L’industria europea può farcela contro i giganti Usa e Cina nella sfida alla transizione energetica? L’Ue sembra schiacciata dalle due economie, ma qualcosa si sta muovendo.
L’Unione europea si sta preparando per la sfida industriale legata alla transizione energetica che la vede indietro rispetto ai giganti Cina e Usa. Il vecchio continente può farsi strada e ritagliarsi il suo spazio?
C’è da dire che se l’Ue è leader mondiale nella riduzione delle emissioni di carbonio, nella trasformazione verde gli ostacoli sono diversi e, secondo gli analisti, potrebbero trasformarsi in un “deserto industriale”. Per questo nuove misure dovrebbero essere annunciate dalla Commissione a metà marzo.
Materie prime, gap tecnologico, sussidi che non competono con le ingenti risorse Usa sono alcuni dei problemi strutturali che l’industria europea sta affrontando e che rischiano di danneggiare il sistema industriale dei 27 Paesi Ue. Tuttavia, proprio l’avvento della rivoluzione green e la necessità di competere con i colossi Usa e Cina stanno fungendo da pungolo per cambiamenti epocali anche in Europa.
La sfida della transizione verde industriale è aperta: quale ruolo può giocare l’Ue? Europa schiacciata o stimolata dalle potenze statunitense e cinese?
Le sfide dell’Europa per un’industria green
La competitività industriale dell’Europa rispetto a Stati Uniti e Cina, le due maggiori economie mondiali, è diventata una delle maggiori preoccupazioni in tutto il blocco a 30 anni dalla creazione del suo mercato unico.
La Commissione sta per annunciare misure che includono proposte legislative per facilitare la produzione interna di forniture chiave e razionalizzare le sovvenzioni per progetti verdi, affrontando anche la questione controversa degli aiuti di Stato. Il tutto, prima di un vertice dei leader dell’Ue il 23-24 marzo per discutere e guidare la risposta dell’Unione.
Molti nel blocco a 27 Stati sono preoccupati che l’Inflation Reduction Act del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che offre $369 miliardi di sussidi green applicati in molti casi solo ai prodotti realizzati in Nord America, possa attirare aziende fuori dall’Europa, consentendo agli Stati Uniti di diventare una fonte di tecnologia pulita gigante e a spese del vecchio continente.
Il commissario per i mercati interni dell’Ue Thierry Breton ha affermato questa settimana che è chiaro che sia gli Stati Uniti che la Cina stanno cercando di attrarre capacità industriale dall’Europa e quindi renderla dipendente dalle loro industrie in futuro.
L’Ue non vuole rinunciare al suo posto in prima linea per quanto riguarda il cambiamento climatico, con il suo obiettivo di neutralità del carbonio entro il 2050 e severi target di emissioni per il 2030, con progressi su questo fronte molto più ampi degli sforzi negli Stati Uniti e in Cina.
Ma mentre detiene posizioni forti in alcuni settori verdi, rischia di essere superata nella tecnologia.
I nodi europei non sciolti: tecnologia, materie prime, sussidi
Per quanto riguarda i brevetti nelle future tecnologie digitali e verdi, l’Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti su tutta la linea, secondo un rapporto del McKinsey Global Institute che ha mostrato che entrambi erano dietro la Cina e altri paesi dell’Asia orientale nell’ambito della tecnologia pulita.
L’approvvigionamento di minerali vitali per la transizione verde è un’ulteriore sfida, con la Cina che lavora quasi il 90% di terre rare e il 60% di litio, elemento chiave per le batterie.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha rafforzato una lezione appresa durante i primi mesi della pandemia, vale a dire che l’Ue non può fare affidamento su un unico fornitore per i materiali essenziali, siano essi dispositivi di protezione individuale o petrolio e gas.
La pandemia ha già portato a richieste di “autonomia strategica”, anche se ha aperto un dibattito sul fatto che ciò significasse produrre beni essenziali nel blocco o diversificare le forniture.
Sulla prima questione, martedì l’esecutivo dell’Ue proporrà una legislazione che consentirà alla regione di estrarre il 10% delle materie prime strategiche che consuma e di aumentare la lavorazione fino al 40% del suo fabbisogno entro il 2030.
Su quest’ultimo punto, la Commissione ritiene che gli accordi commerciali con paesi come Cile e Australia, i due maggiori produttori di litio, potrebbero garantire la fornitura diretta e ridurre la dipendenza dalla Cina.
Poi c’è la spinosa questione dei sussidi e di un possibile futuro Fondo di sovranità europeo, un’idea sollevata per la prima volta dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lo scorso anno.
Entrambi gli argomenti sono però divisivi. Sostenuta da Francia e Germania, la Commissione ha proposto di allentare le norme sugli aiuti di Stato per consentire investimenti verdi, che potrebbero estendersi ai sussidi corrispondenti offerti altrove per le tecnologie net-zero.
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Alcuni Paesi Ue però lamentano che non saranno in grado di eguagliare le somme offerte dalle due maggiori economie del blocco. Breton sostiene che il fondo di sovranità aiuterebbe a garantire condizioni di parità tra le nazioni che non hanno la stessa capacità di fornire aiuti di Stato, con finanziamenti attraverso prestiti congiunti.
Tuttavia, i membri del Nord guidati dalla Germania hanno già messo in guardia contro il nuovo debito comune, sottolineando che ci sono ancora fondi inutilizzati dal fondo per la ripresa della pandemia da 800 miliardi di euro.
La lotta per l’emancipazione e la trasformazione industriale in Europa è quindi duplice: interna ed esterna. In ogni caso, essa è iniziata con proposte e discussioni su come guidare la transizione green dalle quali no si può tornare indietro.
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