Italia: rischi per l’implosione definitiva del Mezzogiorno?

Eva Boccasile

2 Gennaio 2019 - 10:58

La delicata situazione del Mezzogiorno italiano, tra regionalismo differenziato e fiscal compact

Italia: rischi per l’implosione definitiva del Mezzogiorno?

Il Sud è un’area territoriale abitata da 20 milioni di persone e rappresenta oggi la più grande area meno sviluppata.

La situazione attuale è particolarmente preoccupante a causa dell’applicazione di quel trattato bilaterale conosciuto come fiscal compact (letteralmente Patto di Bilancio ma denominato Trattato sulla Stabilità, Coordinamento e Governance nell’Unione Economica e Monetaria) che impedendo l’attuazione di politiche espansive (anticicliche) a causa dei vincoli, soprattutto del pareggio di bilancio (recepito in art 81 e 97 della Costituzione) e del debito in rapporto al PIL (limite del 60% in 20 anni), incide particolarmente sul Mezzogiorno.

Un Mezzogiorno segnato da un insieme di problemi che vanno dalla diminuzione incessante della fecondità, alla riduzione della competitività, dalla disapplicazione di leggi in suo favore proprio da parte dello Stato centrale, al deficit infrastrutturale, alla ripresa delle emigrazioni.

L’attuale stato del Mezzogiorno italiano

Negli ultimi 10 anni il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord si è ulteriormente approfondito. Infatti, mentre il valore del PIL del Centro-Nord è inferiore del 4,1% rispetto al 2007, nel Mezzogiorno il PIL è inferiore del 10% rispetto allo stesso anno (Fonte SVIMEZ, EUROSTAT, ISTAT, OCSE).

Nel decennio l’Italia ha complessivamente ridotto l’occupazione complessiva, ma il fenomeno ha riguardato soprattutto il Mezzogiorno. Il numero degli occupati nel Centro-Nord si è ridotto dello 0,8%, nel Mezzogiorno la perdita è stata del 5% (fonte: OCSE).

Negli tempi più recenti il Mezzogiorno è stato interessato da una progressiva riduzione della fecondità superando negli ultimi anni il Nord. Il problema della competitività poi si risolve solo intervenendo per ridurre il divario infrastrutturale (fisico, immateriale e tecnologico), la lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione ed alle clientele parassitarie.

Dal punto di vista delle imprese appare inopportuno finanziarne di nuove se poi queste non ottengono crediti a costi accessibili. Il Mezzogiorno è stato rimosso negli anni 90, eliminando il riferimento all’art 119 della Costituzione, con la riforma del 2001 e ha registrato anche o forse soprattutto i limiti delle politiche di coesione con la grave e irresponsabile scelta sul piano politico di aver sostituito le politiche ordinarie dello Stato.

Siamo all’assurdo della mancata applicazione, in un momento come questo, della legge cioè del criterio di ripartizione della spesa pubblica nazionale in base alla popolazione residente nel Mezzogiorno (34,3%). Nel periodo 2006/2016 la percentuale di spesa pubblica è stata pari al 22,2% quindi l’aumento doveva essere del 50% ma non si è verificato assolutamente nulla.

Il Mezzogiorno tornerà al PIL che aveva nel 2008 non prima del 2028 quindi un intero ventennio perso, mentre in maniera silente premono sull’Occidente in particolare le quattro rivoluzioni: intelligenza artificiale, big data, robotica collaborativa e internet delle cose (Internet of Things).

Rivoluzioni che modificheranno in profondità il modo di produrre, di erogare servizi con rilevanti ricadute sugli assetti sociali ed economico-finanziari. Nel World Economic Forum dello scorso anno “The Future of Jobs Employment, Skills and Work force Strategy for the Fourt Industrial Revolution” si è parlato molto delle competenze che dovranno possedere i “nuovi operai in camice bianco” nel rinnovato sistema industriale.

Emergono le predizioni/parole di quel professore di biochimica chiamato Isaac Asimov formulate più di mezzo secolo fa:

“La situazione sarà resa più difficile dai progressi dell’automazione. Nel mondo del 2014 ci saranno pochi lavori di routine che l’uomo potrà fare meglio di una macchina. La razza umana diventerà quindi in buona parte una razza di “guardiani di macchine”. I pochi fortunati che potranno svolgere un lavoro creativo saranno la vera élite dell’umanità. Soltanto loro, infatti, faranno qualcosa di più che servire una macchina”.

Appaiono, alla luce dello sviluppo delle tecnologie informatiche e dell’automazione, particolarmente profetiche le parole di Asimov. Il Mezzogiorno necessita di rilevanti e non più procrastinabili interventi di superamento del dualismo territoriale se non si vuole ridurlo a un deserto industriale abitato da una popolazione vecchia.

Tale inquietante prospettiva necessita, per essere inibita, di interventi coordinati tra la UE attraverso la modifica dei Trattati (TUE e TUEF) di cui parlerò in un prossimo articolo e del ruolo della BCE come garante di ultima istanza. Due segnali terribili provenienti dal Mezzogiorno ci dicono che il tempo delle analisi e della autoreferenzialità è finito.

Negli ultimi 4 anni sono emigrati dal Mezzogiorno 783 mila unità di cui 220 mila laureati. In questo scenario angusto si colloca la procedura del regionalismo differenziato o del federalismo simmetrico tutto teso al trattenere nelle regioni più sviluppate una rilevante quota dei residui fiscali.

La situazione complessiva quindi è palesemente inquietante e le elezioni di maggio dovrebbero far discutere sul rapporto sviluppo/Trattati UE/Politiche di coesione/rappresentanza istituzionale del Mezzogiorno. Tratterò i temi del regionalismo differenziato e dei residui fiscali come elementi di rischio per la implosione definitiva del Mezzogiorno. Un esito da non auspicare considerato che 160 miliardi di PIL del settentrione sono determinati dalla domanda di consumi del Mezzogiorno.

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