Il Parlamento europeo ha approvato quasi all’unanimità il Data Governance Act. Riutilizzo e condivisione dei dati diventano questioni di trust e accessibilità
Ci sono i big data e ce ne saranno sempre di più: servono alla società, ai cittadini e alle imprese, ma non sempre sono utilizzabili. Più che altro, per molti soggetti non sono ancora affidabili.
Ecco perché il Parlamento europeo ha approvato oggi a Strasburgo il Data Governance Act, un complesso normativo che nasce, in virtù di un accordo con il Consiglio UE, cioè il consiglio dei ministri dell’Unione Europea, di un anno e mezzo fa, per aumentare la fiducia dei cittadini nella condivisione dei dati, spingere a riutilizzare quelli del settore pubblico e creare degli spazi europei per i dati dei settori strategici (tema quantomai attuale).
L’approvazione è avvenuta con una maggioranza, come si usava dire una volta, bulgara, con 501 voti a favore, 40 astenuti e appena 12 contrari, segno di una coesione su un tema necessariamente primario per il futuro dell’Europa.
Tecnicamente ora il testo, che modifica il regolamento (UE) 2018/1724, conosciuto come Regolamento sulla governance dei dati, dovrà essere adottato (ossia recepito tal quale) dal Consiglio UE e conseguentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale europea, dopodiché sarà legge.
Come si legge nel documento pubblicato dopo la votazione, gli spazi comuni europei di dati devono rendere i dati reperibili, accessibili, interoperabili e riutilizzabili, con un elevato livello di cybersecurity.
Questo perché dove esiste parità di condizioni nell’economia dei dati, le imprese competono sulla qualità dei servizi e non sulla quantità dei dati che controllano.
Per la progettazione, la creazione e il mantenimento delle condizioni di parità nell’economia dei dati serve una governance in cui i portatori di interessi di uno spazio comune europeo di dati devono partecipare ed essere rappresentati.
Il testo del regolamento approvato oggi in prima lettura con procedura legislativa ordinaria incorpora alcuni emendamenti frutto di negoziazioni, tesi perlopiù a evitare che si creassero i presupposti per dare libertà di azione agli operatori dei dati provenienti da paesi non-UE, e per aumentare la fiducia nell’accesso ai dati europei.
Lo spazio dati europeo si basa sulla fiducia
Il tema della fiducia è centrale in tutto il complesso del Data Governance Act, perché nello spazio dati europeo si deve poter avere la certezza di utilizzare i dati per missioni fondamentali, come la ricerca scientifica, l’assistenza sanitaria, la lotta al cambiamento climatico.
Il regolamento serve a sviluppare di più il mercato interno digitale senza frontiere e così facendo creare una società e un’economia dei dati che siano «antropocentriche, affidabili e sicure».
Come ha spiegato ripetutamente la relatrice del testo, la parlamentare tedesca e centrista Angelika Niebler, obiettivo del Data Governance Act è gettare le fondamenta di un’economia dei dati di cui cittadini e imprese si possono fidare.
La condivisione dei dati può svilupparsi e generare nuovi modelli di business solamente se fiducia (come la privacy, o la riservatezza dei dati aziendali) ed equità sono garantite.
Arriva l’intelligenza artificiale europea
Il fatto che il Data Governance Act arrivi sostanzialmente all’inizio dell’era dell’intelligenza artificiale made in Europe (altro tema che ha scaturito una commissione speciale del Parlamento Europeo, la AIDA (Artificial Intelligence in a Digital Age), che a maggio presenterà l’esito del suo operato), dovrebbe avere la capacità di consentire a imprese e cittadini di attingere con sicurezza ai vari silos di dati presenti in tutta la UE.
La chiosa di Niebler affidata alle note di Strasburgo è significativa: “Dobbiamo agire ora se le aziende digitali europee intendono avere un posto tra i migliori innovatori digitali del mondo”.
Quanto al riutilizzo dei dati, gli enti pubblici non potranno creare diritti esclusivi di riutilizzo: per favorire l’accesso a un maggior numero di dati a startup e Pmi il periodo di esclusiva sarà di un anno per i nuovi contratti e di dire anni e mezzo per quelli esistenti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA