Paura inflazione USA, PCE core accelera più delle attese. Brutta notizia per tassi Fed e Wall Street

Laura Naka Antonelli

28/03/2025

Annunciato il PCE core, il dato preferito dalla Fed per monitorare il trend dell’inflazione degli Stati Uniti e per decidere dunque sui tassi. Nasdaq -2,4%.

Paura inflazione USA, PCE core accelera più delle attese. Brutta notizia per tassi Fed e Wall Street

È stato pubblicato oggi il PCE core, ergo il dato preferito dalla Fed per monitorare il trend dell’inflazione degli Stati Uniti e, dunque, per determinare anche la direzione dei tassi sui fed funds. E il segnale non è stato positivo, tanto che Wall Street ha puntato subito verso il basso.

Il PCE core, ovvero la componente core del Personal Consumption Expenditures Price Index - dato chiave e tra i market mover più importanti della settimana di contrattazioni che sta volgendo al termine - è salito a febbraio al ritmo annuo del 2,8%, più del rialzo del 2,7% previsto dal consensus degli analisti, tornando ad accendere di nuovo, negli Stati Uniti, i timori su una accelerazione dell’inflazione.

PCE core rialza la testa, +2,8% a febbraio 2025. Cattivo segnale per Wall Street e tassi Fed

Cattivo segnale per Wall Street e per la Fed di Jerome Powell, con quest’ultima che, dall’inizio del 2025, ha preferito far rimanere i tassi di interesse degli Stati inchiodati nel range compreso tra il il 4,25% e il 4,5%, a dispetto degli appelli di Donald Trump e, ironia della sorte, proprio a causa di Donald Trump, ovvero a causa dei possibili effetti inflazionistici della sua politica economica.

Il dato di oggi ha confermato non solo la persistenza dell’inflazione negli States, ma anche la sua accelerazione, visto che, nel mese di gennaio, il trend del PCE core su base annua era stato di un rialzo più lieve, pari a +2,6%.

Non solo: il PCE core è salito più delle attese anche su base mensile, registrando a febbraio un rialzo dello 0,4%, rispetto al +0,3% previsto dagli analisti.

Per la precisione, senza arrotondare il trend, la performance del PCE core su base mensile è stata pari a +0,38%, rispetto al +0,285% precedente.

Nessuna sorpresa invece dall’inflazione headline, ovvero dall’inflazione che include i prezzi dei beni energetici ed alimentari: il PCE headline ha riportato infatti un rialzo del 2,5% su base annua, come da attese, salendo su base mensile dello 0,3%.

Tra le componenti dell’indicatore, quelle dei prezzi dei beni, salite dello 0,2%. Più sostenuto il trend dei prezzi dei servizi, pari a un aumento dello 0,4%. I rialzi sono stati in qualche modo compensati dai prezzi della benzina, scesi dello 0,8%.

Fatto che che, nel complesso, il PCE core ha puntato verso l’alto. E Wall Street l’ha presa male, mettendo in conto il rischio che la Fed possa avere seri problemi a tornare a tagliare i tassi di interesse.

Non ha aiutato, tutt’altro, la pubblicazione dell’altro dato macro della giornata: quello dell’indice della fiducia dei consumatori stilato dall’Università di Michigan, che si è attestato nel mese di marzo a quota 57 punti, rispetto ai 57,9 punti attesi dal consensus.

Il dato ha confermato tra l’altro i timori su una ennesima accelerazione dell’inflazione, rivelando che le aspettative di lungo termine sulla crescita dei prezzi sono salite dal 3,5% di febbraio al 4,1%.

Il trend degli indici PCE core e PCE headline, termometri del trend dell'inflazione USA Il trend degli indici PCE core e PCE headline, termometri del trend dell’inflazione USA Nel mese di febbraio, l'indice PCE core - indice preferito dalla Fed per fare il punto sull'inflazione - è salito del 2,8%, più delle attese. In linea con le previsioni il PCE headline (+2,5%). Fonte Bloomberg

Non solo PCE core, occhio a redditi personali, spese per consumi, tasso risparmio famiglie USA

I numeri relativi al trend dell’inflazione degli Stati Uniti misurata dal PCE headline e dal PCE core sono arrivati con la diffusione del consueto rapporto, che include le spese per consumi e i redditi personali.

In evidenza il rialzo dei redditi personali, pari a +0,8% a febbraio, il doppio rispetto al +0,4% atteso dal consensus degli analisti. Il dato va confrontato con il rialzo pari a +0,7% di gennaio (rivisto al ribasso dal +0,9% inizialmente reso noto).

Le spese per consumi sono salite invece dello 0,4%, meno del +0,5% atteso, anche se in forte accelerazione rispetto al calo del mese precedente, pari a -0,3%.

