La previsione sul PIL Italia che fa paura. Parola di Bankitalia

Laura Naka Antonelli

15/04/2025

La Banca d’Italia ha annunciato il tonfo del PIL dell’Italia che si manifesterebbe a queste condizioni. E occhio al nuovo record del debito pubblico.

La previsione sul PIL Italia che fa paura. Parola di Bankitalia

Bankitalia è tornata oggi a mettere in evidenza il nesso che esiste tra la crescita demografico, il mercato del lavoro, e la crescita del PIL. Lo ha fatto per voce di Andrea Brandolini, vice responsabile del Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia, che ha parlato nel corso di una audizione che si è svolta alla Camera dei Deputati, al cospetto della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica.

Che l’invecchiamento demografico sia un fenomeno caratteristico dell’Italia, è un dato di fatto. La Banca d’Italia è tornata a ribadirlo oggi, riferendosi alle gravi ripercussioni che il fenomeno produce a danno della società e dell’economia.

A danno, in sintesi, del PIL dell’Italia, che già segna ritmi di crescita da zero virgola e che è previsto crescere a un ritmo inferiore alle attese dallo stesso governo Meloni, a fronte di un debito che, in rapporto al PIL, è stimato ancora in crescita.

Forse non tutti si rendono conto della capacità della crisi demografica in atto in Italia di erodere ulteriormente il prodotto interno lordo italiano.

A ricordare il grande rischio, è stato oggi proprio Brandolini, avvertendo che “gli andamenti demografici determinano il numero delle persone potenzialmente disponibili a lavorare e così influenzano uno degli input fondamentali del processo produttivo”.

Bankitalia, la previsione sul PIL dell’Italia a queste condizioni che mette i brividi

E’ vero che la partecipazione effettiva al mercato del lavoro dipende da molti fattori, tra cui le condizioni della domanda di lavoro e varie scelte individuali (percorso scolastico, impegni familiari, momento del pensionamento), ma in generale l’invecchiamento della popolazione tende a ridurre il numero delle persone in età da lavoro, convenzionalmente fissata tra i 15 e i 64 anni” e “ una minore disponibilità di manodopera ha meccanicamente un effetto negativo sulla crescita economica, se non è compensato da una maggiore intensità di lavoro o da una sua maggiore produttività”.

Di quanto, è la domanda diretta che sorge spontanea, potrebbe soffrire dunque il PIL dell’Italia, nel caso in cui l’Italia rimanesse impantanata nella crisi demografica? La previsione sfornata da Bankitalia e illustrata da Brandolini fa accapponare la pelle:

“Se i tassi di partecipazione per genere e classi di età continuassero a crescere allo stesso ritmo dell’ultimo decennio, a parità di tutte le altre condizioni, il PIL calerebbe di quasi il 9 per cento da qui al 2050, dell’1,6 per cento in termini pro capite”.

Bankitalia ribadisce angoscia debito pubblico, a nuovo record in termini assoluti

Un disastro insomma, per l’economia dell’Italia già di per sé alle prese con diverse sfide di natura strutturale, tra cui, giusto per citare un tema drammaticamente ricorrente, l’angoscia del debito pubblico. Angoscia a quanto pare fattasi di nuovo più preoccupante, anche in termini assoluti, dal momento che sempre oggi, nel rapporto contenuto nell’ultima statistica “Finanza pubblica: fabbisogno e debito” pubblicata della Banca d’Italia, è emerso che, dopo due mesi, il debito pubblico complessivo dell’Italia è tornato a superare la soglia psicologica dei 3.000 miliardi di euro, toccando nel febbraio del 2025 un nuovo record assoluto, di 3.024 miliardi e 298 milioni di euro.

Tornando al nesso che esiste tra la partecipazione alla forza lavoro e alla crescita del PIL, Brandolini ha affermato oggi che, “nonostante i progressi degli ultimi quindici anni, il tasso di partecipazione italiano nel 2024 era ancora il più basso nell’UE: pari al 66,6 per cento, era di circa 9 punti percentuali inferiore alla media europea”, con una forbice particolarmente ampia “tra le donne e i più giovani”.

Partecipazione al lavoro delle donne, Bankitalia lancia monito su aiuti solo a neo-madri

Nello specifico, per quanto riguarda la partecipazione al mondo del lavoro delle donne, “nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni, nel 2024 era attivo il 57,6 per cento delle donne, oltre 13 punti percentuali in meno della media europea; nel Mezzogiorno tale quota era appena il 43,1 per cento”. Il risultato è che le “donne rappresentano circa due terzi di chi non cerca né è disponibile a lavorare ”.

Motivo principale? “Escludendo le studentesse, i carichi di cura familiari sono il principale ostacolo al lavoro per oltre metà di queste donne ”.

