Dalla rivoluzione del 2014 di EuroMaidan ai conflitti in Crimea e Donbass, l’Ucraina è un Paese molto cambiato nel nuovo millennio. Il ricercatore Simone Bellezza spiega quali sono le radici dell’invasione delle truppe russe e perché Kiev è così importante per Putin.
Il 24 febbraio il presidente russo, Vladimir Putin, ha dato il via all’invasione militare dell’Ucraina. Un progetto che nasce da lontano e che non è legato solamente al ruolo strategico e geopolitico di alcuni territori come Donbass e Crimea.
Simone Attilio Bellezza, ricercatore di Storia contemporanea all’università Federico II di Napoli e autore del libro Il destino dell’Ucraina. Il futuro dell’Europa, spiega in un’intervista a Money.it come si è arrivati al conflitto di oggi e perché per Putin l’Ucraina sia così importante.
Dall’EuroMaidan, la cosiddetta Rivoluzione della dignità del 2014, al conflitto in Crimea e Donbass, Bellezza ricostruisce i passaggi fondamentali della storia recente ucraina e smonta le dichiarazioni di Putin sulla presunta denazificazione di Kiev.
Da dove nasce la volontà di Putin di conquistare l’Ucraina? Perché è così importante per lui?
Per Putin è importante perché fa parte di una classe dirigente russa, cioè gli ex dirigenti del Kgb che hanno visto crollare l’impero sovietico, che continua a coltivare il sogno di ricostruire un impero nei termini fissati da alcuni intellettuali che pronosticavano la nascita di una grande Russia dopo il crollo sovietico. Putin fa parte di quella generazione che ha sofferto il crollo dell’Unione Sovietica anche come smacco personale, come possibilità mancata per la sua generazione, e da sempre lavora alla rinascita dell’impero, Impero in cui l’Ucraina è centrale per popolazione, terre, grano. Putin ha continuato a immaginare l’identità russa con una missione imperiale che passa attraverso la conquista dell’Ucraina come una delle prime tappe.
Quindi l’obiettivo è la nascita di un impero più che motivazioni economiche o geopolitiche...
Quello è il motivo per cui da sempre Putin vuole riacquistare influenza sull’Ucraina: lo ha fatto finché ha potuto con mezzi da soft power, influenzando le elezioni - come nel 2004 appoggiando Viktor Yanuokich - lo ha fatto con una guerra di propaganda, con la guerra del gas. Poi quando ha visto, nel 2014, che non riusciva nel suo intento con la rivoluzione dell’EuroMaidan ha iniziato a utilizzare le armi. Sta da sempre nel piano di rilancio della Russia come una grande potenza il progetto di conquista dell’Ucraina.
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Una delle tappe fondamentali è stata la rivoluzione di EuroMaidan: cosa è successo tra il 2013 e il 2014?
Io credo che l’Ucraina stesse compiendo un processo di democratizzazione ed europeizzazione cominciata nel 1999, inizia un progetto di trasformazione politica, sociale, culturale, nasce il sogno di entrare nell’Ue. Quando va al potere Yanukovich nel 2010 cerca di’imprimere al Paese un’evoluzione diversa, si ispira esplicitamente a Putin. Forse l’elemento che non si aspettava - al di là della scintilla della mancata firma dell’accordo con l’Ue - sono le proteste che non scattano subito, ma quando gli studenti universitari vengono picchiati dalla polizia. Lì ricorda agli ucraini che sta cercando di trasformarsi in un dittatore come Putin. Scatta l’EuroMaidan, la Rivoluzione della dignità, una rivoluzione contro quel presidente che cerca di fare come in Russia. Si salda questa idea che gli ucraini siano democratici, filo-europei, contro la Russia, la dittatura, Putin, l’oligarchia.
E come reagisce Putin ad EuroMaidan?
Questo è quello che dall’altra parte contribuisce ad alimentare le paure di Putin, che vede nell’Ucraina quello che teme possa accadere anche in Russia se si avvia un processo di democratizzazione. A maggior ragione vuole mettere fine a quel processo che pare di successo, di democratizzazione, di un Paese ex sovietico e per nulla marginale. Gli ucraini, dopo il 2014, legano sempre di più la Russia alla figura del nemico. Si salda un’altra opposizione, quella degli ucraini che non credono più alla Russia: è diventato un tradimento, è il nemico.
Putin parla di denazificazione dell’Ucraina, anche in riferimento a Maidan: perché e quanto c’è di fondato in queste accuse?
Putin lo fa in realtà perché, sin dagli anni di Breznev, uno dei momenti più importanti nella memoria collettiva russa è quello della seconda guerra mondiale, la Russia è tra gli Stati che hanno vinto la guerra e quindi ha sconfitto i nazisti. Nella piazza dell’EuroMaidan c’era anche una componente di estrema destra che ha giocato un ruolo chiave nell’organizzazione delle proteste armate e dello scontro con la polizia. Il fatto è che questi movimenti di estrema destra, come l’organizzazione paramilitare dell’EuroMaidan, quando si presentano alle elezioni prendono delle percentuali risibili, non più dell’1%. Questo nazionalismo neo-fascista in realtà non ha presa e non ha seguito nell’elettorato ucraino. I nemici da sempre in Russia si chiamano nazisti e si accusano gli ucraini, anche perché alcuni hanno realmente collaborato con il nazismo. Sono grandi categorie che la Russia mutua dal periodo della seconda guerra mondiale. È ridicolo dire che Zelensky, che ha vinto le elezioni democratiche ed è ebreo, sia nazista, ma sta nella macchina della propaganda del mondo informativo russo.
Da chi era davvero composta la piazza del 2013-2014? EuroMaidan aveva il sostegno di tutta la popolazione ucraina?