Occhio inoltre alle spese personali su base reale, aumentate dello 0,1%, rispetto alla flessione precedente, pari a -0,6%.

Tra i dettagli, il tasso di risparmio delle famiglie, che è salito al 4,6%, al record dal giugno del 2024.

Wall Street in balìa della volatilità, mentre torna il timore dell’inflazione. Parlano gli esperti

La preoccupazione di un’inflazione destinata a rimanere ancora lontana dal target della Fed, pari a un ritmo di crescita su base annua del 2%, ha depresso Wall Street: i futures sui tre principali indici azionari degli Stati Uniti hanno subito reagito in modo negativo alla pubblicazione dell’indice PCE core.

La situazione peggiora ulteriormente, con il Dow Jones che scivola di 600 punti, (-1,45%), e i sell che tornano a travolgere soprattutto il Nasdaq Composite, che scivola del 2,4% circa. Male anche lo S&P 500, che arretra dell’1,7%. L’azionario degli Stati Uniti già ieri aveva riportato un trend al ribasso, scontando la notizia dei dazi del 25% sulle auto importate dagli Stati Uniti decisi dalla seconda amministrazione di Donald Trump.

Non è mancato l’ennesimo attenti da parte della comunità degli analisti. In particolare, interpellata dalla CNBC, Lauren Goodwin, responsabile strategist dei mercati di New York Like Investments, si è così espressa:

Non mi aspetto che la volatilità dei mercati si calmi, almeno fino a quando non ci saranno maggiori certezze sulla politica (di Trump). Molti di noi stanno aspettando cosa accadrà la prossima settimana (il 2 aprile, quando entreranno in vigore le tariffe annunciate da Trump)”.

Occhio anche al commento di David Russell, responsabile globale della divisione di strategia dei mercati di Trade Station: “Il PCE core è stato più alto delle attese, e potrebbe essere difficile a questo punto farlo scendere da questi livelli, in quanto i redditi sono elevati e i dazi sono in arrivo”. Peggio:

“Potremmo star assistendo agli sgoccioli della vecchia economia, prima che le aspettative sull’inflazione vengano resettate in modo permanente verso l’alto. Potremmo dunque trovarci nella situazione opposta a quella del Goldilocks, alle prese con valori dei redditi e di inflazione troppo elevati affinché la Fed possa procedere a tagli dei tassi significativi. Questo, mentre le prospettive di crescita e i margini di profitto si stanno indebolendo”.

Dilemma Fed, ferma sui tassi ancora per molto?

Proprio la difficoltà a calcolare l’impatto dei dazi USA sull’inflazione degli States è il motivo che ha indotto Powell a interrompere il ciclo dei tagli dei tassi che aveva avviato nel settembre del 2024, forse in modo anche troppo aggressivo, annunciando una maxi sforbiciata di 50 punti base.

Erano poi seguiti altri due tagli di 25 punti base fino alla fine di dicembre dello scorso anno. Poi, lo stop, con Powell che vuole sondare meglio il terreno prima di annunciare una nuova mossa (che qualche falco aveva paventato che avrebbe potuto andare anche nella direzione opposta, con una Fed pronta a tornare sui suoi passi e a rialzare i tassi).

Nelle ultime ore, proprio dalla Fed sono arrivati alcuni avvertimenti sulle conseguenze che i dazi di Trump potranno avere sull’inflazione USA.

A prendere la parola è stata la presidente della Federal Reserve Bank di Boston Susan Collins, che ha affermato che “appare inevitabile che i dazi finiranno con l’aumentare l’inflazione, nel breve termine”.

In realtà Collins ha detto di credere che i riflessi sull’inflazione degli Stati Uniti avranno breve durata, sottolineando però anche che esiste il rischio che le pressioni più alte sui prezzi si rivelino più ostinate.

Di conseguenza, l’appello: “Guardando avanti, credo che sia probabilmente appropriato confermare i tassi per un periodo più lungo di tempo”. Rimarcata da Collins, insomma, la necessità che la Fed sia “paziente in modo attivo”. È così possibile che la Fed di Jerome Powell rimanga insomma ferma ancora un po’, prima di tornare a tagliare i tassi. Sempre se tornerà a farlo, a dispetto del sollievo arrivato con la diffusione dell’ultimo dot plot.

Wall Street si appresta a concludere la settimana in rosso, con lo S&P 500 e il Nasdaq orientati a soffrire la
quinta settimana di sell delle ultime sei.

Lo S&P 500 è in calo di più dell’1% su base settimanale, mentre il Nasdaq ha perso più del 2%. Il Dow Jones va verso una flessione su base settimanale pari a -0,8%.

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