Finto part time, straordinari non pagati, modifiche unilaterali del contratto: per la Cassazione è caporalato. Ecco cosa rischiano le imprese.
Sfruttare la crisi economica e lo stato di bisogno dei lavoratori per reclutare personale sottopagato o modificare unilateralmente le condizioni contrattuali pagando un tempo pieno come un part time è sempre considerato caporalato. Non più un fenomeno circoscritto all’agricoltura ma dilagante anche ad altri settori produttivi caratterizzati dall’impiego di manodopera scarsamente specializzata. Vediamo quando si configura il finto part time e cosa rischiano le imprese.
Finto part time: quando c’è una condotta delittuosa
L’Ispettorato del Lavoro distingue le due fattispecie di condotte delittuose, punite secondo l’art. 603-bis Codice Penale, descrivendole nella circolare n.5/2019:
- da una parte rileva una intermediazione illecita quando un datore di lavoro o utilizzatore recluti manodopera sottopagata da destinare al lavoro di terzi;
- in secondo luogo punta il dito controllo sfruttamento lavorativo diretto da parte di datori di lavoro che impiegano manodopera in condizioni di sfruttamento approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.
In relazione a entrambe le fattispecie, ma soprattutto con riferimento allo stato di bisogno, si concretizza uno squilibrio tra le prestazioni contrattuali a sfavore del lavoratore.
Secondo una prima interpretazione, la Cassazione (sentenza n.2441/2021) ha ribadito la tutela non per chiunque lavori senza il rispetto delle garanzie legali, ma solo per chi si trova in situazione di bisogno, di grave difficoltà, anche temporanea, che che possa limitarne la libertà inducendolo ad accettare condizioni particolarmente svantaggiose.
La recente sentenza (Cassazione n. 24388/2022) ha esteso il quadro probatorio alla fattispecie del finto part time, ipotizzando l’erogazione delle stesse sanzioni previste per il caporalato.
I segnali che il part time è finto
Nella sua formulazione iniziale, l’art. 603-bis Codice Penale puniva esclusivamente l’intermediazione nel reclutamento della manodopera con organizzazione di lavoro caratterizzato da sfruttamento, violenza, minaccia, intimidazione. La norma è risultata scarsamente applicabile e inefficace. Fino alla modifica introdotta dal legislatore nel 2016, che ha distinto l’ipotesi di intermediazione illecita, il “caporalato” in senso stretto che configura una condotta delittuosa con dolo specifico, da quella di sfruttamento del lavoro condotta dal datore di lavoro.
Sempre nell’art. 603-bis Codice Penale sono descritti i segnali sintomatici che rilevano lo sfruttamento:
- trattamento economico sproporzionato rispetto all’orario di lavoro prestato e comunque difforme ai contratti di riferimento;
- violazione degli orari di lavoro, mancato rispetto dei periodi di riposo, aspettativa e ferie;
- mancato rispetto delle norme di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro
- condizioni di lavoro degradanti
- modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali
Queste condotte configurano gravi indizi di colpevolezza e configurano ipotesi di reato particolarmente gravi, punibili sotto il profilo penale ed amministrativo.
Finto part time: cosa rischiano le imprese
Il reato di caporalato, o in generale di sfruttamento della condizione di bisogno del lavoratore, è punito:
- con la reclusione da 1 a 6 anni
- con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore
Nei casi in cui la condotta illecita è gravata da violenza e minaccia le sanzioni aumentano:
- con la reclusione da 5 a 8 anni;
- con una multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore.
Ulteriori aggravanti prevedono un incremento della pena del 33%-50% nei casi stabiliti dal comma 4 dell’art. 603-bis e documentati da parte della Polizia Giudiziaria:
- numero di lavoratori reclutati superiore a tre;
- reclutamento di minori in età non lavorativa;
- esposizione dei lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo;
- reclutamento di soggetti senza permesso di soggiorno.
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