Perché il dollaro USA scendere? Ecco i motivi che spiegano il crollo del valore del biglietto verde, collassato ulteriormente dall’annuncio dei dazi di Trump.
Dollaro in caduta libera. Fuga dal dollaro. Il dollaro collassa. Sell America. Nel fare la conta dei danni che il solo annuncio dei dazi di Donald Trump ha inflitto ai mercati finanziari di tutto il mondo, spicca tra le vittime illustri proprio il dollaro USA.
Il bilancio è da bollettino di guerra: basti pensare che, nella sessione di venerdì scorso 11 aprile 2025, la furia dei sell è stata tale da portare l’indice di riferimento del dollaro - che monitora il trend del biglietto verde verso le valute dei principali partner commerciali degli Stati Uniti - a capitolare al minimo degli ultimi tre anni, a 99,36 punti.
Il dollaro USA collassa con dazi Trump. E qualcuno dice: crisi USA “peggio della fine del gold standard”
Ieri l’emorragia del dollaro è andata avanti, con la moneta degli States che è precipitata nei confronti del franco svizzero al minimo degli ultimi 10 anni, scivolando contestualmente al valore più basso degli ultimi tre anni verso l’euro, con il rapporto di cambio EUR-USD che si è rafforzato fino a $1,14. Nelle ore successive, gli smobilizzi si sono fermati.
Il grande crollo, partito con l’annuncio dei dazi del presidente americano Donald Trump nel giorno ribattezzato “Liberation Day”, è stato continuo, tanto che Marc Chandler, responsabile strategist della società attiva nel forex Bannockburn Global Forex, ha paragonato la situazione attuale addirittura con quella che si manifestò nell’agosto del 1971, quando l’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon decretò la fine del gold standard: era la sera del 15 agosto 1971 quando Nixon freddò il mondo intero, annunciando la fine del sistema monetario internazionale che era nato nel dopoguerra con la conferenza di Bretton Woods.
Fu quella la data in cui l’allora capo della Casa Bianca decise di scrivere la parola fine al gold standard, scatenando con quell’annuncio una fase di incertezza, che si tradusse in un periodo di stagflazione, che segnò gli Stati Uniti durante gli anni ’70.
Per Chandler, un fenomeno simile, se non peggiore, si sta verificando oggi, con gli investitori che stanno fuggendo a gambe levate dagli asset finanziari made in USA, in primis dal dollaro e dai Treasury, i titoli di Stato americani: “Quello che stiamo attraversando ora è peggio del periodo in cui il presidente Nixon sancì la fine del gold standard nell’agosto del 1971”, ha avvertito Chandler, facendo notare che il “danno più grande in questo momento è stato inflitto al marchio USA”.
A fronte di una Wall Street che ce la sta facendo a rialzarsi in piedi, e che anzi ha segnato la scorsa settimana un recupero record, la crisi del dollaro è conclamata.
La grande fuga intensificata con il grande annuncio di Trump sui dazi
Il collasso della valuta - in queste ultime ore il biglietto verde ha tamponato le perdite - si spiega con diversi motivi, che si riconducono tutti all’annuncio in pompa magna del 2 aprile scorso, quando Trump ha iniziato a punire i principali partner commerciali degli Stati Uniti a colpi di dazi.
Quella mossa ha scatenato una avversione al rischio che, in teoria, così come di solito accade, avrebbe dovuto portare gli investitori a rifugiarsi nel dollaro, grazie alla natura dell’asset, a quanto pare da un po’ più che dubbia, di “safe asset”, così come nei Titoli di Stato americani, i Treasury, anch’essi noti come asset sicuri.
E invece no visto che, a essere stati smobilizzati, oltre a Wall Street, sono stati proprio i Treasuries e il biglietto verde: un fenomeno sconcertante, che ha colto di sorpresa gli analisti, e che è stato seguito da alert di varia natura che, tuttora, vanno avanti.
