Si può decidere di svolgere lavoro autonomo con la partita Iva del coniuge? Vediamo il caso del coadiuvante familiare, dell’impresa coniugale e del lavoro in nero con evasione fiscale.
Cosa rischia chi lavora con la partita Iva del coniuge? Per i più svariati motivi un soggetto potrebbe non volere aprire una partita Iva a proprio nome e scegliere di iniziare a lavorare come autonomo ma con una partita Iva intestata al coniuge. Si tratta di una scelta lecita o si corrono dei rischi dal punto di vista legale e fiscale?
La partita Iva individuale è riferita a una attività che il soggetto svolge e gestisce in prima persona, i diritti e i doveri sono una responsabilità del titolare. Si può quindi, operare con la partita Iva del coniuge? Si può aiutare il coniuge nell’attività che svolge con la partita Iva? Le casistiche che si possono configurare sono molteplici e vedremo di chiarire i rischi che si corrono quando si lavora con una partita Iva che non è la propria.
Aiutare il coniuge con partita Iva è legale, ma con dei limiti
Un coniuge può aiutare l’altro nel suo lavoro autonomo? In caso di lavoro autonomo il marito (o la moglie) può essere considerato coadiuvante a titolo gratuito? Nel caso di un lavoratore autonomo, il coniuge può essere considerato un coadiuvante a titolo gratuito se aiuta con attività sporadiche. Non serve, infatti, che si configuri il lavoro subordinato con relativa assunzione visto che anche la Corte di Cassazione lo ritiene come rientrante tra i doveri reciproci tra coniugi.
Aiutare il coniuge nella sua attività di lavoro con partita Iva non si configura come lavoro in nero, se manca l’assunzione, nel caso di attività sporadiche anche se funzionali all’attività di impresa stessa. Tale aiuto non è vincolato giuridicamente ma rientra rapporto affettivo e di solidarietà tra coniugi a patto che sia caratterizzato dall’occasionalità. L’aiuto del coniuge per essere considerato occasionale e non richiedere che si instauri una impresa familiare, deve essere limitato a un massimo di 90 ore l’anno.
L’aiuto di fatto, non deve rientrare nella gestione ordinaria dell’attività e i compiti svolti non devono essere né sistematici né stabili.
In questo caso, di fatto, si può lavorare con la partita Iva del coniuge senza correre nessun rischio e senza che si configuri il lavoro in nero.
Lavorare con il coniuge con la stessa partita Iva
Un discorso diverso, invece, è rappresentato dal caso in cui il coniuge lavori stabilmente nella ditta individuale del marito o della moglie senza essere assunto, senza ricevere retribuzione e senza il versamento dei contributi: in tale fattispecie si configura il lavoro in nero. Il coniuge senza partita Iva, infatti, dovrebbe essere assunto dall’altro o, in alternativa, i due coniugi dovrebbero avviare un’impresa coniugale o familiare.
L’impresa coniugale prevede che entrambi i coniugi gestiscono in egual misura l’attività; dal punto di vista fiscale il reddito dell’impresa deve essere ripartiti nella misura del 50% per ognuno (anche se è possibile stabilire quote diverse). Entrambi i coniugi, tra l’altro, devono versare i contributi previdenziali obbligatori.
L’ipotesi, quindi, di lavorare con la partita Iva del coniuge configura lavoro in nero con tutti i rischi e le sanzioni previste (per il titolare della partita Iva) del caso.
Intestare la partita Iva al coniuge
Un’altra casistica ancora, invece, è rappresentata dal lavoratore che decide di avviare attività di lavoro autonomo, ma intesta la partita Iva al coniuge (che può essere a sua volta un lavoratore, un disoccupato o un inoccupato). In questo caso oltre a configurarsi il lavoro in nero non si rispetta quanto previsto dall’articolo 2105 del Codice Civile, si può incorrere in evasione fiscale e omissione contributiva.
Il motivo per cui si decide di aprire la partita Iva intestata al coniuge, sicuramente, sono fraudolenti. Basti pensare che il proprio reddito non si somma a quello di lavoro autonomo con la conseguenza che, probabilmente, l’aliquota Irpef applicata non sia quella reale (in questo caso si configura l’evasione fiscale).
Se a un controllo, tra l’altro, si viene trovati a lavorare con la partita Iva del coniuge (svolgendo l’attività che in teoria dovrebbe svolgere il coniuge) si configura il lavoro in nero che comporta sanzioni (per il titolare di partita Iva) che vanno da 1.800 a 10.800 euro per ciascun lavoratore irregolare.
Allo stesso tempo si omette anche il versamento dei contributi per il quale sono previste sanzioni civili, penali e amministrative in base alla gravità dell’inadempienza.
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