Mettendo sulla bilancio vantaggi e svantaggi della partita Iva con flat tax nel 2023 si può calcolare in quali casi conviene rispetto al lavoro dipendente e in quali casi, tendenzialmente, no.
Quest’anno conviene davvero avere la partita Iva rispetto al lavoro dipendente? Con l’ultima legge di Bilancio il governo Meloni ha alzato la soglia della flat tax al 15% da 65mila a 85mila euro di ricavi annui. Un aiuto importante per migliaia di autonomi, che quest’anno passeranno dal regime ordinario a quello agevolato.
Dai primi calcoli emersi alla fine del 2022 la risposta alla domanda sembrava scontata: con la flat tax si risparmiano migliaia di euro di tasse, con entrate ben più alte rispetto al lavoro dipendente. Ma in queste cifre non si considerano tanti elementi: non solo ferie e malattia, ma anche detrazioni e l’effetto sulla pensione.
Insomma, dipende molto dalla fascia di reddito. Vediamo quindi nel dettaglio a chi converrebbe il lavoro dipendente e a chi la partita Iva con flat tax.
Flat tax, quanto si paga in meno di tasse
Partiamo dal conto delle tasse da pagare, facendo alcuni esempi, con i calcoli elaborati dall’Osservatorio conti pubblici italiani dell’università Cattolica. Se ad esempio un idraulico con ricavi per 65mila euro all’anno aderisce alla flat tax, paga costi forfettari per la sua categoria di circa 9mila euro, quindi paga tra tasse e contributi quasi 21mila euro e se ne intasca 35mila.
Se invece l’idraulico, che fa fatturare lo stesso all’azienda, è un dipendente, tra contributi e tasse paga 28mila euro e il suo reddito netto è di 27.700 euro. La differenza, infatti, è il costo per l’azienda e per il lavoratore, tra contributi previdenziali più alti, malattia, ferie, permessi e Irpef più alta (oltre alle imposte locali). A parità di guadagno, quindi, il dipendente paga 7.342 euro di tasse in più rispetto alla partita Iva con flat tax.
Qualcosa di simile vale per un consulente informatico con 85mila euro di ricavi: paga 21.240 euro tra tasse e contributi e sen ne intasca 35.710 euro, con costi forfettari detraibili, nel suo caso, particolarmente alti (il 33%). Lo stesso consulente, se dipendente, ha un reddito netto di poco più di 28mila euro e paga contributi e tasse per una cifra simile. Tra tasse e contributi sono sempre oltre 7mila euro di tasse in più rispetto alla partita Iva con flat tax.
E infine: un elettricista con un fatturato annuo di 75mila euro se dipendente dovrebbe pagare circa 8mila euro in più, tra tasse e contributi, rispetto a un suo “collega” autonomo.
I benefici del lavoratore dipendente rispetto alla partita Iva
Vista la differenza di tasse da pagare, però, vediamo le altre differenze. Prima di tutto chi ha partita Iva con flat tax non ha diritto a malattie, permessi e ferie pagate. Non solo: i costi per la flat tax si detraggono in modo forfettario in base al tipo di attività (cioè al coefficiente di redditività previsto per il codice Ateco). Non ci sono quindi le detrazioni Irpef per figli, contributi previdenziali facoltativi, spese mediche e altro.
Tuttavia chi aderisce alla flat tax non paga le addizionali regionali e comunali sul reddito imponibile. La tassa varia da Regione a Regione e da Comune a Comune, ma comunque vale di solito oltre l’1% al livello regionale fino a 15mila euro e fino al 3,33% sull’eccedenza, mentre l’addizionale comunale è di poco sotto all1%.
Con la flat tax, poi, l’aliquota contributiva è applicata al reddito che viene determinato in modo forfettario. E ancora: le fatture sono emesse senza l’Iva, che quindi non si scarica. Infine c’è il capitolo pensionistico: per le partite Iva la percentuale di contributi, variabile a seconda della cassa pensionistica di riferimento, è tendenzialmente più bassa di quella dei dipendenti (per l’Inps pari al 33% della retribuzione lorda, di cui il 23,81% a carico del datore di lavoro e il 9,19% a carico del lavoratore).
Un autonomo su quattro quando va in pensione non ha versato abbastanza per incassare l’assegno minimo, cioè 571 euro al mese.
Partita Iva con flat tax o lavoro dipendente: cosa conviene?
In generale, secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, rispetto al regime ordinario con la flat tax si guadagna sempre di più al crescere del reddito. Il risparmio è di circa 4mila euro oltre i 50mila di ricavi e sale a 6mila oltre i 60mila, 8mila oltre i 70 mila e 9 mila tra gli 80 e gli 85mila.
Considerando costi e benefici della partita Iva rispetto al lavoro dipendente, quindi, in linea di massima il secondo può convenire quando i redditi non sono troppo alti, entro i 40/50mila euro annui. Attenzione, però: molto dipende dal tipo di lavoro (e annesso codice Ateco se autonomi) e dal modello di vita.
Infatti se si hanno spese particolarmente basse (tali da non risentire dell’assenza di detrazioni tarate al reddito) o si appartiene a una categoria con alte detrazioni fisse (come i consulenti informatici), potrebbe convenire comunque la partita Iva con flat tax. Lo stesso se magari si ha una pensione integrativa o se si è spesso in buona salute (così da non dover subire l’assenza di malattia pagata).
Per i redditi oltre i 50mila euro, invece, tendenzialmente la partita Iva con flat tax conviene. E, purtroppo, conviene ancora di più se oltre la soglia degli 85mila euro si fa del nero, con annesso ingente danno allo Stato. Già oggi gli
autonomi non dichiarano al Fisco il 69% dei redditi, circa 32 miliardi di euro nel 2019. In ogni caso il contribuente che supera la soglia degli 85 mila euro di ricavi o compensi, entro i 100 mila, può rimanere nel regime forfettario al 15% per l’anno in corso e uscirà dal successivo.
La flat tax per i dipendenti
Questo quadro potrebbe cambiare se il governo inserisse forme di flat tax per alcuni lavoratori dipendenti, come spinge per fare la Lega di Matteo Salvini.
Tutto, però, dipenderebbe dalla fascia di reddito prescelta e dalle modalità con cui questa tassa piatta verrebbe applicata. Al momento la presidente del Consiglio Giorgia Meloni frena su questa riforma: i soldi a disposizione nelle casse dello Stato sono troppo pochi.
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