Le dimissioni di coscienza sono in aumento tra i giovani e non solo, perché rispecchiano le turbolenze dei tempi odierni e la mancanza di certezze nel futuro. Alcuni numeri interessanti.
Più volte su queste pagine ci siamo soffermati sull’istituto delle dimissioni volontarie da parte del lavoratore. Queste seguono una procedura ad hoc, grazie alla quale il dipendente lascia il proprio posto di lavoro per propria scelta. A differenza del licenziamento, dunque, con le dimissioni volontarie è il lavoratore a interrompere il rapporto lavorativo, e non l’azienda. Altra differenza rispetto al recesso del datore di lavoro è data dal fatto che le dimissioni non debbono essere motivate.
Tecnicamente chi si dimette, recede unilateralmente dal contratto che lo vincola al datore di lavoro. Il datore di lavoro si limita a riceverle, e non deve accettarle affinché producano effetto tra le parti. Piuttosto è richiesto il rispetto del periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo, come pure l’applicazione delle modalità telematiche.
Le motivazioni che spingono un lavoratore alle dimissioni sono svariate. Ad esempio ci si può dimettere per questioni e problemi familiari, o anche per cambiare lavoro ed accettare un’offerta di lavoro più conveniente dal punto di vista economico. Ci si può dimettere anche per giusta causa, vale a dire motivi gravi che non permettono di proseguire il rapporto, essendo venuto meno il rapporto di fiducia. Basti pensare al caso delle molestie, del mobbing o del mancato pagamento dello stipendio.
Oggigiorno però si sta diffondendo una nuova ipotesi di recesso del lavoratore, le cd. dimissioni di coscienza. Potremmo definirle una variante delle classiche dimissioni, legata a valutazioni individuali e che il lavoratore fa mettendo al primo posto i propri valori etici, rispetto ai principi applicati in azienda. Vediamo più da vicino che cos’è questo fenomeno in rapida diffusione.
Dimissioni di coscienza, cosa sono e perché oggi sono sempre più diffuse
Dimissioni di coscienza: cosa sono
Come lascia intendere la parola stessa, il lavoratore che opta per dimissioni di questo tipo, lo fa per ragioni etiche o morali, perché applica alla lettera il detto per cui «il lavoro nobilita l’uomo», ma solo se compatibile con i valori personali. Altrimenti la via maestra non può che essere quella del licenziarsi e abbandonare un posto di lavoro non considerato aderente al proprio modo di concepire l’esistenza.
Dopo le cosiddette ’grandi dimissioni’ o ’dimissioni silenziose’ - diffusesi a seguito della pandemia - il 2023 sul piano del lavoro, potrà essere ricordato come l’anno delle cd. ’dimissioni di coscienza’ - in inglese conscious quitting - o anche delle dimissioni a favore del clima (climate quitting).
Chi lascia il posto di lavoro e magari tronca un’esperienza lavorativa anche soddisfacente dal lato economico, sceglie di prediligere ragioni che vanno oltre il denaro e che riguardano la tutela dell’ambiente, i diritti umani, i propri valori e uno stile di vita salutare, che tenga lontano i rischi di burnout.
Insomma, perché un posto di lavoro sia allettante, non è più sufficiente che dia flessibilità, una buona retribuzione e l’opportunità di fare carriera. Deve anche avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente. Altrimenti sempre più persone optano per le dimissioni di coscienza.
Chi le sceglie
A dimettersi per coscienza sono in particolare i giovani nati a cavallo del nuovo secolo, dalla Generazione Z a seguire, ma il fenomeno riguarda anche i millennials, ovvero coloro che sono nati negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso.
Di fatto le dimissioni di coscienza sono uno dei risultati del delicato periodo in cui l’intera società si tra trovando: pandemie, conflitti tra popoli, emergenza ambientale, turbolenze economiche e divisioni sociali costituiscono pericoli per la stabilità individuale e il proprio futuro. Ecco perché soprattutto i lavoratori più giovani sono molto preoccupati per il mondo che erediteranno.
