Israele ha attaccato le basi Onu in Libano, scatenando le ire dell’Italia e del resto della comunità internazionale. Ecco cosa può succedere se Israele continua gli attacchi.
Israele contro il mondo. Il recente attacco dell’IDF contro il contingente delle Nazioni Unite in Libano ha acceso i riflettori su una situazione già di per sé esplosiva lungo il confine israelo-libanese.
Le truppe dell’UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), presenti nel sud del Libano dal 1978, hanno il compito di mantenere la pace e monitorare il rispetto del cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah. Tuttavia, le forze Onu sembrano essere diventate una scomoda presenza per le operazioni militari di Tel Aviv, al punto che il governo israeliano ha aperto il fuoco contro le sedi Onu in Libano.
L’attacco del 10 e 11 ottobre rappresenta quindi un concreto pericolo di un’escalation sia sul piano militare che diplomatico. Il rischio di una crisi internazionale è sempre più vivo e tangibile, con Israele che sembra voler proseguire il suo cammino verso l’isolamento diplomatico.
Ma cosa può succedere se Israele continua ad attaccare l’Onu e perché è importante che i caschi blu abbandonino le sedi libanesi? Ecco tutto quello che c’è da sapere a riguardo.
Unifil, perché l’Onu e i caschi blu sono in Libano?
Prima di comprendere perché Israele ha attaccato le sedi dell’Onu, ferendo due peacekeeper, è importante comprendere il perché sia necessaria la presenza delle Nazioni Unite in Libano.
L’Onu è presente sul suolo libanese dalla risoluzione 425 e 426 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 19 marzo 1978, la missione è stata poi potenziata a seguito della risoluzione 1701 dell’11 agosto 2006.
L’UNIFIL (acronimo di Forza ad Interim delle Nazioni Unite in Libano), composta anche da 1068 caschi blu italiani, ha come missione primaria quella di agire come forza di interposizione lungo la Linea Blu, il confine tra Libano e Israele mai ratificato da alcun accordo o trattato internazionale. Le forze delle Nazioni Unite, inoltre, hanno il compito di assistere le Forze Armate Libanesi ufficiali nel controllo del territorio dell’area meridionale del Libano, dove è presente Hezbollah, organizzazione politica e militare, ritenuta terroristica da alcuni Paesi del mondo.
Libano, perché Israele ha attaccato l’Onu
Il governo israeliano, guidato da Benjamin Netanyahu, non sembra intenzionato a fare marcia indietro, dopo ciò che è accaduto giovedì 10 ottobre, quando tre basi della missione UNIFIL, tra cui il quartier generale a Naqoura, sono state attaccate dall’Idf.
Fonti Onu hanno criticato Israele che ha aperto fuoco contro telecamere e strumenti di rilevazione, distruggendoli. L’11 ottobre, l’esercito israeliano ha nuovamente aperto il fuoco su un punto di osservazione UNIFIL a Naqoura, ferendo altre due persone.
Il Rappresentante Permanente di Israele presso le Nazioni Unite, Danny Danon ha dichiarato che lo scopo dell’attacco è costringere i caschi blu a spostarsi di 5 chilometri a nord per avere campo libero contro Hezbollah. Secondo le autorità di Tel Aviv, quindi, la missione UNIFIL ostacola le operazioni contro le milizie sciite del Partito di Dio. Una “risposta diplomatica” che si traduce in una richiesta all’Occidente di continuare a guardare altrove e non sull’operato di Israele.
Cosa succede se Israele continua ad attaccare l’Onu?
Se Israele dovesse continuare ad attaccare l’Onu, rischierebbe di mettersi contro l’intera comunità internazionale, come spiegato da Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionale (Ce.S.I), proseguendo così la sua strada verso l’isolamento, rischiando di espandere il conflitto.
Ogni attacco contro l’ONU, infatti, non solo compromette le relazioni diplomatiche con le singole nazioni, ma mina anche l’equilibrio che queste istituzioni cercano di mantenere in contesti di conflitto come il Libano. Tramite l’Unifil, quindi, la comunità internazionale, e quindi l’Italia, rischia di essere trascinata in una guerra, nella quale una grande potenza “ferita” (Israele) pensa di battersi per la propria sopravvivenza senza fare sconti, mentre non tutti gli altri Paesi sono pronti a sostenere questa sfida.
Eppure, questo è il risultato dei deboli tentativi con il quale le Nazioni Unite hanno chiesto un cessate il fuoco, lasciando a Israele campo libero per massacrare 42mila palestinesi. Il silenzio della comunità internazionale - che nella sua posizione super partes voleva condannare entrambe le fazioni dimostrandosi “giudice neutrale” - non ha fatto altro che contribuire al genocidio dei palestinesi perpetrato da Israele che, insieme al premier Benjamin Netanyahu, dovrà rispondere per i crimini di guerra compiuti.
La presenza di peacekeeper in Libano rappresenta quindi un ostacolo per Israele, che preferirebbe condurre le proprie operazioni senza “osservatori scomodi”.
Come spiegato da Stefano Stefanini, consulente senior dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), il rapporto tra Israele e le Nazioni Unite è sempre caratterizzato da diffidenza e tensione, evidenziata dalla recente decisione di negare l’ingresso al Segretario Generale António Guterres. Come sostenuto da Stefanini:
Benjamin Netanyahu pensa di fare tutto da solo. Non è l’unico leader mondiale a pensarlo, chiedere a Vladimir Putin: il multilateralismo rimane in piedi ma senza mordente.
Questo non è che un altro passo da parte del governo israeliano verso una politica unilaterale e un’ulteriore prova dell’ indebolimento della diplomazia multilaterale.
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