Tutto quello che c’è da sapere sull’incontro Trump-Kim Jong-un di domani: perché rappresenta un evento storico, i punti in ballo e le possibili conseguenze per gli assetti geopolitici mondiali.
Il primo incontro Trump-Kim Jong-un sta per andare in scena a Singapore, con conseguenze potenzialmente cruciali per l’Asia e l’intera comunità internazionale.
Il presidente degli Stati Uniti e quello della Corea del Nord, che domenica sono arrivati separatamente nella città-stato del Sud-Est asiatico, si incontreranno domani al Capella Hotel, albergo di lusso sull’isola di Sentosa.
Da Washington si augurano che questo confronto sia solo il primo di una lunga serie con il governo nordcoreano, perché più incontri potrebbero culminare con la rinuncia di Kim alla sua preoccupante corsa al nucleare, programma di armamenti che è diventato una minaccia concreta per vicini come Seoul e Tokyo - e potenzialmente anche per il continente americano.
Per decenni, Pyongyang ha cercato di dipingere la più grande economia del mondo come un aggressore imperialista per via del suo ruolo nella guerra di Corea, mentre contemporaneamente ha incolpato Washington per la terribile situazione economica del Paese, aggravata dalle sanzioni internazionali.
La Corea del Nord ha a lungo sostenuto la necessità di dotarsi di armi nucleari alla luce della “minaccia nucleare estrema e diretta” da parte degli Stati Uniti, accusati di spingere per un cambio di regime.
L’incontro di martedì è considerato una svolta diplomatica storica, ma secondo molti esperti rappresenta un errore da parte di Washington, dal momento che legittima il regime di Kim Jong-un e lo mette sullo stesso piano di quello di Trump. Ma, andando avanti nella loro analisi, gli analisti geopolitici hanno anche affermato che un obiettivo realistico potrebbe essere il raggiungimento di una iniziale fiducia in grado di allentare il clima di enorme tensione e diffidenza che esiste al momento tra i due leader e i due Paesi.
I punti cruciali dell’incontro e tutte le relative criticità potrebbero essere così riassunte:
1) Incontro Trump-Kim Jong-un: non ci si aspettano risultati concreti
Esperti di nucleare e sicurezza non credono che Pyongyang rinuncerà a un punto diventato centrale per l’identità della Corea del Nord.
In passato, il Paese ha fatto sapere di essere disposto a denuclearizzare solo a determinate condizioni, che includono la fine della presenza militare americana in Corea del Sud e la fine del cosiddetto ombrello nucleare statunitense, ovvero quell’accordo di sicurezza per cui Washington promette di difendere Paesi alleati se questi vengono attaccati con armi nucleari.
Secondo Michael Kovrig, senior advisor all’International Crisis Group, il più grande rischio del summit è che si ottenga un accordo politico dalle prospettive interessanti, che poi però crolli sui dettagli - “forse non in sei mesi, forse non in un anno ma in cinque anni”:
“Ecco perché abbiamo bisogno di un procedimento chiaro, che vada avanti passo passo creando un clima di sicurezza in cui i nordcoreani sono effettivamente disposti a prendere provvedimenti e gli Stati Uniti sono in grado di monitorare e verificare quei passaggi”.
Anche se il summit si concludesse con una dichiarazione di impegno alla denuclearizzazione da parte della Corea de Nord, non ci sarebbe poi nessuna vera garanzia. Il regime di Kim Jong-un ha preso impegni in precedenza e il controllo della conformità a un nuovo accordo potrebbe rappresentare una sfida.
2) Ipotesi denuclearizzazione: quali compromessi alla base?
Prima del vertice si è discusso a lungo sulla volontà della Corea del Nord di “denuclearizzare” in cambio di una riduzione delle pressioni degli Stati Uniti e di quelle internazionali.
Ma secondo molti i due Paesi danno un significato molto diverso al termine denuclearizzazione.
Per il governo di Trump vuol dire che la Corea del Nord rinuncia agli armamenti nucleari. Ma per Pyongyang la denuclearizzazione include la cessazione delle alleanze americane nella regione e la rimozione della sua presenza militare nella Corea del Sud.
Secondo Victor Cha, professore alla Georgetown University e senior advisor presso il Center for Strategic and International Studies, si tratterebbe quindi di
“un significato molto diverso rispetto alla massiccia denuclearizzazione della penisola coreana”.
3) Il vertice potrebbe essere solo un altro trucco della Corea del Nord?
La volontà di tenere i colloqui manifestata da Kim è solo uno stratagemma per ottenere concessioni secondo alcuni strategist, i quali credono che il dittatore stia semplicemente replicando l’approccio dei suoi predecessori nei precedenti tentativi di negoziare la pace.
Anni di negoziati falliti, in particolare durante il cosiddetto Six-party talks - i colloqui a sei che miravano a un disarmo della Corea del Nord nel periodo 2003-2009 - segnalano un’abitudine storica del Paese ad aprirsi a un dialogo in cambio di risorse, aiuti, un allentamento delle sanzioni - o semplicemente per guadagnare tempo prezioso alla finalizzazione del suo programma nucleare.
4) Il resto dell’Asia osserva da vicino
L’esito del vertice di domani assumerà un’importanza cruciale per l’intera Asia, in particolare per Seoul, Tokyo e Pechino, ricorda la CNBC.
Se la Corea del Nord insisterà sulla rimozione delle truppe statunitensi nel Paese in cambio di un disarmo organizzato, le nazioni asiatiche non vedranno più Washington come una presenza militare stabile nella regione. E intanto Corea del Sud e Giappone potrebbero essere esposte ai missili a corto raggio di Kim.
Tuttavia, una presenza americana meno massiccia potrebbe in realtà giocare a favore di Pechino e Mosca, entrambe interessate a ridurre il predominio degli Stati Uniti nell’Asia settentrionale.
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