Guerra commerciale Cina-Occidente, chi vince e chi perde davvero?

Violetta Silvestri

1 Luglio 2024 - 15:45

Nella guerra commerciale Cina-Usa-Europa si delineano già potenziali vincitori e perdenti. Chi può rafforzarsi e cosa può andare storto con un conflitto a colpi di dazi?

Guerra commerciale Cina-Occidente, chi vince e chi perde davvero?

La guerra commerciale tra Cina, Stati Uniti ed Europa a colpi di dazi e ritorsioni - reali o solo minacciate - sta già ridisegnando rotte, relazioni economiche, equilibri tra potenze. Ma chi sarebbero i veri vincitori (e i grandi perdenti) in questa dinamica così conflittuale?

Le analisi degli esperti abbondano sul tema, considerando che le elezioni Usa di novembre potrebbero sancire davvero l’escalation del protezionismo e le rivalità tra le più grandi economie mondiali. Se gli Stati Uniti promettono una continuazione della politica tariffaria contro la Cina sia con Biden che (soprattutto) con Trump, il dragone non resterà a guardare e ha già accusato gli Usa di intollerabili interferenze.

Sulla stessa scia si sta muovendo l’Europa a caccia di partner affidabili per le materie prime e di concorrenti leali in settori chiave come quello delle auto elettriche. E questa lealtà non l’ha trovata a Pechino, con il 4 luglio pronto a sancire dazi fino al 48% sui veicoli elettrificati importati dalla Cina.

Lo scenario economico sembra chiaro. Il crescente protezionismo e la contrazione del commercio transfrontaliero potrebbero frenare la crescita ovunque, ma gli Stati Uniti, la superpotenza economica e valutaria mondiale, dispongono di livelli di protezione che altri non hanno. Sono loro i veri vincitori della guerra commerciale? Un’analisi su chi perde e chi ci guadagna in questa accesa rivalità.

Guerra commerciale Usa-Cina-Europa: chi sono i vincitori?

La natura relativamente chiusa dell’economia, l’importanza globale dei mercati azionari e obbligazionari statunitensi e il peso del dollaro nelle riserve internazionali rendono gli Usa vincenti in partenza secondo la riflessione di Jamie McGeever su Reuters.

Ciò non significa che la potenza americana non ne soffrirà: la crescita rallenterebbe e l’inflazione potrebbe aumentare. Un’inflazione più elevata ritarda o forse elimina i tagli dei tassi di interesse della Fed impattando sulla valuta, mentre la crescita in Europa e Asia sarebbe più vulnerabile.

In breve, è probabile che il biglietto verde operi come ancora di salvezza rispetto alle altre valute, nessuna delle quali ha lo status di rifugio sicuro del dollaro. E nel mondo dei tassi di cambio tutto è relativo.

Non solo il dollaro ne uscirebbe rafforzato. Gli Stati Uniti appaiono in vantaggio anche per la crescita, visto che un’economia molto meno aperta rispetto alle sue controparti europee o cinesi significa che l’interruzione del commercio dovrebbe avere un impatto relativamente limitato.

Secondo la Banca Mondiale, le esportazioni statunitensi di beni e servizi hanno rappresentato l’11,8% del Pil nel 2022, rispetto al 20,7% della Cina. I dati Eurostat mostrano che l’anno scorso le esportazioni di beni della zona euro valevano il 20% del Pil. Anche il deficit commerciale Usa sarebbe ridimensionato, visto che attraverso l’onshoring, l’autosufficienza energetica e una spinta a rilanciare la produzione manifatturiera nazionale l’economia statunitense si sta ristrutturando.

“Ulteriori aumenti dell’incertezza sulla politica commerciale pongono un significativo rischio al ribasso per le nostre prospettive di crescita globale nella seconda metà del 2024 e nel 2025... con effetti maggiori nelle economie in cui le esportazioni rappresentano una quota maggiore del Pil”, hanno scritto martedì gli economisti di Goldman.

Nel tentativo di quantificare i rischi per la crescita degli Stati Uniti e dell’Eurozona hanno analizzato la guerra commerciale del 2018-2019 e impiegato tre lenti di osservazione: i commenti delle società statunitensi ed europee sull’incertezza commerciale, i rendimenti azionari sugli annunci tariffari e i modelli di investimento tra Paesi.

Il risultato è stato che un aumento dell’incertezza sulla politica commerciale ai livelli del 2018-2019 probabilmente ridurrebbe la crescita del Pil statunitense di tre decimi di punto percentuale. Il colpo stimato alla crescita della zona euro sarebbe tre volte maggiore.

Chi sono i perdenti in una guerra dei dazi?

Cina ed Europa sono i grandi perdenti di questa battaglia commerciale?

Il dragone ha i suoi punti deboli. I problemi economici interni e la posizione geopolitica della Cina sono sufficienti a rendere gli stranieri diffidenti nell’investire nel Paese. Ma non è una coincidenza che i flussi di investimenti diretti esteri in Cina stiano precipitando al ritmo più veloce degli ultimi 15 anni, proprio mentre le tensioni commerciali si aggravano.

Le azioni cinesi stanno sottoperformando, appena in territorio positivo per quest’anno e dopo un terribile 2023. Pechino sta lottando per sostenere lo yuan, che è al minimo degli ultimi sette mesi rispetto al dollaro.

Le azioni europee e l’euro non vanno meglio e non hanno reagito favorevolmente alle novità sui dazi che Bruxelles sta imponendo su alcune importazioni dalla Cina. Considerando quanto sono stretti i legami commerciali tra la zona euro e la Cina, questo non dovrebbe sorprendere.

La zona euro importa più beni dalla Cina che da qualsiasi altra parte del mondo, e il peso dello yuan nell’euro ponderato per il commercio rivaleggia con quello del dollaro. Le tensioni commerciali tra Cina ed Europa colpiranno duramente l’euro.

E poiché l’euro ha un peso vicino al 60% nell’indice più ampio del dollaro, esiste naturalmente una forte correlazione inversa tra il destino dell’euro e quello del dollaro.

Gli analisti della Deutsche Bank prevedono che il dollaro “rimarrà più forte più a lungo” quest’anno e l’anno prossimo, anche se lo slancio potrebbe affievolirsi man mano che il ciclo si allunga.

Un atteggiamento più bellicoso sul commercio da parte di chi vincerà la Casa Bianca a novembre, tuttavia, rappresenterebbe un importante sviluppo positivo per il dollaro e probabilmente spingerebbe l’euro nuovamente verso la parità.

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