Il debito pubblico italiano può azzerarsi con questa mossa da €6,6 miliardi

Claudia Cervi

10/04/2025

Le big tech devono all’Italia oltre 6,6 miliardi di euro tra imposte non versate, interessi e sanzioni. All’elenco si aggiunge anche il gruppo fintech Ion, per una presunta evasione da 1,2 miliardi.

Il debito pubblico italiano può azzerarsi con questa mossa da €6,6 miliardi

Il debito pubblico italiano può azzerarsi con questa mossa da 6,6 miliardi: è questa la cifra che lo Stato italiano potrebbe recuperare dai giganti del digitale attraverso accertamenti fiscali già avviati o in fase avanzata. Una somma che, tra Iva, imposte societarie, interessi e sanzioni, coinvolge nomi di primo piano come Meta, Amazon, Google e Apple.

A questa lista si è aggiunto di recente anche il gruppo Ion, il colosso fintech fondato da Andrea Pignataro, finito sotto indagine per una presunta evasione da 1,2 miliardi di euro.

L’inchiesta della Procura di Bologna riaccende il dibattito sulla capacità dello Stato di far valere la propria sovranità fiscale nei confronti delle multinazionali digitali, sempre più presenti sul mercato italiano ma spesso elusive sotto il profilo tributario.

Anche se i 6,6 miliardi di euro rappresentano una cifra relativamente modesta rispetto al debito pubblico italiano complessivo, che ammonta a circa 3.000 miliardi di euro secondo gli ultimi dati di Bankitalia, una maggiore cooperazione fiscale con le grandi multinazionali tecnologiche potrebbe contribuire, nel lungo periodo, a ridurre significativamente questo divario.

Debito pubblico italiano Debito pubblico italiano Fonte Banca d'Italia - gennaio 2025

I conti con il fisco: da Meta ad Amazon, tutte le cifre in ballo

Negli ultimi anni il fisco italiano ha intensificato la pressione sulle grandi multinazionali del digitale, ottenendo risultati concreti ma evidenziando anche quanto sia ampio il margine di recupero.

Il caso più recente è quello di Ion Group, a cui la Procura di Bologna contesta un’evasione fiscale per circa 500 milioni di euro, che lievitano a 1,2 miliardi con l’aggiunta di interessi e sanzioni. Al centro dell’indagine, la presunta residenza fiscale in Italia del fondatore della società, Andrea Pignataro, e la contestata allocazione dei redditi in Lussemburgo.

Ma Ion è solo l’ultimo nome. Nel dicembre 2024, le autorità italiane hanno chiuso un’indagine su Meta, accusata di aver omesso il pagamento dell’IVA per 887,6 milioni di euro tra il 2015 e il 2021. L’azienda ha contestato le accuse, ma l’istruttoria si è conclusa con una quantificazione chiara delle somme in gioco.

A febbraio 2024, è stata la volta di Google, che ha accettato di versare 326 milioni di euro per regolarizzare la propria posizione fiscale in Italia tra il 2015 e il 2019. Un accordo che ha portato all’archiviazione del procedimento penale, ma che ha confermato l’ampiezza del contenzioso.

Nel 2023, AirBnb ha regolarizzato la sua posizione fiscale in Italia versando 576 milioni di euro, a fronte di 780 milioni contestati dalla Procura di Milano per il mancato versamento della cedolare secca nel periodo tra il 2017 e il 2021.

Ancora più rilevante il dossier aperto su Amazon, oggetto di un’indagine per una presunta evasione dell’IVA pari a 1,2 miliardi di euro nel periodo 2019-2021. Secondo le autorità, la piattaforma avrebbe favorito venditori extra-Ue – in particolare cinesi – nel sottrarsi all’obbligo di versamento dell’IVA italiana, nascondendone le identità.

Sul fronte europeo, infine, spicca la decisione della Corte di Giustizia UE che ha stabilito che Apple dovrà restituire oltre 13 miliardi di euro all’Irlanda per aiuti di Stato fiscali indebiti. Sebbene non direttamente collegata al bilancio italiano, la sentenza rafforza l’indirizzo comunitario verso una maggiore equità fiscale nei confronti delle big tech.

Quale strategia potrebbe ridurre il debito pubblico italiano?

Azzerare il debito pubblico italiano è un obiettivo ambizioso e la strada è sicuramente lunga, ma con l’adozione di alcune strategie sarebbe possibile almeno ridurre progressivamente il gap. Il caso Google ha dimostrato che è possibile ottenere risultati concreti attraverso accordi extragiudiziali, evitando lunghi contenziosi legali. In quell’occasione, l’Agenzia delle Entrate ha raggiunto un’intesa con il gigante digitale sulla base di una verifica fiscale estesa, sfruttando la presenza fisica e commerciale di Google in Italia. Questo modello potrebbe essere applicato anche a Ion, che al momento sta collaborando con le autorità fiscali italiane per risolvere la sua posizione.

Un altro strumento fondamentale è la cooperazione fiscale europea. La sentenza della Corte di Giustizia europea su Apple, pur non portando denaro direttamente nelle casse italiane, apre la strada a una giurisprudenza che rafforza il diritto degli Stati membri di tassare utili realizzati nei propri confini, anche se contabilizzati altrove. Questo approccio potrebbe rafforzare anche le richieste italiane verso aziende come Meta e Amazon.

Il rafforzamento delle norme europee sul “Permanent Establishment” renderebbe più semplice per l’Italia considerare le attività delle big tech come “stabili organizzazioni” tassabili sul proprio territorio.

Anche l’introduzione della “Global Minimum Tax” – che potrebbe aumentare in risposta ai dazi Usa – rappresenta un ulteriore strumento strutturale per contrastare il dumping fiscale e riequilibrare il sistema.

In questo contesto, le indagini della magistratura restano uno strumento decisivo per spingere le imprese verso una compliance fiscale più solida. E per lo Stato, una chance concreta di trasformare la pressione fiscale sulle big tech in un contributo significativo alla sostenibilità del debito pubblico.

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