“Dollar Could Extend Losses Unless It Reasserts Safe Haven Role”, ovvero, “Il dollaro potrebbe estendere i ribassi, a meno che non torni a riaffermare il suo ruolo di asset rifugio”: è la profezia niente affatto confortante che si legge in un articolo de Il Wall Street Journal .
Ma perché il dollaro, che pur ora sta cercando di frenare la sua caduta, alla ricerca disperata di un fondo, è finito sotto attacco?
Perché gli investitori stanno mollando quello che dovrebbe essere un safe haven?
Dollaro KO con crisi di fiducia, mentre in USA si riaccende la paura di più inflazione-più disoccupazione
Nel commentare la capitolazione del dollaro, con l’ICE US Dollar Index, che è collassato di quasi l’8% quest’anno, Chandler ha fatto riferimento ad alcune voci di mercato, che parlano di “uno sciopero di capitali contro gli Stati Uniti, con molti che lasciano intendere che ci siano pressioni da parte degli investitori stranieri a vendere gli asset americani ”.
Tutto, mentre montano i dubbi sulla capacità dell’America di Donald Trump di preservare il suo ruolo di leader globale.
La crisi nei confronti del dollaro è una crisi dunque principalmente di fiducia: il timore di diversi economisti è che, a dispetto della fiducia incrollabile di Trump, che non perde occasione di sbandierare l’effetto positivo che le sue tariffe avranno sull’economia americana, il PIL USA scivolerà invece in una condizione di recessione.
Tra l’altro, una notizia che ha smentito l’ottimismo di Trump, è arrivata proprio ieri, con la pubblicazione di un sondaggio da parte della Federal Reserve di New York, da cui è emersa l’impennata dell’ansia percepita dai consumatori degli Stati Uniti, sul rischio che la guerra commerciale avviata dall’amministrazione Trump finisca per far balzare l’inflazione e la stessa disoccupazione.
Le aspettative sul tasso di disoccupazione dell’anno prossimo sono volate di ben 4,6 punti percentuali, al 44%, livello record dai primi giorni della pandemia Covid-19, dell’aprile del 2020.
Altro punto a sfavore dell’America di Trump: dal sondaggio è risultato anche che le aspettative che i mercati viaggino a livelli più alti rispetto a quelli attuali, tra un anno, sono scivolate di 3,2 punti percentuali, al 33,8%, livello minimo dal giugno del 2022.
Insomma, a quanto pare il morale degli americani è a terra, e la paura è anche di una nuova accelerazione dell’inflazione negli States: proprio quella che ha portato diversi americani delusi dall’amministrazione Biden a votare Trump, nella speranza che i prezzi imboccassero finalmente la strada ribassista. E invece questa illusione, a quanto pare, si è spezzata.
Le attese dei consumatori americani sul trend dell’inflazione in un orizzonte di cinque anni sono scese, in realtà, di 0,1 punti percentuali, al 2,9%, confermandosi al 3% in un orizzonte di tre anni.
Detto questo, i prezzi dei beni alimentari sono attesi ora schizzare tra un anno del 5,2%, ritmo record dal maggio del 2024, mentre per gli affitti e le spese sanitarie le aspettative a un anno sono di balzi pari rispettivamente a +7,2% e a +7,9%, in quest’ultimo caso, al massimo dall’agosto del 2024.
Crisi di fiducia nei confronti del dollaro, dunque, come primo motivo che spiega i sell che si stanno accanendo contro la valuta americana, con gli stessi risparmiatori americani che stanno rifacendo i loro conti.
Secondo motivo: fuga dai Treasury, altro sintomo del processo di dedollarizzazione
Il secondo fattore porta il nome di Treasury, ovvero di Titoli di Stato Usa, che non convincono più gli investitori in quanto non sono più, e ormai da tanto tempo, espressione di un’America con i conti a posto. Tutt’altro, vista l’erosione dei conti federali.
A essere venduti ripetutamente sono stati infatti, nelle ultime sessioni, anche i bond sovrani USA, come dimostra il trend dei rendimenti decennali, balzati la scorsa settimana di ben 50 punti base, al ritmo record dal novembre del 2001, fino al 4,49%.
Boom storico anche per i rendimenti dei Treasury a 30 anni, schizzati in una settimana di 48,2 punti base, al ritmo più forte dall’aprile del 1987, scattando fino al 4,87%.
Una nuova prova del nove della crisi dei conti federali degli Stati Uniti è arrivata tra l’altro qualche giorno fa, quando il dipartimento del Tesoro Usa ha annunciato che, nella prima metà dell’anno fiscale 2025 - da ottobre 2024 a marzo 2025 -, il deficit sofferto dagli USA ha superato quota $1,307 trilioni, segnando il secondo record della storia per un deficit in sei mesi: un’altra buona scusa per portare avanti il bagno di sangue sui Treasury, di cui ha fatto le spese ovviamente anche il dollaro USA.
Il tutto è stato riassunto dal team Evercore: “ Una moneta che va giù, un calo dei bond e delle azioni indicano una fuga di capitali, che interagisce con l’attività di deleveraging da parte degli hedge fund”.
In evidenza l’assenza di “alcuna corsa alla liquidità in dollari, anzi. Gli investitori globali, i dollari, li stanno piuttosto vendendo ”.
In ogni caso, per gli esperti, la dinamica non conferma la presenza di una “stagflazione”, “riflettendo invece come stia evaporando l’eccezionalismo della crescita americana, e come si sia meno attratti dagli asset in dollari allo scopo di accumulare riserve”, in una situazione in cui “ il processo decisionale degli Stati Uniti è imprevedibile ”.
George Saravelos, analista di Deutsche Bank, lo ha detto senza usare mezzi termini: “Il danno al dollaro è stato fatto: il mercato sta riconsiderando l’appetibilità strutturale del dollaro in quanto moneta di riserva mondiale, in una fase di rapida dedollarizzazione ”.
Emorragia dollaro: il terzo e il quarto motivo
Ma il dollaro è sceso anche per un terzo motivo, come ha spiegato Peter Kinsella, responsabile globale della strategia sul forex presso Union Bancaire Privée (UBP), stando a quanto riportato da un articolo di Morningstar: “Il principale catalizzatore è l’apparente rimpatrio messo in atto dagli investitori europei, che stanno vendendo asset denominati in dollari, rimpatriando capitali in Eurozona ”.
Dal canto suo, Frantisek Taborsky, strategist della divisione forex EMEA presso ING, ha spiegato che il sell off sul dollaro è stato scatenato, in sostanza, dalla paura di una recessione in arrivo: “Il dollaro e i Treasuries si stanno muovendo come asset ad elevato beta verso il sentiment di rischio, e rimangono altamente vulnerabili a ulteriori sell off ”.
Taborski ha aggiunto inoltre che, “anche se il dollaro dovesse ribalzare sulla scia di un qualsiasi segnale positivo per il commercio, noi sospettiamo che, affinché il danno possa essere riparato, Trump debba ritirare in modo più ampio le proprie politiche improntate al protezionismo ”.
Nel frattempo, a pagare lo scotto del crollo del dollaro USA, sono praticamente tutti: basti pensare alla nuova grande paura che sta assillando, a due giorni dal BCE Day, la presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, alle prese con un nuovo grande mal di testa.
Il trend del rapporto di cambio euro-dollaro EUR-USD, rappresenta di fatto un nuovo motivo di ansia per l’economia dell’Eurozona, in un contesto in cui analisti e mercati rivedono le loro proiezioni per il trend dei tassi del blocco in tutto il 2025.
