Qual è la strategia del Governo Meloni per sostenere le imprese colpite dai dazi di Trump? Le soluzioni possibili secondo l’esecutivo, tra risorse UE e cambio di rotta in Europa.
Giorgia Meloni cerca di correre ai ripari contro l’effetto dazi di Trump sulle imprese italiane che, nonostante la tendenza a non drammatizzare finora mostrata dalla Presidente del Consiglio, rischia di sconvolgere l’export del Made in Italy. E, quindi, impattare sulle prospettive di crescita economica dell’intero Paese.
Nel pomeriggio di martedì 8 aprile il Governo ha incontrato alcune associazioni di categoria per fare il punto su come limitare i danni di una guerra commerciale che, nel frattempo, è in corso. Giorgia Meloni, insieme ai vicepresidenti Antonio Tajani e Matteo Salvini e ai ministri Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso, Tommaso Foti, Francesco Lollobrigida, ha comunicato un piano di azione ai rappresentanti delle principali categorie produttive ed economiche nazionali.
La strategia Meloni punta a recuperare risorse miliardarie dai canali europei, rimodulando obiettivi e destinazione di fondi UE, con l’ipotesi di raccogliere 25 miliardi di euro da utilizzare per imprese, produttività, occupazione.
L’improvviso cambio di contesto, con la politica delle tariffe aggressive di Trump, è anche un’occasione imperdibile per la Presidente del Consiglio per rinnovare la battaglia contro le misure del Green Deal, da sempre criticate per l’impatto - a detta del Governo negativo - sulle imprese e per richiamare all’ordine l’UE sul Patto di Stabilità. L’idea “provocatoria”, come ha affermato Giorgetti, è di utilizzare la clausola di salvaguardia per consentire più spesa a favore delle imprese.
E poi, infine, l’intento di Meloni resta quello di evitare lo scontro diretto con Donald Trump, insistendo sull’ “azzerare i reciproci dazi sui prodotti industriali esistenti con la formula zero per zero” durante l’incontro tra la Presidente del Consiglio e Trump nei prossimi 16 e 17 aprile. Una soluzione, però, che il tycoon ha già rispedito al mittente.
In attesa di vedere concretizzata una politica coesa europea sul commercio e in risposta a Trump, ecco tutti i punti della strategia Meloni per proteggere le imprese nazionali dai dazi.
25 miliardi per le imprese contro i dazi di Trump
Attingere alle risorse europee per recuperare circa 25 miliardi di euro da spendere nel breve periodo a sostegno delle imprese: questo il piano d’urto del Governo Meloni in risposta ai dazi sull’import di beni europei - e quindi anche italiani - imposti da Trump e attivi dal 9 aprile.
Nel dettaglio, Giorgia Meloni ha messo sul tavolo queste proposte:
- 14 miliardi di euro dal Pnrr, “che possono essere rimodulati per sostenere l’occupazione e aumentare l’efficienza della produttività”;
- 11 miliardi di euro dai fondi per la coesione e dal Piano Energia e Clima, “che possono essere riprogrammati a favore delle imprese, dei lavoratori e dei settori che dovessero essere più colpiti”
La fitta rete di PMI e di imprese votate all’export rappresenta un motore economico, produttivo, di sviluppo importante per l’Italia, con almeno 3.300 aziende vulnerabili alle tariffe di Trump secondo recenti calcoli ISTAT. Se è vero che le esportazioni nazionali negli USA sono soltanto il 10% di quelle totali, altrettanto concreto è il rischio che questa guerra delle tariffe innescata dal presidente USA scatenerà effetti a catena sulle filiere di approvvigionamento, sui prezzi di materie prime e beni al dettaglio, sui piani produttivi e di assunzioni delle aziende.
L’Italia vanta una tradizione di esportazioni di alta qualità, con i settori vinicolo, gastronomico, della moda, farmaceutico e di attrezzature, componentistica, macchinari che più vendono agli USA, con i quali il surplus commerciale di beni è di oltre 40 miliardi di euro.
