La patetica conventio ad excludendum del termine «Nord Stream» dai siti d’informazione mostra come Putin abbia colpito nel segno. In compenso, arrivano incentivi per l’impiegato che spegne la luce
Quella di dissimulare è strategia antica. E spesso efficace. A chi non è capitato di fischiettare per nascondere la paura e trasferire all’esterno un’immagine di sicurezza e coraggio? In realtà, è soltanto un modo per auto-imporsi quei sentimenti, totalmente assenti di fronte al pericolo. Ecco, il fior fiore dell’informazione autorevole di questo Paese ha deciso di ignorare il blocco totale di Nord Stream 1 da parte di Gazprom, tanto per non infondere e ingenerare nell’opinione pubblica il dubbio che questa svolta l’Europa sia veramente con le spalle al muro.
In effetti, la mossa russa è arrivata inaspettata. E ha rotto nel paniere le uova del prezzo sul tetto del petrolio di Mosca deciso dal G7 e festeggiata come uno scudetto al Forum Ambrosetti di Cernobbio. Per gli Usa, quella mossa avrebbe inferito un colpo mortale alle entrate del Cremlino e accelerato il deterioramento dell’economia. Di fatto, ciò che doveva accadere già a maggio. Default compreso.
E al netto che appaia complicato vendere come geniale mossa strategica un price cap che, nella migliore delle ipotesi, sarà al massimo pari allo sconto che già oggi Gazprom e Lukoil stanno praticando ai nuovi clienti come Cina e India e che ha garantito a Mosca un surplus senza precedenti, tutto sembrava bellissimo in vista del vertice Ue di venerdì prossimo. Poi, la doccia fredda. Non solo simbolica.
Che fare, quindi? Ammettere il colpo subito? Mai. Ecco quindi come e dove apparivano alle 8 di questa mattina i titoli relativi al blocco di Nord Stream 1 sui siti ammiraglia dell’informazione italiana, quelli di Repubblica e Corriere:
nei primo caso di parla genericamente di gasdotto che non riparte e lo si fa ben nascosto, trattandosi della sesta notizia. In primo piano, l’ennesima ricostruzione lisergica riguardo le influenze russe sulla politica italiana, questa volta declinate in utilizzo di Matteo Salvini come cavallo di Troia all’interno di un ipotetico governo Meloni già a ottobre. Poi arriva il primo piano, dedicato alla sconfitta - udite udite, con errori e lacrime - di Serena Williams nel match d’addio.
Infine, la questione del gas. Senza clamori e occultata per bene. E come potete notare, nemmeno in via Solferino hanno voluto garantire troppa soddisfazione a Putin e infliggere troppo mal di fegato all’Ue: Mosca spegne il gas, il titolo scelto. E tanto per rendere chiaro il concetto, il tutto viene relegato sotto la dicitura Domande e risposte, quasi fosse un rimedio per togliere le macchie di sugo dalla tovaglia o la puzza di fritto dalla cucina.
La paura fa 90. Molto più di 90 in questo caso. Fa ridere. Amaro ma pur sempre rientrante nella categoria del ridicolo. E di una patetica conventio ad excludendum della realtà che è la negazione in nuce dei principi del giornalismo. Ma tranquilli, perché per una stampa che omette, dissimula e occulta, c’è un governo che il ridicolo lo tratta come Enzo Maiorca faceva con i fondali marini: ci sprofonda.
Perché se la chiusura totale di Nord Stream non merita un titolo degno di questo nome, ecco che invece compare dell’altro:
come nella migliore iconografia cinematografica o letteraria relativa allo stereotipo dello spiantato o del parsimonioso fino al parossismo, ecco che il governo passa al contrattacco. Dopo l’offensiva del termostato, ecco l’arma segreta dell’impiegato che garantisce gas alla patria. Spegnendo la luce ogni volta che esce da una stanza, ad esempio. Nascono i battaglioni dei Calboni da razionamento, veri e propri ascari del risparmio energetico, cui la pubblica amministrazione saprà essere grata con un bell’incentivo. E prepariamoci, perché appare fin d’ora certo il ricorso a ulteriori premi per la delazione contro colleghi infedeli e talmente filo-putiniani da sprecare luce per leggere.
