Quali sono le accortezze fiscali per chi ha due o più rapporti di lavoro? Si possono comunque chiedere le detrazioni? Come evitare brutte sorprese in dichiarazione dei redditi? Analisi completa
Nel corso di un periodo di crisi economica e di liquidità, come quello attuale, a causa dell’aumento vertiginoso del costo della vita, quanti hanno un’occupazione a tempo parziale possono prendere in considerazione l’idea di iniziare un secondo (o addirittura) terzo lavoro.
In linea di principio la normativa italiana non vieta lo svolgimento dell’attività lavorativa in favore di due o più datori di lavoro, fatta eccezione per il rispetto delle norme in materia di orario di lavoro.
Queste ultime hanno come obiettivo la tutela dell’integrità e della salute psicofisica del dipendente, grazie a una serie di paletti al rischio di utilizzo indiscriminato del lavoratore.
Si pensi, ad esempio, all’obbligo di garantire all’interessato il riposo giornaliero e settimanale, oltre al tetto imposto all’orario di lavoro.
Al di là di quelli che sono gli obblighi di legge, il lavoratore è chiamato a mettere in campo una serie di accorgimenti, volti a gestire correttamente la tassazione fiscale.
L’obiettivo, è quello di evitare una tassazione parziale (e non corrispondente alla situazione reale del contribuente) da parte dei singoli datori di lavoro.
In questi casi, il rischio è di subire una trattenuta ulteriore (e di importo considerevole) in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, quando sarà noto il reddito complessivo del contribuente e, sulla base di questo, si effettuerà la tassazione definitiva.
Analizziamo in dettaglio quali precauzioni può adottare chi è titolare di due o più rapporti di lavoro.
Aliquota Irpef
Il calcolo dell’Irpef lorda, dal quale poi sottrarre le detrazioni da lavoro dipendente/assimilato e per carichi di famiglia, varia in funzione del reddito complessivo del contribuente.
Il sistema fiscale italiano prevede infatti l’applicazione di aliquote differenti su singole porzioni di reddito, dette anche «scaglioni». La somma di quanto calcolato per i vari scaglioni fornisce l’imposta lorda.
Dal 1° gennaio scorso, a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge 30 dicembre 2021 numero 234 (Manovra 2022) l’Irpef lorda è determinata applicando al reddito le seguenti aliquote:
- 23% per la porzione di redditi fino a 15mila euro;
- 25% per i redditi superiori a 15mila ma non eccedenti 28mila euro;
- 35% per i redditi superiori a 28mila ma non eccedenti i 50mila euro;
- 43% per i redditi superiori a 50mila euro.
Ciascun sostituto d’imposta calcola l’Irpef lorda, in assenza di disposizioni contrarie da parte del contribuente, considerando i soli redditi dallo stesso erogati.
Di conseguenza, quando sono presenti più rapporti di lavoro, la conseguenza naturale è quella di subire un calcolo dell’imposta parziale, salvo poi dover pagare eventuali differenze in sede di dichiarazione dei redditi, quando l’imposta sarà ricalcolata in funzione del reddito complessivo del contribuente.
Per evitare tutto questo, è consigliabile chiedere l’applicazione di un’aliquota fissa a tutti i datori di lavoro. Quest’ultima dovrà essere determinata ipotizzando il reddito complessivo del contribuente nell’anno, ad esempio 25mila euro.
Successivamente si calcola l’Irpef lorda, che sarà pari a:
- 15.000 * 23% = 3.450,00 euro;
- (25.000 - 15.000) * 25% = 2.500,00 euro;
per un totale di 5.950,00 euro.
Ora, dividendo 5.950,00 euro per il reddito complessivo (25.000,00 euro) si ottiene l’aliquota fissa che tutti i datori di lavoro dovranno applicare, corrispondente a 5.950/25.000 = 0,238 corrispondente al 23,8%.
L’ultimo passaggio è rappresentato dalla comunicazione indirizzata a tutti i datori di lavoro, grazie alla «Dichiarazione per il diritto alle detrazioni d’imposta per reddito e per carichi di famiglia», detta anche «Modello D23».
All’interno del documento si dovrà indicare la volontà di applicare, anche in sede di conguaglio di fine anno, un’aliquota fissa in luogo di quella calcolata automaticamente dal sostituto d’imposta.
