La crisi economica globale è qui per restare e i motivi di allerta sono almeno 3: perché c’è ancora il pericolo per le grandi potenze di impattare con eventi e dati avversi alla crescita.
Il peggio è davvero passato per l’economia globale? Alcuni dati farebbero ben sperare, ma i rischi di una crisi ancora lunga ci sono e non si possono sottovalutare.
Nel descrivere l’attuale situazione, il buonumore è palpabile tra diversi economisti. Non molto tempo fa sembrava che una recessione americana fosse inevitabile con la Fed aggressiva sui tassi di interesse.
Tuttavia, la notizia che il tasso di inflazione annuo principale negli Usa è sceso al 3% a giugno ha alimentato le speranze che il prossimo aumento dei tassi della Fed, previsto per il 26 luglio sarà l’ultimo e che anche altre banche centrali potrebbero rilassarsi. Le azioni sono in rialzo, i rendimenti obbligazionari sono in calo e il biglietto verde è vicino al minimo da quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi.
È vero che il dragone sta faticando a riprendersi dalle chiusure Covid. Ma anche qui le notizie rincuoranti non mancano. La deludente riapertura in Cina, che non ha un proprio problema di inflazione, ha fatto sì che il temuto aumento dei prezzi delle materie prime globali non si sia materializzato. Ciò ha aiutato l’Europa, che ha sostituito il gas russo convogliato con spedizioni di tipo liquefatto.
Tutto andrà davvero bene per l’economia mondiale? Non proprio e i motivi di allarme per una crisi ancora duratura sono 3, come indicato da un’analisi di The Economist.
1. Incertezza inflazione
L’inflazione nelle principali economie, sebbene in rallentamento, rimane molto al di sopra degli obiettivi del 2% delle banche centrali.
La diminuzione dell’indice principale Usa, per esempio, è stato determinato da un calo una tantum dei prezzi dell’energia: escludendo cibo ed energia, i prezzi sono superiori del 4,8% rispetto a un anno fa. Nella zona euro la cifra è del 5,5% e in entrambe le economie i salari continuano a crescere ben al di sopra della crescita della produttività.
In altre parole, il mondo ricco ha ancora molta strada da fare prima di essere completamente disinflazionato e molti economisti si aspettano che l’ultimo miglio sia il più difficile. Anche se l’inflazione rimane ostinata al 3-4% e non fa notizia tanto quanto i recenti allarmanti aumenti dei prezzi, sarebbe comunque un problema per i banchieri centrali.
Potrebbero dover scegliere tra un inasprimento maggiore di quanto attualmente previsto e l’abbandono tacito dei loro obiettivi del 2%. Entrambe le strade sarebbero dirompenti per i mercati degli asset e potenzialmente anche per l’economia reale.
2. Il lavoro va davvero a gonfie vele?
Il mercato del lavoro è osservato speciale in questi mesi, proprio per capire quanto è forte e quali indicazioni sta dando sulla resilienza economica. Attenzione, però, a non sottovalutare cosa potrà succedere nel prossimo futuro.
Finora il mercato del lavoro americano, per esempio, si è riequilibrato in modo abbastanza indolore riducendo i posti vacanti piuttosto che i posti di lavoro. Le assunzioni sono ancora forti e i licenziamenti sono rari. Con le opportunità di lavoro meno abbondanti, la crescita dei salari è diminuita.
Eppure nessuno sa per quanto tempo il mercato del lavoro si mostrerà ancora così promettente. In tutto il mondo ricco ci sono prove che le aziende, segnate dal ricordo della carenza di manodopera, hanno accumulato lavoratori di cui non hanno bisogno.
In diversi paesi le ore medie lavorate sono in calo. Se le aziende decidessero che è troppo costoso mantenere lavoratori che non sono più ritenuti necessari, i licenziamenti potrebbero aumentare bruscamente.
3. Divergenza tra grandi potenze economiche
Il terzo pericolo per l’economia globale è che la divergenza tra le grandi economie del mondo significhi che anche se la pressione sulla Fed si allenta, i politici altrove rimangono preoccupati.
La Gran Bretagna sta festeggiando un calo dell’inflazione annuale maggiore del previsto a giugno, ma con una crescita dei prezzi sottostanti e dei salari di circa il 7% il valore rimane preoccupante.
Il Giappone ha appena iniziato la stretta monetaria. Con l’aumento dell’inflazione, la Banca del Giappone potrebbe adeguare nuovamente il tetto sui rendimenti obbligazionari a lungo termine alla fine di luglio.
La Cina potrebbe dover affrontare un rallentamento strutturale della crescita in cui l’economia è appesantita da crediti inesigibili, come lo era il Giappone nei primi anni ’90, e in cui l’inflazione è persistentemente troppo bassa.
Infine, l’Europa resta in bilico tra un settore industriale fiacco, con la Germania a guidare le debolezza, e una vulnerabilità energetica elevata.
Ogni potenza con i suoi problemi potrebbe significare un aumento dell’instabilità.
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