Debito e regole fiscali Ue sono 2 grandi questioni che pressano l’Italia: perché il nostro Paese continua a essere monitorato e quali segnali di allarme deve cogliere per i suoi conti pubblici?
L’Italia continua a subire una doppia pressione sui conti pubblici e, quindi, sulla sua credibilità: il fardello del debito pubblico e la riforma delle regole fiscali in Europa.
Le due questioni sono in realtà cruciali per tutta l’Ue, con il tema indebitamento che non coinvolge solo il nostro Paese, soprattutto dopo che i Governi hanno dovuto affrontare spese di emergenza a causa della pandemia e che ora si ritrovano nella più totale incertezza tra guerra Israele-Hamas, rivoluzione energetica, conflitto in Ucraina in corso da quasi 2 anni.
Tuttavia, l’Italia rimane osservata speciale da mercati e istituzioni europee. Non si può negare, infatti, che le obbligazioni italiane abbiano subito pesanti pressioni ultimamente. Oltre alle preoccupazioni globali che i tassi di interesse più alti dureranno più a lungo del previsto, i piani di bilancio di Roma per il 2024 non hanno placato i mercati.
Il governo Meloni ha tagliato le aspettative di crescita dell’economia italiana per quest’anno e il prossimo e ha aumentato gli obiettivi di deficit di bilancio. Il rendimento del titolo italiano a 10 anni è quindi aumentato alla notizia e nei giorni successivi si è attestato intorno al 5%. Al momento in cui si scrive registra un 4,7%.
Oneri maggiori da pagare a chi detiene il debito nazionale sono un problema, considerando anche l’entità dell’indebitamento e la necessità di metterne ancora sul mercato per finanziare le casse statali. In questo già complesso contesto, si inserisce anche il dibattito interno all’Ue per modificare le severe regole del Patto di Stabilità, ora sospese per effetto della pandemia.
L’Italia, con il suo grande debito che grava sulla crescita, potrebbe uscirne svantaggiata più di altri se a vincere sarà la linea dell’austerità.
Ecco perché il nostro Paese ha 2 grandi problemi da affrontare e risolvere: debito e Unione Europa.
Italia e debito pubblico: un problema irrisolvibile?
Quando ieri, 31 ottobre, Ignazio Visco (ormai ex governatore della Banca d’Italia che lascerà il posto a Penetta) ha preso la parola alla Giornata del Risparmio, organizzata a Roma dall’Acri, il tema centrale del discorso è stato un monito all’Italia affinché controlli il debito.
Se, infatti nel 2026 si prevede un rapporto debito/Pil al 140% più o meno, l’allarme è tutto per gli anni a venire, come spiegato da Visco:
“Successivamente, in assenza di interventi, il rapporto rischierà di salire. In prospettiva, infatti, il costo medio del debito dovrebbe tornare a collocarsi su livelli più elevati del tasso di crescita nominale dell’economia e diventeranno più rilevanti gli impatti dell’invecchiamento della popolazione sulla spesa sociale”
La ricetta per evitare il disastro è presto fatta: ridurre il disavanzo il prima possibile, consentendo una spesa pubblica di qualità. Solo così, ha rimarcato Visco, il debito pubblico sarà sostenibile e il risparmio delle famiglie italiane tutelato.
C’è preoccupazione per i conti pubblici nazionali, anche all’interno dell’Italia e non solo da ambienti esteri più propensi alla critica. Il presidente Abi Patuanelli, per esempio, ha proposto “un tetto al debito pubblico italiano che non può crescere all’infinito”.
Lo stesso ministro dell’Economia Giorgetti ha usato termini chiari e in parte allarmanti sulla questione:
“Non bisogna sottovalutare il tema del debito pubblico, il nostro punto debole...È suonata la sveglia perché più debito significa più spesa per interessi e risorse sottratte al sostengo delle famiglie delle imprese”
C’è quindi la sensazione che le questioni indebitamento e conti pubblici in ordine siano urgenti, osservate attentamente e non più rimandabili a soluzioni tardive, soprattutto in tempi economici così complessi, incerti e poco rassicuranti.
Il Patto di Stabilità Ue travolgerà l’Italia?
L’Italia potrebbe dover affrontare una pressione economica ancora maggiore mentre l’Unione Europea si trova ad affrontare una situazione di stallo sulle nuove regole sul debito.
Da diversi mesi i 27 Stati membri dell’Ue discutono su come riformare il Patto di Stabilità. L’idea è quella di rendere più semplice per i governi correggere le proprie finanze, ma i disaccordi su come farlo hanno trascinato le discussioni.
Con l’avvicinarsi delle elezioni a livello europeo, tuttavia, c’è una crescente pressione sui ministri delle finanze affinché si raggiunga un’intesa nei prossimi mesi.
“Il tempo stringe e il rischio di un ‘no deal’ aumenta in un contesto sfavorevole di crescita e politica monetaria, pesando potenzialmente sull’euro e riaccendendo i timori di frammentazione nel mercato EGB [titoli di Stato europei]”, ha spiegato Davide Oneglia, direttore di Macro europea e globale al TS Lombard.
L’Italia potrebbe essere in prima linea nei potenziali movimenti allarmanti del mercato obbligazionario.
L’analista ha evidenziato che un ritorno a vecchie e rigorose regole fiscali che costringano a una più rapida riduzione del deficit peggiorerebbe le aspettative di crescita a medio termine per l’Ue, gravando sull’euro. Ciò reintrodurrebbe anche un certo timore di frammentazione per le obbligazioni periferiche, soprattutto italiane, il tutto in un momento di rallentamento ciclico della crescita, stretta monetaria e difficile contesto di mercato globale.
Da ricordare che gli Stati membri europei hanno dovuto conformarsi a norme fiscali che impongono il rispetto di una soglia del rapporto debito/Pil del 60% e di un deficit pubblico del 3%. Ma queste regole spesso non sono state né rispettate né applicate dalla Commissione Europea, che le supervisiona.
Nel 2020, le norme fiscali sono state congelate in modo che le nazioni Ue potessero spendere in misure legate alla pandemia, come la protezione dei posti di lavoro. E con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel 2022, le regole fiscali sono state mantenute perché i governi si sono trovati ad affrontare nuovi costi energetici e pressioni inflazionistiche. La sospensione di tali norme termina a dicembre.
Le nazioni europee saranno quindi obbligate a rispettare le regole ancora una volta nel 2024. Guardando al 2025 – dopo tre anni di sospensione e decenni di critiche – ci sono pressioni affinché il pacchetto fiscale venga riformato.
Ora, come sottolineato da Moritz Kraemer, capo economista della LBBW, “se non si raggiunge un accordo su nuove regole, come sembra probabile, quelle esistenti, attualmente sospese, entreranno in vigore [nel 2025]. E saranno più severe di qualunque cosa si stia discutendo ora”.
L’Italia è avvisata. Il connubio debito/regole Ue può essere un doppio problema per i conti pubblici e per la credibilità del sistema Paese.
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