Conseguentemente chi non ha molti anni di esperienza in una certa azienda e un posto solidissimo, preferisce tagliare i ponti andando a lavorare altrove e dedicando il proprio tempo e il proprio talento alle aziende, che realmente stanno facendo qualcosa per provare a reagire alla situazione. D’altronde sono proprio i giovani che possono beneficiare di una maggiore mobilità nel mercato del lavoro.
Uno studio significativo
Non a caso in base ad uno studio pubblicato nel 2023 dalla Banca europea per gli investimenti - BEI, il 62% degli europei ritiene importante che la propria azienda dia priorità allo sviluppo sostenibile. Come accennato, proprio i lavoratori più giovani - quelli della cd. generazione Z - sono coloro tra i più sensibili rispetto a questo tema.
La BEI nel suo studio ha infatti indicato che ben il 76% dei cittadini del continente tra i 20 ei 29 anni, afferma che lo sviluppo sostenibile è un fattore di alto rilievo, se non addirittura decisivo (24%) nella scelta del datore di lavoro.
La profonda riflessione delle giovani generazioni
Alla base dell’ondata delle dimissioni di coscienza, che si registrano a varie latitudini nel mondo, c’è la volontà di dare un senso alla propria attività di lavoro, rendendola in qualche modo parte del proprio modo di essere.
La scelta dell’occupazione deve dunque essere compatibile con le proprie idee e i propri orientamenti, altrimenti le preoccupazioni etiche risultano essere determinanti nell’abbandonare un’attività e/o sceglierne un’altra.
L’acuirsi della crisi ambientale e climatica ha la sua influenza: dal citato sondaggio della BEI emerge infatti che il 67% di chi vive in Europa ha paura del futuro. Proprio la pandemia e il lavoro in smart working paiono aver svolto un ruolo ’catalizzatore’, consentendo agli individui di avere più tempo per riflettere sul posto occupato dal lavoro nella loro esistenza, sulla loro utilità sociale e sulle tematiche ambientali e climatiche. C’è chi ha preferito variare il proprio stile di vita e, per farlo, ha dovuto optare per le dimissioni di coscienza, ricercando finalmente un vero equilibrio tra vita lavorativa e vita privata, messa da parte a lungo a favore di impieghi che assorbono tutte le energie.
Restare a lavorare in un ambiente non fondato sui propri valori, che discrimina, non applica le normative in campo ambientale o che spreca l’energia elettrica, può condurre alla lunga ad un conflitto interiore pericoloso per la propria salute. Ecco perché le dimissioni di coscienza sono viste anche come una via di fuga inevitabile, per superare la sofferenza psicologica causata da questo tipo di conflitti. In altre parole, le dimissioni di coscienza permettono di sfuggire al cd. burn-out, i cui numeri stanno esplodendo anche in Italia - come segnalato da alcuni dati pubblicati quest’anno dal quotidiano Il Sole 24 Ore.
L’aumento di piattaforme online ad hoc
I bisogni dei giovani lavoratori, appartenenti alla generazione Z e a quella dei millennials, sono intercettati via web grazie a servizi ad hoc, come ad esempio le piattaforme jobsforgood.io oppure 80000hours.org. Esse sono nate proprio nella finalità di aiutare chi si dimette, a trovare un nuovo lavoro - con un impatto positivo a livello individuale, sociale e ambientale.
Ma oggi non mancano neanche le società di recruiting, specializzate in questo tipo di professioni e dunque nell’intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro rispettosa dell’ambiente e ad alto valore etico. E tra le difficoltà di reclutamento caratteristiche del periodo post-crisi sanitaria, ci sono proprio quelle legate a chi sceglie le dimissioni di coscienza: non soltanto per motivi legati al compenso o alla lontananza dell’ufficio dalla propria residenza, in molti non scelgono un determinato lavoro perché proposto da un’azienda non adeguatamente orientata alla tutela del pianeta e al rispetto della salute dei lavoratori.
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