Brexit e crisi finanziarie hanno segnato il declino dei sogni di gloria del Regno Unito. Ma l’Italia può ritagliarsi un ruolo chiave nelle relazioni economiche con la Gran Bretagna.
Una serie di rovesci strategici ha infranto i sogni di gloria che il Regno Unito aveva coltivato da quando Margareth Thatcher decise di portare la City nuovamente al centro del sistema finanziario mondiale, di liberalizzare l’economia e di privatizzare gli asset pubblici.
Il vecchio mondo del Welfare State, con la protezione dei cittadini britannici dalla culla alla tomba che era stato teorizzato da Lord Beveridge, anticipando nettamente il keynesismo interventista di F.D. Roosevelt, non reggeva più il passo: i troppi vincoli normativi che si erano andati accumulando nel tempo, e le interminabili liturgie sindacali avevano intorpidito lo spirito imprenditoriale che era stato il vanto della ormai lontanissima rivoluzione industriale del primo Ottocento. La stessa epoca coloniale, che aveva procurato immense ricchezze e diffusa prosperità, era ormai un lontano ricordo: il Commonwealth era poco più di un fantasma della antica potenza imperiale.
L’epoca delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni imposta all’Unione europea creó l’illusione che la City avesse ritrovato l’antico splendore: raccoglieva i capitali che indebitavano le imprese nuovi entranti sul mercato, finanziava coloro che subentravano nelle imprese pubbliche privatizzate in aggiunta al risparmio popolare che partecipava a sua volta a quella rivoluzione proprietaria. [...]
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