Davos e la società del rischio: come la globalizzazione ha contribuito alla crisi climatica

Pierluigi Fagan

31/07/2023

Per pensare e discutere soluzioni per l’ambiente, ci vorrebbe una democrazia, ma una democrazia consuma tempo e noi il tempo non ce l’abbiamo.

Davos e la società del rischio: come la globalizzazione ha contribuito alla crisi climatica

Da settanta anni, tutti gli indicatori eco-climatici del pianeta o tutti i principali e tra questi i più delicati, vanno fuori scala, lasciano la progressione inclinata in un certo modo e ne prendono un’altra che punta repentinamente in alto. Ripeto “ecologici e climatici” che sebbene noi le si tratti come questioni separate non lo sono affatto visto che è sempre e tutta chimica, disciplina su cui c’è una vasta ignoranza. Sempre da settanta anni la popolazione terrestre è triplicata e industria, agricoltura intensiva, bisogni energetici e nuove intensità di consumo della società iper-accessoriate si sono estese all’Asia dove c’è il 60% della popolazione mondiale.L’insieme di questi fatti non si è mai verificato nella storia umana di tre milioni di anni.

Gli effetti di questa progressione annunciata già dai primi anni ’70, si sono fatti sentire negli anni ’80. I primi anni ’90, quando molti di voi non erano ancora nati o si occupavano d’altro, 102 premi Nobel (incluso Rubbia) lanciano un “avviso all’umanità” (avviso! non appello) dicendo che le cose stavano andando fuori registro e promettevano di andar sempre peggio se non si fosse intervenuto. A seguire, esce un altro appello questa volta firmato da 72 premi Nobel preoccupato del fatto che le questioni in ballo erano molto complesse e dovevano esser gestite con criteri scientifici visto il summit di Rio che prendeva una piega un po’ troppo anticapitalista. Ripeto: trenta anni fa.

Era il 1992 ed a Davos si occupavano di globalizzazione, tant’è che due anni dopo viene lanciato l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) ovvero il nuovo format del commercio e finanza globale. La nuova globalizzazione interveniva sulla storica propensione allo scambio su scala planetaria già aumentato di sette volte tra 1950 e 1971. L’industria veniva spostata in Oriente dove la crescente popolazione prometteva mano d’opera docile ed a basso costo, in Occidente si prendevano soldi a tassi tendenti a zero e si investivano in nuova crescita orientale producendo centinaia e poi migliaia di nuovi miliardari (il famoso 1%), ma anche disoccupazione ed abbassamento dei redditi medi occidentali. Nuove fabbriche, nuovi trasporti, nuovi tenori di vita, nuove classi medie di proporzioni inusuali, nuova energia fossile da bruciare per avere energia, nuove navi container e navi cisterna a gasolio, nuovi aerei per andare di qui e di là. Ma anche nuova agricoltura e allevamento intensivi per sfamare miliardi di nuove bocche, deforestazione, acidificazione degli oceani, prelievi smodati dal ciclo dell’acqua e perturbazione di vari cicli geo-chimici. Per non parlare dei rifiuti. [...]

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