Il quinto motivo si chiama tassi Fed con paura recessione USA
Infine, un altro ovvio motivo, alla luce di quanto scritto sopra, ha a che fare con le aspettative sulla politica monetaria della Federal Reserve, direttamente collegate alle previsioni su cosa potrebbe accadere all’inflazione e al PIL USA.
Le recenti speculazioni sull’avvento di una recessione negli States hanno portato i trader a rivedere al rialzo le stime sui possibili tagli dei tassi di interesse da parte della Banca centrale americana guidata da Jerome Powell, anche sulla scia di quanto emerso dal fronte macro, con la pubblicazione di un dato che, tuttavia, secondo alcuni esperti, è ormai decisamente superato.
E la prospettiva di più sforbiciate ai tassi firmate dalla Fed ha indubbiamente diminuito l’appetibilità del dollaro USA.
A riassumere la crisi del dollaro USA è stato tra gli altri Thomas Hempell, Head of Macro & Market Research di Generali Investments, che ha così scritto in un’analisi dedicata alla fuga dal biglietto verde:
“Il dollaro statunitense sembrava destinato a trarre vantaggio dai dazi imposti dagli Stati Uniti, in quanto questi avrebbero potuto aumentare i flussi di capitale verso il dollaro come rifugio sicuro, compensando i costi più elevati delle importazioni. Questa dinamica ha funzionato bene durante il primo mandato di Trump e in vista delle elezioni statunitensi del 2024. Tuttavia, la situazione è cambiata drasticamente”.
Hempell ha sottolineato come, di fatto, “l’escalation delle preoccupazioni commerciali dall’inaugurazione di Trump” abbia “coinciso con un calo del dollaro”. E un “segnale allarmante di una rapida erosione della fiducia nella valuta statunitense”, ha fatto notare, “è emerso la scorsa settimana, quando l’intensificarsi della guerra commerciale ha portato a una vendita massiccia dei Treasury statunitensi, con il maggiore aumento settimanale dei rendimenti a 10 anni dal 2001, e a un calo del dollaro, con l’EUR/USD in crescita del 4% dal 2 aprile, raggiungendo il massimo in tre anni ”.
“In genere” - ha spiegato l’esperto - “rendimenti più elevati avvantaggiano il tasso di cambio, a meno che preoccupazioni fiscali o sistemiche non inducano gli investitori a fuggire. Questo fenomeno è familiare nei mercati emergenti in difficoltà, ma è stato anche osservato nel Regno Unito nel 2022, quando la sfortunata PM Truss ha presentato un ’mini-budget’ imprudente ”.
Nel caso degli USA, “attualmente, gli investitori stanno evitando il dollaro USA principalmente a causa dell’aumento delle paure di recessione negli Stati Uniti”. Allo stesso tempo, “l’aumento simultaneo dei rendimenti a lungo termine suggerisce che la fiducia nella valuta statunitense sta iniziando a vacillare”.
“È vero che la vendita di Treasury della scorsa settimana è stata aggravata dall’obbligo di disfare operazioni di basis trades da parte di hedge funds e dalle crescenti necessità di liquidità per margin calls ” - ha tenuto a precisare l’analista di Generali Investments - “Tuttavia, il dollaro non ha beneficiato nemmeno del rimbalzo delle azioni statunitensi dopo l’annuncio di Trump di una pausa nei dazi. Gli investitori, in cerca di protezione in un contesto di crescente tensione commerciale, si stanno rivolgendo piuttosto a valute come CHF, EUR e JPY come rifugi sicuri”. Il che, aggiungiamo noi, la dice lunga sul grado di sicurezza del dollaro percepito in questo momento dagli investitori che, evidentemente, prima di tornare a posizionarsi sulla valuta USA, vogliono davvero capire su quali pilastri poggerà la politica commerciale dell’amministrazione Trump. Perché per ora, tra annunci in stile slogan, rumor e improvvisi e repentini dietrofront, ciò che i mercati stanno percependo è, semplicemente, caos.
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