sostanza con questa riforma il presidente del Consiglio verrebbe eletto direttamente dagli italiani per non più di due mandati consecutivi, con l’introduzione della cosiddetta norma anti-ribaltone: se il premier si dimette può decidere di andare subito al voto.
Le modifiche maggiori arrivate in sede di commissione riguardano l’eliminazione del premio di maggioranza al 55% e l’introduzione del limite dei due mandati per il presidente del Consiglio che non avrà il potere di revoca dei ministri.
Il premierato poi renderà necessaria una nuova legge elettorale armonizzata a queste novità costituzionali, ma ancora non è chiaro come cambierebbe il sistema di voto tanto che si parla anche di un possibile ballottaggio come avviene con i sindaci.
La riforma del premierato a rischio referendum
Per evitare la possibilità di un referendum confermativo sulla riforma del premierato, in Aula durante le seconde votazioni a Giorgia Meloni servirà il sì dei due terzi dei componenti sia al Senato sia alla Camera.
Se la legge alla fine verrà approvata con una maggioranza non dei due terzi, entro tre mesi potrebbe essere richiesto un referendum confermativo da parte di un quinto dei membri di una Camera o da 500.000 elettori oppure da 5 Consigli regionali.
Uno scenario che a questo punto appare scontato, visto che buona parte delle forze di opposizione si sono dette contrarie a questa riforma del premierato e pronte a imboccare la strada del referendum. Emblematiche a riguardo sono state le parole di Elly Schlein: “Il 2 giugno faremo una manifestazione sulla Costituzione e l’Europa federale contro il premierato e l’autonomia differenziata”.
“La mia disponibilità al dialogo non è stata colta - ha dichiarato Meloni -. Allora si esprima il Parlamento e, se non ci sarà condivisione, diamo la parola agli italiani”.
La premier così sarebbe pronta a giocarsi buona parte del suo futuro politico in un eventuale referendum sul premierato forte anche dell’ottimo risultato ottenuto alle europee, con l’epilogo referendario che potrebbe trasformarsi in un voto pro o contro di lei così come avvenne nel 2016 con Renzi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA