Esploriamo il significato del reato di vilipendio, le sue conseguenze giuridiche e i limiti alla libertà d’espressione.
Viviamo in un’epoca in cui la comunicazione è diventata istantanea e globale, amplificando sia le potenzialità di libertà di espressione sia i rischi di fraintendimenti e conflitti con le istituzioni. Il reato di vilipendio non consiste in una semplice critica o manifestazione d’opinione, bensì, in un atto deliberato di denigrazione che può minare il prestigio e l’autorevolezza delle istituzioni pubbliche, come lo Stato, le forze armate o i simboli nazionali.
Ciò che molti ignorano è che anche un semplice post sui social media, spesso scritto con leggerezza o sull’onda dell’emozione, può avere conseguenze legali rilevanti. I social network, infatti, sono considerati luoghi pubblici ai fini del diritto penale, poiché consentono la diffusione di contenuti a un numero potenzialmente illimitato di persone. Una frase scritta senza riflettere, un meme offensivo o una battuta di cattivo gusto possono costituire prova di vilipendio e portare a una condanna.
La nostra guida illustra il significato giuridico del vilipendio, le origini storiche, le norme e i principali dibattiti giurisprudenziali. Può una democrazia tollerare il disprezzo verso le sue istituzioni senza compromettere i suoi stessi valori? Scopriamolo insieme.
Cosa significa vilipendio? Significato e definizione
Il termine vilipendio deriva dal latino “vilipendere” che significa “considerare di poco valore”, quindi manifestazione di disprezzo e disistima nei confronti di qualcuno o qualcosa. Il reato di vilipendio è un’offesa che lede il prestigio e l’onore di enti o simboli di rilevanza pubblica, tra cui rientrano lo Stato, le istituzioni costituzionali e le forze armate.
A differenza di altre forme di offesa, “il vilipendio non riguarda la singola persona ma un soggetto collettivo di rilevanza istituzionale”.
Quando si configura il reato di vilipendio?
Il sintesi il reato di vilipendio si configura quando l’offesa è:
- rivolta a entità pubbliche: istituzioni, forze armate e simboli dello Stato;
- commessa pubblicamente: ad esempio durante un discorso, una manifestazione o sui social media;
- esplicitamente denigratoria: ovvero emerge chiaramente la volontà di disprezzo nei confronti del soggetto.
Vilipendio e libertà d’opinione
Il reato di vilipendio e il diritto alla libertà di opinione sono spesso oggetto di un delicato bilanciamento. La libertà di espressione è un diritto costituzionalmente garantito dall’art. 21 della Costituzione il quale sancisce che:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione [...]”
Questo diritto è inoltre tutelato a livello internazionale, in particolare dall’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) in quanto afferma che:
“Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include [...] la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, [...]”
La Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale hanno, nel corso degli anni, definito con maggior precisione i confini tra critica e vilipendio, sviluppando un orientamento giurisprudenziale che cerca di proteggere la libertà d’espressione pur garantendo il rispetto delle istituzioni. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30329 del 2016, ha stabilito che la critica, anche aspra, rivolta a un’istituzione pubblica non configura vilipendio se è finalizzata a sollevare un dibattito pubblico su questioni di interesse generale e non è guidata da un intento deliberato di disprezzo. In questo senso, la critica può essere considerata legittima se non travalica in un’offesa intenzionale, diretta a screditare il prestigio delle istituzioni.
La normativa di riferimento
Il vilipendio trova regolamentazione nel Codice Penale, in particolare l’art. 290 c.p. afferma che:
“Chiunque pubblicamente vilipende la Repubblica, le Assemblee legislative o una di queste, ovvero il Governo o la Corte Costituzionale o l’Ordine giudiziario, e’ punito [...]”
La legge stabilisce che tali atti di offesa possano avvenire attraverso parole, gesti, scritti o immagini, e che essi siano sanzionabili per il loro potenziale di minare il rispetto e la fiducia nelle istituzioni. Tale previsione si giustifica, secondo la giurisprudenza, nella necessità di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza istituzionale.
L’art. 292 c.p. amplia questa tutela a simboli specifici dello Stato, come la bandiera e altri emblemi ufficiali, e stabilisce che chiunque li disonori pubblicamente sia passibile di sanzioni pecuniarie o penali.
“Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione fino a due anni.”
Negli ultimi anni, si è aperto un dibattito in sede dottrinale sulla possibilità di una riforma del reato di vilipendio, per allinearlo maggiormente ai principi di libertà d’espressione, introducendo sanzioni alternative a quelle penali per evitare che il reato di vilipendio possa limitare il pluralismo democratico e scoraggiare il libero confronto delle idee.
Come si denuncia un caso di vilipendio?
Il vilipendio, è un reato perseguibile d’ufficio, perciò, non richiede una querela da parte dell’offeso ma può essere oggetto di denuncia da chiunque venga a conoscenza dell’atto offensivo. Il procedimento penale si avvia dunque su iniziativa del pubblico ministero, e il giudice deve valutare se l’atto denunciato sia tale da configurare vilipendio in base alle disposizioni di legge. Nelle indagini preliminari, il contesto delle dichiarazioni è rilevante per stabilire se vi sia un intento offensivo, o se le parole utilizzate rientrino nei limiti della critica legittima.
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Come si distingue il vilipendio dalla diffamazione?
Per configurare il reato di vilipendio l’offesa deve essere rivolta al soggetto come figura istituzionale, quindi all’onore o al prestigio legati al suo ruolo. Se l’offesa è rivolta alla persona come privato cittadino, diffondendo pubblicamente una falsa accusa, riferendosi a fatti lesivi della sua reputazione personale e non dell’onore o del prestigio della sua carica, si incorre nel reato di diffamazione.
Pur essendo entrambi reati contro l’onore, il vilipendio è strettamente connesso alla tutela di entità o simboli pubblici di rilevanza collettiva, mentre la diffamazione riguarda l’onore e la reputazione di persone fisiche o giuridiche private.
Tipi di vilipendio
Il reato di vilipendio si articola in diverse tipologie, ognuna delle quali ha come oggetto specifico un’entità o un simbolo pubblico, distinto per il ruolo che riveste nella società e nel contesto istituzionale italiano.
Vilipendio delle istituzioni costituzionali
Il vilipendio delle istituzioni costituzionali è un reato che punisce chiunque offenda pubblicamente l’onore o il prestigio delle istituzioni della Repubblica, tra cui il Parlamento, il Governo, la Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica. Per configurare il vilipendio delle istituzioni è necessario che l’offesa sia pubblica e intenzionale e che si verifichi tramite espressioni o comportamenti che possano oggettivamente ledere il prestigio dell’istituzione e suscitare disprezzo o mancanza di rispetto.
Ad esempio, immaginiamo che durante un comizio, una persona si rivolga al Presidente della Repubblica con parole oltraggiose e volgari, definendolo in modo esplicito come un “traditore” o un “criminale” senza alcuna base di critica politica, solo con intento denigratorio. In questo caso, si configura il vilipendio in quanto si tratta di un’offesa diretta al prestigio e alla dignità della più alta carica dello Stato.
Vilipendio delle forze armate
Il reato di vilipendio delle forze armate riguarda l’offesa rivolta pubblicamente all’onore o al prestigio delle forze armate dello Stato, intendendo con queste non solo l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica ma anche i corpi di polizia a ordinamento militare come l’Arma dei Carabinieri. La norma si fonda sulla necessità di proteggere l’integrità e la dignità delle forze armate, istituzioni che rivestono un ruolo cruciale per la sicurezza e la difesa nazionale. La tutela mira a garantire che il prestigio di queste istituzioni non venga compromesso da atti o parole di disprezzo pubblico, considerati pericolosi per l’ordine pubblico e per la coesione sociale.
La tutela delle forze armate si collega strettamente alla protezione dell’ordine pubblico, motivo per cui le offese a tali istituzioni possono, in alcuni casi, essere considerate aggravanti per altri reati. La Cassazione ha stabilito in diverse pronunce che l’atto di vilipendio, quando accompagna comportamenti di disordine pubblico o violenza, può aggravare il reato di cui è contesto, poiché è inteso come un segnale di disprezzo verso le istituzioni che garantiscono la sicurezza nazionale.
Vilipendio alla bandiera e altri simboli dello Stato
Il vilipendio alla bandiera e agli altri simboli dello Stato punisce chiunque pubblicamente distrugga, danneggi, deteriori, imbratti o, comunque, compia atti oltraggiosi verso la bandiera italiana o altri simboli nazionali ufficiali. Il legislatore ha introdotto questa norma per tutelare i simboli che incarnano l’identità nazionale e rappresentano l’unità, la storia e i valori della Repubblica Italiana.
Il fondamento della norma risiede nella volontà di preservare il prestigio e la dignità dei simboli che incarnano l’unità nazionale. La bandiera, in particolare, non è solo un emblema istituzionale ma rappresenta il popolo italiano e l’unità dello Stato. L’oltraggio a questo simbolo viene considerato un attacco alla collettività stessa, motivo per cui la legge riserva una tutela rigorosa. Tale protezione si estende anche agli emblemi ufficiali delle istituzioni, come il gonfalone della Repubblica o gli stemmi dei corpi militari.
Vilipendio nell’ambito religioso
Correlato al tema, c’è anche il vilipendio delle religioni che punisce chiunque pubblicamente offenda una confessione religiosa mediante vilipendio di persone, cose o luoghi venerati. Ciò è finalizzato alla tutela del sentimento religioso collettivo e a prevenire atti che possano generare offesa verso una comunità di credenti, garantendo al contempo il rispetto verso tutte le confessioni riconosciute.
La normativa tutela non solo le persone ma anche le cose o i luoghi che per una data comunità religiosa hanno valore di sacralità, come ad esempio chiese, santuari o simboli sacri.
Sanzioni e pene in presenza di vilipendio
Le sanzioni e pene per i reati di vilipendio sono modulati in base alla gravità dell’atto, al contesto e al soggetto offeso. In particolare abbiamo:
- vilipendio delle istituzioni costituzionali: la sanzione pecuniaria che può andare da un minimo di 1.000 euro a un massimo di 5.000 euro;
- vilipendio delle forze armate: anche qui la sanzione varia da 1.000 a 5.000 euro. Tuttavia, in casi di particolare gravità, qualora il vilipendio venga ritenuto lesivo per l’ordine pubblico o possa generare un allarme sociale, il giudice può applicare aggravanti che aumentano l’entità della sanzione;
- vilipendio alla bandiera e agli altri simboli dello Stato: prevede la reclusione fino a 2 anni o una multa fino a 5.000 euro.
Alcuni progetti di legge propongono di sostituire le pene detentive con sanzioni amministrative o pecuniarie per episodi di vilipendio che non comportano minacce dirette alla sicurezza pubblica o all’autorità delle istituzioni.
Quali sono le sanzioni per il vilipendio della religione?
L’art. 403 c.p. prevede una multa da 1.000 a 5.000 euro per chiunque offenda pubblicamente una confessione religiosa riconosciuta dallo Stato.
Inoltre, la legge prevede la reclusione fino a 2 anni per chi distrugge, deteriora, imbratta o comunque offende pubblicamente cose destinate al culto religioso; e per chi impedisce o turba cerimonie o funzioni religiose, prevedendo aggravanti se il reato è compiuto con violenza fisica, minacce o durante una funzione religiosa in un luogo di culto.
Vilipendio: un po’ di storia ed esempio concreto
Il reato di vilipendio ha radici profonde nella storia giuridica italiana e risale ai primi codici penali dello Stato unitario, come il Codice Zanardelli del 1889, che già prevedeva disposizioni specifiche per chiunque commettesse atti offensivi verso le istituzioni. L’Italia unificata, rifletteva le esigenze e i valori di una società fortemente influenzata dalla tradizione monarchica e dal rispetto per le istituzioni e i simboli di Stato, in un periodo in cui l’autorità istituzionale era considerata sacra e centrale per il mantenimento dell’ordine pubblico.
Il Codice Zanardelli prevedeva pene molto severe per il vilipendio contro il re o la casa reale, con pene detentive che potevano arrivare fino a diversi anni di reclusione. Le offese ai simboli di Stato, come la bandiera, erano anch’esse sanzionate severamente, con pene detentive o pecuniarie elevate.
Con l’introduzione del Codice Penale Rocco durante il regime fascista, la normativa sul vilipendio subì una trasformazione significativa. Il reato fu ampliato per includere fattispecie più estese e prevedere pene più rigide, riflettendo il clima autoritario del periodo. L’accento fu posto non solo sulla tutela delle istituzioni, ma anche sulla protezione dell’ideologia fascista e dei suoi simboli.
Con la nascita della Repubblica e l’entrata in vigore della Costituzione del 1948, la normativa sul vilipendio venne riformulata per adeguarsi ai principi democratici. L’attuale disciplina si fonda su una visione meno repressiva, limitando le fattispecie di vilipendio e modulando le pene in modo proporzionato alla gravità dell’atto. A differenza del Codice Zanardelli, dove le pene detentive erano applicate anche per atti minori, la normativa attuale riserva la reclusione a casi particolarmente gravi, come l’oltraggio alla bandiera o ai simboli dello Stato.
Caso del vilipendio della bandiera
Un esempio rilevante è il caso di vilipendio alla bandiera oggetto della sentenza della Cassazione n. 20339 del 2018. Il caso trae origine da una manifestazione pubblica in cui un partecipante, per protesta contro il governo, aveva calpestato una bandiera italiana davanti a una folla, accompagnando il gesto con espressioni di disprezzo rivolte al simbolo nazionale. Il gesto, ripreso e diffuso sui social media, aveva suscitato indignazione e attirato l’attenzione delle autorità, dando avvio a un procedimento penale. Secondo l’accusa, il comportamento dell’imputato era configurabile come vilipendio, essendo un atto pubblico idoneo a ledere il prestigio e l’onore della bandiera italiana, simbolo dell’unità e dell’identità nazionale.
In primo grado, il tribunale aveva condannato l’imputato a una pena pecuniaria, ritenendo che il calpestamento della bandiera fosse un gesto deliberatamente offensivo e intenzionato a denigrare il simbolo nazionale. La difesa, tuttavia, aveva sostenuto che l’atto rappresentasse una forma di espressione simbolica riconducibile alla libertà di manifestazione del pensiero, garantita dall’art. 21 Cost.
Il caso era stato successivamente portato all’attenzione della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna, stabilendo che la tutela della bandiera è prioritaria rispetto alla libertà di espressione in casi di vilipendio intenzionale, inoltre, la libertà di espressione non può giustificare gesti esplicitamente offensivi.
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