Pubblicato l’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti relativo al mese di marzo. Focus sull’outlook sul CPI core con effetto dazi Trump. Nuovo boom prezzi delle uova.
Nel mese di marzo 2025 la crescita dell’inflazione degli Stati Uniti misurata dall’indice dei prezzi al consumo CPI si è indebolita.
Molto probabilmente, il dato è tuttavia già superato, in quanto relativo al mese immediatamente precedente al grande annuncio fatto dal presidente americano Donald Trump, il 2 aprile 2025, nel Liberation Day, giorno della Liberazione per l’America, secondo quanto ha sponsorizzato lo stesso tycoon. E giorno in cui in tutto il mondo è piombata la piaga dei dazi reciproci.
Questi dazi, a parte la nuova sberla mollata dall’amministrazione americana alla Cina, colpita da tariffe fino al 125%, ora sono stati messi temporaneamente in pausa. Detto questo, gli stessi, secondo gli economisti, infieriranno, oltre che sui partner commerciali degli States, sulla stessa inflazione USA, esercitando su di essa una pressione rialzista.
Dunque, la Fed di Jerome Powell avrebbe pochi motivi per essere rassicurata da questo dato macro, ormai sostanzialmente troppo vecchio. Allo stesso tempo è confortante sapere che, almeno fino a poche settimane fa, il processo disinflazionistico è andato avanti anche negli Stati Uniti. C’è chi sottolinea inoltre che rimangono in piedi le scommesse dei mercati sui tagli della Fed che, di pari passo con il crollo di Wall Street, si sono decisamente intensificate. Tanto che si è parlato anche della possibilità, in una sessione particolarmente drammatica per la borsa americana, di un taglio dei tassi sui fed funds di emergenza, a fronte di chi ha presentato uno scenario talmente tragico da scrivere “There will be Blood”.
Inflazione headline rallenta, si raffredda anche la componente core. Crescita minima dal 2021
Tornando ai numeri che sono arrivati oggi dal fronte macroeconomico degli Stati Uniti, dall’indicatore CPI (indice dei prezzi al consumo) è emerso che l’inflazione headline USA è salita nel mese di marzo al ritmo annuo del 2,4%, indebolendosi rispetto alla precedente crescita del 2,8%, e rispetto al +2,6% atteso dal consensus degli analisti, mentre la componente core è avanzata del 2,8%, meno del +3% previsto e al ritmo annuo più basso dal 2021.
Su base mensile, l’inflazione headline è addirittura scesa in territorio negativo, segnando un calo dello 0,1%, rispetto al rialzo dello 0,1% previsto: per la precisione, il trend è stato di una flessione pari a -0,088%, contro il +0,216% precedente.
Sempre su base mensile, l’inflazione core è avanzata dello 0,1%, come da attese, per la precisione salendo dello 0,116%, rispetto al +0,227% di febbraio.
Numeri confortanti che, tuttavia, secondo qualche economista, rischiano di lasciare il tempo che trovano.
Così ha prontamente commentato, infatti, Kay Haigh, co-responsabile globale Fixed Income and Liquidity Solutions di Goldman Sachs Asset Management.
“Il dato odierno sull’indice dei prezzi al consumo (CPI), più debole del previsto, appare superato alla luce dei profondi cambiamenti nelle politiche commerciali degli ultimi giorni. Guardando al futuro, la Fed si troverà probabilmente ad affrontare un difficile compromesso, poiché gli aumenti dei prezzi legati ai dazi inizieranno a riflettersi nei dati sull’inflazione, mentre l’attività economica resterà modesta. Ci aspettiamo che la reazione iniziale della Fed sia prudente, ma permangono i rischi che un rallentamento dell’economia più marcato del previsto possa portare alla ripresa del ciclo di allentamento monetario da parte della Fed”.
Stagflazione in USA e nel mondo, l’avvertimento di PIMCO, con incognita tassi Fed
Va detto tuttavia che in un momento come questo contrassegnato da una profonda incertezza, c’è chi ha ribadito, a dispetto delle speculazioni che sono montate sui mercati in queste ultime sedute, e prima della diffusione del dato di oggi, che per la Fed di Jerome Powell, imbarcarsi in un nuovo round di tagli dei tassi, non sarà affatto semplice.
Occhio in particolare a quanto ha scritto Tiffany Wilding, economista di PIMCO, in un’analisi dedicata all’effetto che i dazi di Trump potrebbero avere sull’economia degli Stati Uniti e sul trend dei tassi sui fed funds deciso dalla Fed di Jerome Powell.
Il fatto che gli Stati Uniti siano alle prese con uno shock storico è indubbio: quanto preoccupa, dell’analisi di PIMCO, è che Wilding prevede che, per colpa dei dazi, l’inflazione dell’IPC core possa accelerare al 4,5%.
Nel commento “La traiettoria dell’economia USA con dazi più elevati”, l’economista ha detto di ritenere che, “se il piano dei dazi andrà avanti come inizialmente annunciato, l’esito a breve termine sarà probabilmente di stagflazione a livello nazionale e di contrazione a livello globale ”.
In questa situazione, “ la Federal Reserve potrebbe trovarsi di fronte a difficoltà nel tagliare in modo aggressivo i tassi di interesse a causa di un aggiustamento al rialzo scomodamente ampio dei prezzi interni”.
