La Camera approva il Codice Rosso compreso di emendamento sul revenge porn, ovvero la diffusione di contenuti espliciti a scopo di vendetta personale. Ecco cosa prevede la nuova normativa
Intesa bipartisan sul revenge porn. La diffusione non consensuale di immagini o video a sfondo erotico è finalmente reato dopo l’approvazione della Camera.
L’iter dell’emendamento al cosiddetto Codice Rosso aveva subìto una battuta d’arresto dopo la bocciatura - per soli 14 voti - di 6 giorni fa. Dopo il nugolo di polemiche, scatenate dalle deputate di PD e Forza Italia che avevano occupato i banchi bloccando la seduta, le forze politiche parlamentari hanno trovato l’accordo. Ecco a cosa andrà incontro chi deciderà di condividere materiale intimo senza il consenso del o della interessato/a.
Reato di revenge porn, cosa prevede la normativa
Con 461 voti favorevoli e nessuno contrario la Camera ha approvato l’emendamento della Commissione presentato dalla relatrice 5 Stelle Stefania Ascari, che recepisce i testi già presentati dalle deputate forziste. L’Italia fa così un passo in avanti su un tema per il quale di fatto c’era un vuoto normativo, tornato alla ribalta del dibattito pubblico diverse volte negli ultimi anni (ultimo caso eclatante quello della portavoce grillina Giulia Sarti).
D’ora in poi, chiunque, “dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati” e senza il consenso delle persone rappresentate, andrà incontro a reclusione da 1 a 6 anni, e multe dai 5.000 ai 15.000 euro. Non fa dunque differenza il modo in cui chi si macchia del reato è entrato in possesso dei materiali privati.
E nei guai non finirà soltanto chi sottrae o realizza video o immagini: alla stessa pena saranno infatti soggetti tutti coloro che, dopo averli ricevuti, li diffonderanno a loro volta.
Revenge porn, i casi in cui aumenta la pena
Il legislatore, inoltre, ha definito diverse fattispecie che portano a un aumento della pena. Ciò avviene se il reato è commesso dal coniuge (anche se separato o divorziato), o comunque da una persona legata alla vittima da una relazione affettiva.
La pena aumenta anche se i fatti sono “commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza”. In questi ultimi casi si procede d’ufficio, in tutti gli altri il delitto è punito a querela da parte della persona offesa, che deve partire entro i 6 mesi dai fatti.
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