Giorgia Meloni parla di fronte alla platea del Mico di Milano: «Oggi tocca a noi»
È una Giorgia Meloni diversa quella che alla tre giorni organizzata dal suo partito parla di programmi, di politica estera e d’economia. Insomma, di politica, come ribadisce dal palco allestito al Mico di Milano di fronte a una platea di 4000 delegati giunti da tutta Italia.
Folla che sembra ascoltarla molto attentamente, senza lasciarsi andare a facili entusiasmi. A questa, il suo approccio è diverso rispetto al passato. Non perché sia meno combattiva, meno puntigliosa, meno tenace e convincente, ma perché ha capito che Palazzo Chigi è lì a un passo e lei sembra chiamata a varcarne la soglia in veste di premier. Forse questo mutamento d’approccio è determinato dalla consapevolezza che: «Ora tocca a Noi» e quel noi racchiude tanta responsabilità, considerando come ormai abbia quasi doppiato il suo alleato leghista e quasi triplicato i consensi di Forza Italia.
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Se tutto va come dovrebbe secondo gli ultimi sondaggi, sarà proprio lei a tagliare l’ennesimo record dei tanti collezionati in questi oltre venti anni di impegno politico: essere la prima donna Presidente del Consiglio italiana della storia repubblicana.
«Il nostro tempo»: una Meloni più consapevole
«Questo è il nostro tempo e noi ci faremo trovare in tempo» dice a una folla entusiasta, convinta di essere lei quella che deve tenere insieme i cocci di una coalizione che sembra sbattere la testa in questi ultimi mesi. Se ne assume in pieno la responsabilità, perché evita accuratamente qualsiasi polemica contro gli alleati, malgrado le attese della stampa.
Non ha paura di essere isolata, né in Italia («Noi lavoriamo per essere il primo partito, poi vediamo se riusciranno a isolare milioni di italiani»), né tantomeno all’estero, dove è presidente dell’Ecr (European Conservatives and Reformists), affiancata dal co-presidente, Raffaele Fitto, e dal vicepresidente Marco Marsilio.
D’altra parte, tutto si può dire della Meloni tranne che non abbia lavorato bene sul piano delle relazioni internazionali, sia in Europa, aiutata dallo stesso Fitto e dal capodelegazione Carlo Fidanza, sia negli Usa, dove ha da tempo aperto un canale diplomatico con i Repubblicani americani, che da anni la invitano al Cpac (Conservative Political Action Conference) la loro più importante festa del partito, e mantiene una collaborazione con l’Iri (International Republicanic Institute), il più importante think tank conservatore americano, grazie alla fondazione Farefuturo, presieduta dal presidente del Copasir Adolfo Urso.
Ecco perché dal palco del Mico a Milano è apparsa una nuova Meloni, più consapevole, convinta e più responsabilmente dentro un ruolo: quello di un leader sempre più centrale nella politica italiana, dove ormai sia Salvini che il vecchio Berlusconi rischiano di ripetere gli imperdonabili errori commessi alle ultime amministrative e per il voto del Presidente della Repubblica, nel tentativo di contrastare la sua irrefrenabile ascesa.
In ambedue i casi la Meloni era rimasta, forse astutamente, un po’ nell’ombra (anche se sul Presidente della Repubblica è sua la sola proposta concreta avanzata dal centrodestra che ha conquistato il doppio dei voti che aveva dal partito). Ma ha dimostrato negli anni e anche in questi mesi all’opposizione di avere la scorza per affrontare il duro compito di traghettare il Paese fuori dal declino in cui pare essersi adagiato negli ultimi vent’anni.
Un nuovo Risorgimento
«Il declino non è un destino, è una scelta e noi a questo ci ribelliamo, perché adesso è il tempo dei patrioti che trasformino questa epoca infame in un nuovo Risorgimento» la frase viene accolta da un’ovazione e migliaia di tricolori. A Milano, Giorgia Meloni è come se si fosse caricata il peso di mettere ordine nel centrodestra, come solo un leader sa e deve fare, e di preparare la battaglia politica che dovrebbe portarla al governo del Paese.
Non ha paura a rivendicare per sé, anche in quanto donna, su cui poggia l’architrave sacro della famiglia, tutto il peso della responsabilità di chi sta guidando un partito che in pochi anni è diventato il primo del paese. Certo non è da lei sottrarsi alle responsabilità e alle scelte difficili, perché: «Ci piace sperimentare territori, su cui altri nemmeno si inerpicano, o affrontare temi impopolari che altri non hanno il coraggio di affrontare».
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Meloni e i suoi Fratelli d’Italia hanno a cuore il futuro della propria nazione e ora sentono che la storia li sta mettendo di fronte alle loro responsabilità. E, siccome «La storia non è una roba per vigliacchi», tutto si può dire tranne che in questi anni si siano adagiati, accontentati, abbiano vivacchiato senza difendere le proprie convinzioni e idee contro tutto e tutti, come la scelta di rimanere isolati all’opposizione creando una frattura con gli alleati del centrodestra. Ma forse questo è dipeso anche dal fatto che il suo partito è l’unico che è guidato dalla sua fondazione, nel 2012, da una donna, a cui è necessaria una tempra e una maggiore capacità di affrontare le asperità della vita. E anche l’essere di destra accresce ancora di più la tenacia e il carattere, perché deve sempre faticare il doppio per essere più credibile e presentabile davanti a un certo mainstream progressista.
Il nostro paese è pronto, secondo Meloni, a un nuovo governo di centrodestra che non sia più di derivazione popolare come quello di Berlusconi, o come quelli sconfitti in tutti i principali paesi europei, ma conservatore e di destra come lei, che da sempre non ha mai rinnegato le sue origini. Forse è per questo che alla fine i sondaggi la premiano da tempo come una delle leader più convincenti del panorama italiano.
Da Milano è partita la corsa che se tutto va come deve andare dovrebbe condurla sulla rotta certo non poco tormentata che porta a Palazzo Chigi nel 2023.
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