Insomma, se fosse servita una conferma implicita di quanto la mossa del Cremlino questa volta sia risultata efficace, eccola sotto forma di censura della realtà. Molto patriottica, atlantica e occidentale. Forse persino a fin di bene, antidoto al panico e al pessimismo. Ma pur sempre censura, ancorché talmente pacchiana da risultare controproducente. Perché mentre si addobbano le homepage come alberi di Natale con formule e notizie su misura, i cittadini stanno roteando nelle loro mani bollette da capogiro.
In compenso, altrove la notizie si trovano. Basta andare a cercarle. Ad esempio, le parole riferite da Hamid Hosseini, presidente dell’iraniana Oil, Gas and Petrochemical Products Exporters’ Union, dopo la firma del memorandum d’intesa da 40 miliardi di dollari di controvalore fra Gazprom e il gigante energetico statale di Teheran, NIOC dello scorso mese. Di fatto, atto prodromico alla nascita di un’Opec del gas che vedrà Russia e Iran ai vertici, forti rispettivamente di 48 e 34 trilioni di metri cubi di disponibilità. La base per il nuovo cartello sarà il Gulf Exporting Countries Forum (GECF) e, a detta di Hosseini, proprio la vicenda ucraina e il conseguente nuovo equilibrio nato dal regime sanzionatorio ha spinto la Russia a prendere una decisione netta.
Ecco le sue parole: Mosca è giunta alla conclusione che i consumi di gas nel mondo continueranno a crescere, il tutto con una chiara tendenza di incremento verso la versione liquefatta o LNG. Alla luce di questo, i russi sanno di non poter andare incontro alla domanda mondiale da soli e che, soprattutto, appare più conveniente in tal senso un accordo con l’Iran piuttosto che una competizione fra i due Stati.
E ancora: E’ inutile negare come gli equilibri energetici globali stiamo mutando e come il vero vincitore della guerra russo-ucraina, al riguardo, finora siano gli Stati Uniti, i quali cattureranno il mercato europeo post-bellico e post-sanzioni. Unendo le forze, Russia e Iran possono ridurre l’influenza statunitense sul mercato di petrolio, gas e prodotti derivati. E così facendo garantendo benefici a entrambe le economie sanzionate.
E per chi pensasse che di fronte a noi vi sia soltanto un bluff orchestrato da nazioni disperate per le sanzioni, ecco che questo grafico
fa da corredo a un’altra notizia, rilanciata da Bloomberg: dopo aver scaricato la quasi totalità delle sue detenzioni di debito Usa a partire dal marzo 2018, ora la Banca centrale russa intende dar vita a un piano strategico di acquisto di miliardi in valute amiche al fine di tamponare l’eccessivo apprezzamento del rublo. Per capirci, la stessa valuta che le sanzioni avrebbero dovuto tramutare in carta straccia, trascinando il Paese al default. E accelerare la de-dollarizzazione del suo sistema economico-finanziario.
Insomma, mentre noi festeggiamo price caps ridicoli e superati dalle dinamiche stesse di mercato, occultiamo la realtà e introduciamo figure apicali nella resistenza energetica come lo spegnitore compulsivo di interruttori, il mondo guarda avanti e si prepara a nuovi assetti che ribalteranno dinamiche da cui dipendono, oltre che fatturati miliardari, i destini di intere economie e complessi industriali. In Germania paiono averlo capito, infatti cominciano a tossire dubbi rispetto a un approccio ulteriormente aggressivo in sede Ue.
E se Vladimir Putin per ora tace, chiude il rubinetto e sogghigna, osservando l’inconsapevole suicidio europeo, all’altro capo dell’Atlantico stanno letteralmente fregandosi le mani. Quelle che fra poco, noi rischiamo di dover strofinare freneticamente come legnetti. Per il freddo.
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