Discriminazioni sul lavoro: in quali casi sussistono?

Claudio Garau

15/11/2022

I rischi di discriminazioni sul lavoro sono diversi ed attengono ad una pluralità di situazioni diverse. Una sintetica panoramica su alcuni dei casi più ricorrenti.

Discriminazioni sul lavoro: in quali casi sussistono?

Parlare di discriminazione o di discriminazioni sul luogo di lavoro, ha oggi sicuramente senso. Basta infatti dare un’occhiata ai vari casi di cronaca che, con frequenza, indicano fatti in cui una persona subisce un trattamento sfavorevole per motivi discriminatori. A scuola, nei confronti degli anziani, in politica, verso le donne e non solo: sono innumerevoli le situazioni in cui può aversi una discriminazione a danno di qualcuno e che, in quanto tale, è da considerarsi ingiusta e contraria alla legge.

Di seguito intendiamo soffermarci in particolare sulle discriminazioni sul lavoro, le quali spesso lasciano pesanti conseguenze su chi le subisce, ma non prima però di aver chiarito quando, in linea generale, si può parlare di discriminazione contro qualcuno. Vedremo anche che non sempre sul lavoro la discriminazione è da considerarsi vietata, perché ci sono casi specifici in cui invece, è ammessa. I dettagli.

Che cos’è una discriminazione? Le caratteristiche che la individuano

La discriminazione consiste in un trattamento non paritario concretizzato verso un individuo o un gruppo di individui, a causa della loro appartenenza ad una particolare categoria. In particolare, si riconosce un atteggiamento o un atto di discriminazione nelle circostanze in cui si abbiano le due
caratteristiche che seguono:

  • un trattamento differente rispetto a quello riservato agli altri individui o gruppi di individui;
  • un’assenza di giustificazione per questo diverso trattamento.

In buona sostanza, una discriminazione è messa in atto in tutti quei casi in cui una persona sia ingiustificatamente trattata in maniera diversa e peggiore, o venga esclusa da un servizio o da un’opportunità. Si tratta ad esempio di chi, per discriminazione, non riesca ad ottenere un’abitazione, una prestazione sociale o sanitaria, un mezzo di trasporto pubblico o - come interessa nel nostro caso - un lavoro. In queste circostanze ricorrerebbero tutti i requisiti per conseguire quanto desiderato, ma appunto una discriminazione impedisce o rende più difficoltoso l’accesso al servizio o all’opportunità, rispetto alla generalità delle altre persone non discriminate.

Come accennato in apertura, le discriminazioni su cui qui in particolare ci soffermiamo sono quelle legate al mondo del lavoro, e dunque a quelle situazioni in cui il lavoratore o la lavoratrice ha firmato un contratto di lavoro e ha ottenuto il posto, ma si trova ad avere a che fare con distinzioni ingiustificate o, comunque, con situazioni che ne pongono il rischio.

Su quali fattori o condizioni si può basare una discriminazione?

Sono le particolari condizioni personali e sociali che possono generare una discriminazione, ma le regole della legge ci indicano quali sono i fattori che, tipicamente, portano ad una ingiustificata distinzione di trattamento tra persone, e come in questo caso interessa, tra lavoratori. Peraltro nella legge sono previste anche consistenti sanzioni amministrative pecuniarie per il responsabile di dette discriminazioni, pari a varie migliaia di euro.

Nazionalità, colore della pelle, lingua, sesso, età, ascendenza od origine nazionale, etnica o sociale, caratteristiche genetiche, opinioni politiche, religione o convinzioni personali, appartenenza ad una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, orientamento sessuale o identità di genere: si tratta di elementi che possono generare una discriminazione in una varietà di contesti. Tra questi ovviamente anche l’ambito professionale, sia pubblico che privato.

In ufficio la discriminazione - prodotta da un provvedimento, una prassi o un comportamento del datore di lavoro - distingue tra lavoratori senza un motivo che la giustifichi, ovvero senza una ragione che sia contemplata o accettata dalla legge. Essa piuttosto è frutto di fattori del tutto irrilevanti ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa o del profitto aziendale.

Ecco perché è vietato discriminare un lavoratore in quanto - ad esempio - la pensa diversamente in fatto di politica, oppure perché non è di origine italiana, oppure perché ha un’età differente da quella di altri lavoratori.

Casi di discriminazione sul lavoro durante la fase dell’assunzione

Fare una lista completa ed esaustiva di tutte le possibili discriminazioni sul lavoro è ovviamente impossibile, ma possiamo soffermarci qui su quelle che destano maggior allarme per via della frequenza con cui sono attuate. Pensiamo ad es. alla fase di selezione per un posto di lavoro in azienda: il datore e i recruiter dovranno prestare attenzione ai criteri di individuazione del nuovo personale e alle condizioni dell’assunzione.

Pertanto non assumere qualcuno soltanto perché di sesso femminile, oppure perché troppo giovane o, al contrario, già di età avanzata, oppure ancora perché straniero - ma pur con una ottima padronanza della lingua italiana - significa fare una discriminazione sul lavoro. Ed anche non assumere una persona per il modo di vestire o per il look può essere considerato discriminatorio.

Analoghe considerazioni valgono nei casi di promozioni, che penalizzino qualcuno per motivi come quelli sopra elencati. Si tratta cioè di quei casi in cui la promozione non tiene conto del primario requisito della professionalità e capacità dimostrate, che invece dovrebbe essere il solo decisivo al fine della stessa.

Per fare un esempio pratico, è discriminatorio l’annuncio di chi su qualche sito utile alla ricerca ed offerta di lavoro, mostra di selezionare soltanto donne per ricoprire una certo ruolo. «“Cercasi ragazza come cassiera», «Cercasi segretaria non oltre i 30 anni”», oppure «“Cercasi ragazzo per lavoro come fattorino”» sono soltanto una piccola parte degli annunci di lavoro che si caratterizzano per essere discriminatori, e per esporre l’autore al rischio di dover pagare una sanzione amministrativa.

Anche l’altezza minima può essere una discriminazione. Se è prevista come requisito per accedere ad un certo lavoro, in una eventuale causa in tribunale sarà compito del giudice accertare la funzionalità del requisito richiesto rispetto alle mansioni da svolgere. Possibile dunque l’annullamento della decisione del datore, laddove sia individuata una effettiva discriminazione.

Casi di discriminazione durante il rapporto di lavoro

Tra i casi di discriminazione più significativi pensiamo anche alla lavoratrice che viene relegata ad una mansione irrilevante per l’azienda o non viene promossa - pur avendone i meriti - perché incinta, o perché appena sposata oppure, ancora, perché ha contratto matrimonio da tempo.

Sono casi di discriminazione quelli in cui, sul piano della formazione, dell’orientamento, dell’aggiornamento o dell’accesso ai tirocini formativi, sono messi in pratica comportamenti discriminatori ai danni di uno o più lavoratori. E non rari anche i casi in cui pur con stesse mansioni o orario di lavoro, un dipendente è pagato di più di una dipendente. Ma nessuno spazio è concesso a discriminazioni sulla retribuzione dei lavoratori, per motivi di sesso, di età, di nazionalità, di opinione o di qualsiasi altro tipo: prevista infatti anche in queste circostanze una sanzione amministrativa pecuniaria di varie migliaia di euro, a danno del responsabile. E d’altronde sul punto fanno fede i Ccnl di categoria.

Le discriminazioni possono aversi anche alla cessazione del rapporto di lavoro, ovvero nei casi in cui l’azienda debba ridurre il personale per motivi economici o di opportunità, andando però a penalizzare le lavoratrici per privilegiare i lavoratori, oppure il contrario.

Ancora è discriminatorio prevedere un trattamento identico tra lavoratori abili e disabili, che si assentano dall’ufficio per malattie correlate alla loro disabilità: per questi ultimi infatti andrebbe previsto un regime con regole di maggior favore, in considerazione delle loro condizioni di salute. In tema di orario di lavoro, una discriminazione è invece possibile quando la distribuzione oraria dell’impegno giornaliero vada a penalizzare i lavoratori con prole.

Non sempre si tratta di discriminazione: ecco perché

Non tutte le forme di distinzione o di esclusione costituiscono in verità casi di discriminazione sul lavoro. Infatti, perché si possa parlare di discriminazione occorre che il trattamento differente o l’esclusione non siano motivati da fattori concernenti in modo diretto la prestazione di lavoro in sé, ma piuttosto qualcuno dei fattori sopra indicati. Insomma, non sempre le distinzioni sono discriminatorie e lesive dei diritti individuali: infatti se il comportamento che conduce all’esclusione di qualcuno si fonda su un elemento identitario oggettivamente rilevante ai fini della scelta, l’esclusione non è discriminazione.

Per fare un esempio pratico, la discriminazione fondata sul sesso, sull’età o sulla statura, è legittima se attiene a requisiti essenziali al buon svolgimento dell’attività di lavoro, a patto cioè che l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. Tipico è il caso della promozione a capo reparto di un magazziniere che abbia le capacità fisiche di sostenere sforzi di un certo rilievo, che invece una lavoratrice non potrebbe sopportare per via di un fisico più esile.

La discriminazione sul lavoro può costituire un reato?

A questo punto ci si potrebbe chiedere se il provvedimento, la prassi o il comportamento discriminatorio possano configurare un illecito penale o reato. Ebbene a seguito di un decreto legislativo del 2016, da quell’anno le discriminazioni sul lavoro non producono più conseguenze penali, per il solo fatto di essere appunto discriminazioni.

In buona sostanza ciò significa che il lavoratore o la lavoratrice potranno chiedere giustizia presso il tribunale civile, nel caso ritengano di aver subito una discriminazione. Qualora dagli accertamenti emerga appunto una violazione dei propri diritti, i provvedimenti discriminatori potranno essere annullati e l’atteggiamento discriminatorio rileverà come illecito amministrativo. Per il datore, come accennato, sono previste pesanti sanzioni pecuniarie - a patto però che il lavoratore dimostri di aver subito la discriminazione, attraverso un’opportuna raccolta degli elementi di prova.

Insomma, servendosi del valido contributo di un avvocato di fiducia, il lavoratore potrà chiedere tutela in sede civile, ma è pur vero che in taluni casi il procedimento invece assumerà immediatamente rilievo penale. Questo - ad esempio - laddove si tratti di un caso di molestia sul lavoro, collegato ad una discriminazione: in dette circostanze è certamente in gioco un reato, contro cui si può tutelare anche facendo richiesta di risarcimento danni.

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