Ovviamente è sempre difficile stabilire dei numeri fissi, ma di sicuro c’era un grande sostegno popolare: era una piazza che ha resistito a lungo, per alcuni mesi, e senza sostegno della popolazione non era possibile farlo. C’era anche una parte di élite contraria a Yanukovich, perché investiva la ricchezza del Paese in opere pubbliche che andavano con gli appalti solo agli oligarchi della sua parte. E anche questi oligarchi sostengono la piazza, non a caso dopo le proteste viene eletto Poroshenko come primo presidente, lui che è uno di questi oligarchi. Questo spiega anche perché ci sia un dissidio interno all’Ucraina: non credo in quello linguistico, ma le regioni dell’Est insorgono contro il corso politico iniziato con Maidan, perché Yanukovich aveva per la prima volta messo gli interessi economici di questa regione al centro del Paese.
Cosa era cambiato?
Prima al centro della politica ucraina c’erano sempre altre città, soprattutto Kiev, Leopoli, Dnipro. Yanukovich rappresenta un’eccezione, ha alle spalle un oligarca - Akhmetov - che ha la sua base in quelle regioni. Quando la Russia inizia a infiltrare i propri agenti, a dichiarare le regioni autonome, lo stesso Akhmetov capisce che deve passare dall’altra parte. Quando viene eletto Poroshenko è lì, anche lui. C’era un dissidio interno all’Ucraina, essenzialmente economico, anche se molto spesso viene presentato come linguistico.
Non esiste davvero la divisione linguistica tra russo e ucraino?
Il russo e l’ucraino non vengono parlati come viene raccontato sui media, sono le città a essere russofone, anche quelle dell’ovest parlano russo, e sono le campagne che parlano ucraino, ma nelle statistiche le campagne sono più a ovest mentre a est ci sono le città. Gli ucraini non sono mai stati gli abitanti delle grandi città, che sono state prima polacche, poi russe, ma non di lingua ucraina. Solo dagli anni Cinquanta alcune città iniziano a parlare tanto l’ucraino. La distinzione non è tra Est e Ovest, ma tra città e campagna.
A livello geopolitico poi ci sono questioni come il Donbass, la Crimea: cosa rappresentano quei territori per Putin?
La Crimea ha sempre rappresentato nella storia russa uno snodo importante per l’impero dal punto di vista geopolitico. Contro l’impero ottomano, per esempio, è stato un avamposto strategico. Lì l’argomentazione geopolitica tiene. Per il Donbass non è così importante, tanto che Putin non era per l’annessione all’interno della Repubblica russa, quello che è stato fatto dal 2014 era cercare di tenere una situazione di conflitto aperto nel Paese nella speranza che il corso politico a Kiev fosse destabilizzato. Anche l’elezione di Zelensky dimostra che in Ucraina la democrazia funziona abbastanza, c’è stata un’alternanza al potere. Putin ha capito che la guerra ibrida non funzionava, non destabilizzava abbastanza il sistema, non credo ci fosse altro considerando che parliamo di regioni che hanno un’economia molto vecchia e arretrata. Non c’è interesse economico e strategico, serviva per mantenere alta la tensione.
Se dovesse vincere la Russia, gli ucraini potrebbero mai accettare l’ingerenza di Mosca?
Secondo me no, questo è uno dei momenti strategici più difficili per risolvere questa guerra. Il problema è che gli ucraini non vogliono accettare una soluzione con l’Ucraina mutilata politicamente, dall’altra parte Putin non può accettare di essere sconfitto. Qui bisogna vedere qual è la posizione della Cina: se non ha intenzione di sostenere Putin in questo sforzo bellico, il problema è che Mosca non riuscirà a mantenere lo sforzo bellico ancora per molto tempo e quello che possiamo sperare è che la stanchezza da guerra induca Putin a fare meno richieste. Magari accontentarsi del riconoscimento della Crimea e della neutralità dell’Ucraina che non precluda altre alleanze al di là della Nato, allora sarebbe possibile trovare un accordo. Vista così, per come stanno le cose, sembra impossibile che Putin, anche se può vincere, possa poi pensare di tenere il Paese con la forza. Oppure c’è l’opzione cecena, con Putin che arriva a una guerra quasi genocidiale, radendo al suolo le città dell’Ucraina, facendo degli spostamenti forzati della popolazione: in quel caso forse il conflitto continuerebbe molto molto a lungo. Ma porterebbe a una guerriglia continua.
Il presidente ucraino Zelensky gode dell’appoggio della popolazione e degli oligarchi? Stanno davvero tutti con lui ora?
Io credo di sì: è stato molto criticato da tutti all’inizio, ma poi da presidente prima del conflitto si è comportato molto molto bene e ha fatto delle riforme che il Paese stava aspettando, aveva davvero iniziato a fare delle riforme anti-oligarchi, anche contro quelli che lo aiutavano. Aveva davvero cercato di riportare il primato della politica. Da quando è cominciato il conflitto, pensiamo anche al dissidio forte con Poroshenko che una settimana prima della guerra era accusato di alto tradimento, ha invece pienamente appoggiato Zelensky in questo sforzo militare. La società ucraina si è davvero tanto ricompattata, come nel 2014. L’attacco della Russia ha ricompattato tantissimo la popolazione. Prima si diceva che era divisa in due, prima del 2014, ma dopo il 2014 per esempio i presidenti della Repubblica sono stati eletti con la maggioranza dei voti in tutte le regioni, all’Est quanto all’Ovest, sia Poroshenko che Zelensky. Adesso gli ucraini, in un momento di guerra, si sono ritrovati tutti sulla stessa barca.
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