Una possibile nuova contabilizzazione dei crediti d’imposta cedibili, come voluto da Eurostat, quale impatto avrebbe sulle casse dello Stato e sul deficit pubblico italiano?
In questi ultimi giorni si è parlato molto dei crediti d’imposta cedibili e soprattutto di come Eurostat potrebbe riclassificare questa spesa. Vediamo cosa sono i crediti d’imposta cedibili, in cosa consiste la diatriba con Eurostat e, soprattutto, quali potrebbero essere gli effetti economici di una diversa contabilizzazione di tali crediti.
Cosa sono i crediti d’imposta cedibili
I crediti d’imposta cedibili come li conosciamo oggi sono stati introdotti col dl 34 del 2020 e, contrariamente a quanto si pensi, a oggi non riguardano solo il superbonus o altri bonus edilizi, ma ad esempio i crediti d’imposta per le industrie energivore o dei crediti d’imposta concessi alle fondazioni bancarie.
Praticamente, il credito d’imposta può essere utilizzato dai vari beneficiari in sede di dichiarazione dei redditi per versare meno imposte oppure anche per ridurre i contributi previdenziali o altri tributi con il modello di versamento unificato F24. Per quanto riguarda la cessione vera e propria, questa prevede l’invio di una comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate che, nel caso dei bonus edilizi, deve essere inviata entro il 16 marzo dell’anno successivo in cui sono stati avviati i lavori.
Cessione del credito, la diatriba con Eurostat
In merito alla diatriba con Eurostat, che è stata citata anche dal ministro Giorgetti nella conferenza stampa della settimana scorsa, possiamo sostenere che la contesa riguarda unicamente il modo in cui questi crediti d’imposta devono essere contabilizzati nel bilancio dello Stato.
In sostanza, finora questi crediti erano stati registrati come non-pagabili, cioè secondo il nostro Stato vi è una probabilità diversa da zero che alcuni di quei crediti non divenissero un costo certo, dato che alcuni beneficiari potrebbero sempre perdere la capienza fiscale per usufruirne. Ad esempio, una persona fisica potrebbe perdere il lavoro e non avere quindi tasse da scontare, oppure un’impresa potrebbe vantare più crediti di quante siano le imposte da versare. Insomma, non essendoci la certezza sull’intero ammontare, lo Stato poteva suddividere il costo del credito d’imposta nelle varie annualità.
Anche qui facciamo un esempio: dal 2022 il superbonus da diritto a un credito d’imposta suddiviso in 4 annualità. Supponiamo che i lavori siano iniziati nel 2022 e a fronte dell’investimento vengano attribuiti 40 mila euro di credito d’imposta. Lo stato, in questo caso, contabilizzerà 10 mila euro di mancate entrate a partire dal 2023 fino al 2026.
Eurostat, dopo una lunga discussione e revisione del suo manuale sul deficit e il debito del governo, sembrerebbe invece considerare tali crediti cedibili come pagabili. In sostanza, si sostiene che la cedibilità porti a un esborso certo per le casse dell’erario, proprio perché un soggetto incapiente dal punto di vista fiscale potrebbe cedere il credito a chi invece ha una capienza fiscale. Nell’esempio di prima lo Stato dovrebbe dunque contabilizzare tutti i 40 mila euro di mancate entrate già nel 2022.
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Si potrebbe eccepire che la possibilità di cedere il credito non implichi di per sé la fattibilità erga omnes di ciò. Infatti tante aziende del comparto edilizio non stanno trovando acquirenti per i propri crediti d’imposta anche, per esempio, per il fatto che i possibili acquirenti ora vorrebbero acquistare questi crediti con uno ‘sconto’ esagerato, proprio perché si tratta di un mercato fortemente illiquido. Per questo motivo, personalmente, ritengo la valutazione di Eurostat errata: un credito d’imposta per quanto cedibile, potrà sempre trovare anche un beneficiario che risulti negli anni incapiente.
Crediti di imposta cedibili: quali effetti con le regole di Eurostat?
A prescindere da queste valutazioni, quale sarebbe l’effetto per lo Stato di una riclassificazione?
A chiarirlo è stato qualche giorno fa il rappresentante per le statistiche finanziarie governative dell’Eurostat, in audizione al Senato. Non vi sarebbero impatti sul debito pubblico come qualcuno vorrebbe lasciare intendere dal governo, ma pure l’impatto a medio periodo sul deficit non cambierebbe.
Dato che la gran parte dei crediti edilizi sono stati generati nel 2022, in questo grafico potete vedere come verosimilmente verrebbe ricalcolato il deficit.
Aumenterebbe per gli anni dal 2020 al 2022 ma diminuirebbe da quest’anno in poi. In sostanza non sarebbe una condizione così sconveniente per il governo perché ciò liberebbe spazio di manovra fiscale per i prossimi anni. Di sicuro, quindi, la decisione di eliminare la cedibilità dei crediti d’imposta ha poco a che fare con le decisioni di Eurostat.
In ogni caso, entro un paio di settimane vedremo definitivamente come saranno contabilizzati i crediti d’imposta cedibili.
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