In generale, a suo avviso, “ queste politiche rischiano di essere deflazionistiche per il resto del mondo, con il risultato di ridurre i vincoli per le banche centrali al di fuori degli Stati Uniti nel tagliare i tassi”.
L’esperta ha ricordato che per “il Messico e il Canada, rimangono in vigore i dazi del 25% annunciati all’inizio di marzo su una stima del 50-60% delle merci importate da questi Paesi”, e che questi dazi “saranno probabilmente al centro dei futuri negoziati sull’accordo USA-Messico-Canada (USMCA)”.
Tiffany Wilding ha precisato, anche, che “molti beni specifici, come acciaio, alluminio, veicoli passeggeri, legname, prodotti farmaceutici e semiconduttori, sono già soggetti a dazi statunitensi o lo saranno presto, secondo l’amministrazione”.
In questa situazione attuale, “nel complesso stimiamo che, se pienamente attuati, i dazi annunciati dall’inizio di febbraio, più quelli aggiuntivi sui prodotti che prevediamo saranno annunciati a breve, aumenterebbero complessivamente l’aliquota daziaria media effettiva sulle importazioni statunitensi a livelli che superano quelli degli anni ’30. E anche se alcuni dazi venissero ridimensionati, è comunque molto probabile che il tasso complessivo rimanga drammaticamente più alto di quanto mai visto negli ultimi decenni”.
Pausa dei dazi a parte - annunciata ieri dal presidente americano Donald Trump -, per PIMCO, “supponendo che tutti questi dazi vengano applicati come inizialmente annunciato, ci aspettiamo che l’economia statunitense subisca una recessione e un aumento dell’inflazione, almeno nel breve periodo ”.
In sintesi, “anche se la tregua di 90 giorni si trasformasse in un periodo più lungo, riteniamo che le probabilità di recessione negli Stati Uniti siano del 50% ”.
Nello specifico, l’economista di PIMCO ha calcolato che “l’aumento stimato di 30 punti percentuali dei dazi effettivi statunitensi (se attuato e mantenuto) probabilmente porterà gli Stati Uniti in una recessione e aumenterà drasticamente l’inflazione a breve termine ”.
“Considerando le nostre precedenti aspettative di base di crescita del 2% e inflazione del 2,5%, ora prevediamo una contrazione della crescita statunitense nella seconda metà dell’anno. Stimiamo che l’inflazione dell’IPC core potrebbe accelerare al 4,5%, anche se l’inflazione complessiva potrebbe essere inferiore di circa 1 punto percentuale se il calo del 20% dei prezzi globali dell’energia (al momento della stesura di questo articolo) dovesse essere sostenuto. Sebbene queste stime siano altamente variabili, è chiaro che l’economia statunitense non ha subito uno shock come questo dagli anni ’20 e ’30”.
I mercati hanno in ogni caso rivisto al rialzo le loro previsioni sui tagli dei tassi che sono attesi per i prossimi mesi dalla Fed.
Inflazione USA tenuta a bada da prezzi energia. Boom prezzi delle uova, oltre +60% su base annua
Tornando all’indicatore reso noto oggi, ovvero al CPI, va sottolineato che, a tenere a bada l’inflazione è stato il forte calo dei prezzi energetici, in particolare il tonfo dei prezzi della benzina, pari a -6,3% nel mese di marzo.
La flessione ha inciso sul trend dell’indice complessivo dei prezzi energetici, facendolo scendere del 2,4%. In rialzo invece i prezzi dei beni alimentari, saliti a marzo dello 0,4%.
Alert inflazione, di nuovo, dai prezzi delle uova, che sono schizzati del 5,9% e che viaggiano ormai a un livello superiore di ben +60,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
I costi delle abitazioni (cosiddetta componente shelter), tra le componenti più ostinate dell’inflazione degli Stati Uniti, sono invece saliti di appena lo 0,2% su base mensile e del 4% su base annua, riportando il rialzo più contenuto dal novembre del 2021.
I prezzi dei veicoli usati sono calati dello 0,7%, mentre i costi dei nuovi veicoli sono aumentati di appena lo 0,1%, in vista dell’impatto di dazi che sarà particolarmente pesante per il settore auto.
Brusca la flessione dei prezzi dei biglietti aerei (-5,3%), mentre il costo per assicurare i veicoli a motore è sceso dello 0,8% e un calo del 2% è stato segnato dai prezzi dei farmaci da prescrizione.
Riguardo al trend futuro dei tassi sui fed funds, un messaggio chiaro è arrivato dalle minute relative all’ultima riunione del FOMC, il braccio di politica monetaria della Federal Reserve, che si è conclusa lo scorso 19 marzo con la decisione di Powell & Co. di lasciare i tassi invariati nel range attuale, compreso tra il 4,25% e il 4,5%.
Dai verbali non sono emerse grandi speranze di una Fed pronta ad agire sulla base dei diktat impartiti dal presidente Donald Trump e a soccorrere l’economia. Tutt’altro: l’incertezza è troppo alta, e la Banca centrale americana non vuole certo mettere il carro davanti ai buoi. La verità, come ha confermato la divisione di ricerca di Citi, è che “l’incertezza sul commercio persisterà” e che è dunque molto probabile che la Fed, per ora, continui a optare per l’atteggiamento di wait and see.
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