Sappiamo che la moglie che non cerca lavoro può perdere il mantenimento. Ma che succede se rifiuta lavori umili perché laureata? Ecco cosa ha deciso la Cassazione.
L’assegno di mantenimento dopo il divorzio o la separazione non dura in eterno: si può perdere per diversi motivi, tra questi il fatto di non accettare lavori umili e poco qualificati rispetto alla laurea conseguita.
A stabilirlo è stata la Corte di cassazione in una recente sentenza. I giudici hanno accolto il ricorso del marito tagliando il mantenimento di 1000 euro che l’ex moglie aveva percepito fino a quel momento.
Il motivo? La donna aveva ripetutamente rifiutato impieghi ritenuti “troppo umili” rispetto al suo titolo di studio, come badante e lavori manuali. Spieghiamo cosa è successo.
La moglie laureata non accetta lavori umili: che succede al mantenimento?
La sentenza in esame è la numero 5932/2021. Qui gli ermellini hanno dato ragione al marito ricorrente e sancito l’interruzione dell’assegno di mantenimento erogato nei confronti della moglie, poiché la donna aveva sempre rigettato le opportunità di lavoro proposte dall’ex.
Alla base del rifiuto il fatto che i lavori individuati erano inferiori rispetto al suo titolo di studio.
Una motivazione che non ha convinto i giudici della Cassazione, secondo i quali le aspettative derivanti dalla laurea non possono giustificare il rifiuto di accettare lavori umili per mantenersi, basandosi su l’assegno ricevuto dall’ex coniuge.
Il mantenimento dopo la separazione o il divorzio, infatti, non è un diritto e non deve garantire lo stesso tenore di vita matrimoniale; al contrario serve a sostenere il coniuge economicamente più debole, se in difficoltà e se attivo nella ricerca di un lavoro.
Mantenimento e lavori umili: cosa aveva stabilito la Corte d’appello
La decisione in esame ribalta la posizione della Corte d’appello adita precedentemente dai coniugi. Qui i giudici avevano dato ragione alla moglie e bocciato la richiesta del marito di ridurre/eliminare il cospicuo mantenimento.
Per i giudici di merito era lecito che la donna avesse rifiutato delle proposte di lavoro “troppo umili” rispetto alle sue competenze, conoscenze e aspettative.
In questo modo, però, veniva negata la dignità ai lavori manuali o di assistenza alla persona. Un’argomentazione che non è piaciuta alla Corte di cassazione.
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