Le detrazioni da lavoro dipendente
L’articolo 13 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir) nel caso in cui alla formazione del reddito complessivo del contribuente concorrano:
- uno o più redditi di lavoro dipendente (eccezion fatta per le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati);
- redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente di cui all’articolo 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis), l);
riconosce una detrazione d’imposta, il cui compito è quello di ridurre l’Irpef lorda.
La detrazione in parola varia in funzione del reddito complessivo del contribuente e dei giorni (di calendario) in cui è stata generata la retribuzione soggetta a ritenuta. Nel conteggio dei giorni, in ogni caso, devono essere ricompresi i riposi settimanali, le festività e gli altri giorni non lavorativi. Al contrario, devono essere esclusi i periodi in cui al lavoratore non spetta la retribuzione, si pensi, ad esempio, a:
- assenza ingiustificata;
- assenza non retribuita;
- sospensione dal lavoro e dalla retribuzione;
- permessi non retribuiti;
- aspettativa non retribuita.
Alla luce delle caratteristiche delle detrazioni in parola, nelle ipotesi in cui il dipendente sia titolare di più rapporti di lavoro è opportuno:
- chiedere l’applicazione delle detrazioni a una sola azienda e comunicare all’altro (o agli altri) datori di lavoro di rinunciare alle detrazioni;
- comunicare, all’azienda che riconosce le detrazioni, il reddito complessivo che si prevede di totalizzare nel corso del periodo d’imposta (considerando tutti i rapporti di lavoro in essere).
Le decisioni citate possono essere trasmesse al datore di lavoro presentando l’apposita «Dichiarazione per il diritto alle detrazioni d’imposta per reddito e per carichi di famiglia», detta anche «Modello D23».
Le detrazioni per carichi di famiglia
Le azioni appena citate, relative alla gestione delle detrazioni per redditi da lavoro dipendente e assimilati, devono essere intraprese anche per quanto riguarda le detrazioni per carichi di famiglia. Queste ultime, peraltro, con l’avvento dell’Assegno Unico Universale per i figli, si sono ridotte essenzialmente ai casi di presenza di coniugi a carico.
Trattamento integrativo o «Bonus 100 euro»
Introdotto per le prestazioni rese dal 1° luglio 2020 (a opera dell’articolo 1, comma 2, del decreto legge 5/2020), il trattamento integrativo (ex «Bonus Renzi») si concretizza in un credito d’imposta pari a 1.200,00 euro netti annui (100 euro medi mensili, da qui l’appellativo di «Bonus 100 euro») a beneficio delle persone fisiche destinatarie di:
- redditi da lavoro dipendente (di cui all’articolo 49 del Tuir, eccezion fatta per le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati);
- taluni redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente, di cui all’articolo 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis, l);
titolari di un’Irpef lorda di importo superiore alla detrazione per redditi da lavoro dipendente e assimilati.
A seguito delle modifiche apportate dalla legge 30 dicembre 2021 numero 234 (Manovra 2022) a decorrere dallo scorso 1° gennaio, il trattamento integrativo spetta in misura «piena» (pari a 1.200 euro annui, 100 euro medi mensili) a coloro che totalizzano un reddito complessivo non superiore a 15mila euro.
Al contrario, quanti si collocano nella fascia di reddito superiore a 15mila euro ma non eccedente i 28mila euro, hanno diritto al bonus se la somma di una serie di detrazioni eccede l’Irpef lorda. In tal caso, il trattamento integrativo è pari alla differenza tra la somma delle detrazioni e l’imposta lorda (comunque nel rispetto del massimale di 1.200 euro).
Al fine di poter gestire correttamente l’applicazione del trattamento integrativo in presenza di più rapporti part-time, il contribuente è tenuto, al pari di quanto avviene per le detrazioni, a:
- chiedere l’applicazione del trattamento integrativo soltanto ad un datore di lavoro, rinunciando a percepire il bonus da tutti gli altri;
- comunicare, ai fini del calcolo del credito d’imposta, il reddito complessivo che si prevede di totalizzare nell’anno nell’ambito di tutti i rapporti di lavoro in essere.
Le scelte relative ad applicazione/rinuncia al bonus nonché per segnalare redditi ulteriori, devono essere comunicate all’azienda con il già menzionato «Modello D23».
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