Giorgia Meloni invita ancora oggi alla calma e a non amplificare il tono allarmistico che, però, ha scatenato Trump, un alleato del Governo che appare più che mai criticabile adesso e che mette in imbarazzo il nostro esecutivo così esultante sulla vittoria elettorale del tycoon.
La partita sui dazi USA si gioca ovviamente sul campo europeo e non a caso Giorgia Meloni ha ribadito l’intenzione di “attivarci per avviare un forte negoziato con la Commissione UE per un regime transitorio sugli aiuti di Stato e una maggiore flessibilità nella revisione del Pnrr, nell’utilizzo dei fondi di coesione e nella definizione del Piano sociale per il clima”. Puntando, innanzitutto, su strumenti che non intaccano le finanze pubbliche.
Fermare il Green Deal
In un contesto così complesso nel quale individuare tutti i mezzi possibili per incentivare le imprese messe in difficoltà, c’è spazio per un richiamo al poco amato Green Deal UE da parte del Governo Meloni.
Fermare o almeno rivedere il piano per la transizione energetica è un altro obiettivo strategico che il nostro esecutivo propone per salvare settori a rischio con i dazi, come l’automotive. Secondo la Presidente del Consiglio, infatti, l’Europa ora più che mai deve muoversi per eliminare almeno quei “dazi autoimposti”.
Il riferimento è alle “regole ideologiche e non condivisibili del Green Deal, che stanno avendo un impatto pesantissimo sul nostro tessuto produttivo e industriale, a partire dal settore automotive. Se queste norme non erano sostenibili ieri, non lo sono a maggior ragione oggi”, ha detto Meloni.
Concetto ribadito anche dal ministro del Made in Italy Urso giorni fa: “Chiediamo all’Unione europea di agire subito e di sospendere le regole del Green deal che hanno portato al collasso l’industria dell’auto, di realizzare uno shock di deregulation che elimini lacci e lacciuoli per le imprese europee, di sostenere il buy european, di dare preferenza al Made in Europe negli appalti, e di favorire il libero scambio per aprirsi ad altri mercati alternativi”.
Il tono drammatico del Governo sul Green Deal non è nuovo e ora si è fatto più pressante, diventando quasi un ritornello ideologico ripetuto ogni volta che viene chiesto a un membro dell’esecutivo di dare soluzioni alla guerra dei dazi.
In realtà, l’UE già da tempo sta allentando la tempistica dell’attuazione di varie norme e obiettivi green, proprio per andare incontro alle esigenze dei vari Stati e alle lamentele di alcuni settori poco propensi al cambiamento. Resta in dubbio, come documentato anche da studi e analisi di esperti, se questa strategia di freno alla transizione sia davvero benefica per lo sviluppo delle imprese.
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Stop al Patto di Stabilità
Sulla scia del ciclone dazi, l’Italia ha riportato in primo piano un altro tema scottante: il Patto di Stabilità. Per intervenire a sostegno delle imprese minacciate dalla guerra tariffaria di Trump sarebbe auspicabile rivedere i limiti imposti dalle regole di bilancio UE e fare affidamento alla clausola di salvaguardia.
Come stabilito dalla riforma della governance economica UE, quest’ultima permette di aumentare la spesa pubblica senza conteggiarla nei vincoli di bilancio, come stabilito per le spese sulla difesa.
La provocazione di Giorgetti, però, è andata oltre invocando proprio l’attivazione dell’articolo 25, cioè la clausola che permette di “deviare dal percorso della spesa netta stabilito dal Consiglio, in caso di grave congiuntura negativa nella zona euro o nell’Unione nel suo complesso”, come scritto nella direttiva 2024/1263.
Sospendere il Patto di Stabilità per aiutare le imprese a fronteggiare il colpo dei dazi - senza trascinare nel baratro i bilanci statali - è uno strumento poco plausibile al momento, ma possibile in futuro secondo il responsabile del Tesoro.
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