Detto questo, Brandolini lo ha detto chiaro e tondo: aiuti in stile bonus per le nuove mamme non risolverebbero la situazione:

Una politica incentrata solo sulle “neo-madri” avrebbe però un effetto contenuto. Se si riuscisse a coinvolgere tutte le donne, anche quelle che hanno avuto figli in passato e sono attualmente non occupate, si riuscirebbe a chiudere gran parte del divario occupazionale di genere in Italia: andrebbero disegnati incentivi alle imprese mirati, oltre a specifiche forme di politiche attive, come programmi di formazione e assistenza nella ricerca di lavoro”.

Solo l’8,7% degli studenti tra 15 e 29 anni lavora o cerca un lavoro durante gli studi

Ma in Italia la partecipazione al mercato del lavoro “è particolarmente bassa anche tra i giovani, con il divario rispetto agli altri principali paesi europei che “dipende da vari fattori”.

Tra questi, il fatto che in Italia “gli studenti universitari impiegano più tempo per conseguire la laurea (in media all’età di 25,7 anni nel 2023) e, una volta laureati, incontrano maggiori difficoltà nell’inserimento nel mondo del lavoro ”.

Il paragone con gli altri paesi europei fa impallidire di nuovo l’Italia: “ Solo l’8,7 per cento degli studenti tra i 15 e i 29 anni lavora o è in cerca di un lavoro durante gli studi, a fronte del 28,6 per cento nella media dell’UE (dati riferiti al 2023)”.

Ansia produttività “stagnante”, Bankitalia calcola gli effetti sul PIL

Ma a discapito del mercato del lavoro italiano e dunque del PIL del Paese va anche la produttività (oraria) del lavoro, che in Italia, dal 2000, “è rimasta sostanzialmente stagnante.

Un problema non di poco conto, visto che una sostanziale ripresa della produttività viene considerata, e non solo dalla Banca d’Italia, “ una condizione necessaria per la crescita economica del Paese ”.

Il fattore produttività del lavoro è così cruciale che, anche se “nel 2050 i tassi di partecipazione dei giovani e delle donne raggiungessero quelli che si osservano attualmente nella media dell’UE, senza un aumento della produttività del lavoro, il PIL pro capite rimarrebbe sostanzialmente stabile, ma quello complessivo si ridurrebbe del 6,8 per cento ”.

Insomma, “ solo raggiungendo i livelli più elevati tra i paesi dell’UE (quelli della Svezia) si riuscirebbe a compensare il calo del PIL complessivo”, particolare che indica quanto sia necessario per l’Italia dare una spinta alla produttività, anche perché basta la seguente previsione, stilata sempre da Bankitalia, a suonare un campanello di allarme:

“Nei prossimi venticinque anni, se i tassi di occupazione, gli orari di lavoro e la produttività oraria rimanessero immutati sui livelli attuali, il calo della popolazione in età da lavoro implicherebbe una diminuzione dell’input di lavoro e quindi del PIL dello 0,9 per cento all’anno. La riduzione del PIL pro capite sarebbe più contenuta, lo 0,6 per cento annuo, per effetto della parallela flessione della popolazione complessiva”.

Crisi demografica, il ruolo cruciale dell’immigrazione

Sotto i riflettori il ruolo determinante che Bankitalia ha riconosciuto al fenomeno dell’immigrazione quale fattore che ha arginato e sta arginando la crisi demografica dell’Italia:

“Un fattore demografico che può controbilanciare il saldo naturale negativo anche nel breve periodo è l’immigrazione. L’ingresso di cittadini stranieri ha interamente sostenuto la crescita della popolazione residente dall’inizio degli anni duemila fino al 2014; ciò non è più avvenuto dal 2015 quando i flussi in entrata si sono ridotti e l’emigrazione di italiani e stranieri è aumentata”.

Per Brandolini, “ l’immigrazione è stata finora cruciale per colmare i vuoti creati nel mercato del lavoro dal declino della popolazione autoctona ”. Snocciolate un po’ di cifre: “Nel 2024 gli stranieri rappresentavano il 10,5% dell’occupazione totale, ma raggiungevano il 15,1% tra gli operai e gli artigiani e il 30,1 tra il personale non qualificato; erano il 16,9% nelle costruzioni e il 20,0 in agricoltura. I lavoratori immigrati per lo più svolgono occupazioni di bassa qualità e peggio retribuite, meno accette ai lavoratori italiani”.

Di qui, l’appello: “Sono necessarie politiche che garantiscano flussi migratori regolari che incontrino le necessità delle imprese e assicurino un’integrazione completa per chi arriva nel Paese”.

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