Mascherine al lavoro, ritorna l’obbligo: cosa rischia chi si oppone? Il regime sanzionatorio grava tanto sul dipendente quanto sul datore di lavoro. Facciamo chiarezza.
Con il ritorno dell’obbligo della mascherina sui luoghi di lavoro, solamente nel settore privato, vengono ripristinate le multe per chi non rispetta questa disposizione.
Multe che, è importante sottolineare, valgono tanto per il lavoratore quanto per il datore di lavoro. Una retromarcia che sta facendo molto discutere, se non altro perché per qualche giorno si pensava che la mascherina al lavoro, sia all’aperto che al chiuso, non fosse più obbligatoria. Un’ipotesi confermata anche dall’ordinanza del ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, il quale ha comunicato ai dipendenti della pubblica amministrazione il venire meno di tale obbligo, pur raccomandando l’utilizzo della mascherina in determinate circostanze.
Ci troviamo, quindi, nella situazione in cui la mascherina non è più obbligatoria per chi lavora nel settore pubblico mentre lo è ancora - nuovamente - nel settore privato. E con il ripristino di tale obbligo ritornano anche le sanzioni per chi non ne tiene conto e quindi decide di non indossare il dispositivo di protezione.
L’importo delle multe, così come la misura delle sanzioni, non è cambiato: per capire cosa rischia chi non mette la mascherina al lavoro, come pure il datore di lavoro che non si preoccupa di far rispettare tale norma, bisogna fare riferimento alle vecchie regole.
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Mascherina al lavoro: dove è ancora obbligatoria e fino a quando
Cerchiamo di fare chiarezza su quanto successo per il suddetto obbligo. Nel dettaglio, l’ordinanza emanata dal ministro della Salute, Roberto Speranza, il 28 aprile scorso confermava l’addio alla mascherina al chiuso in tutti i posti di lavoro, eccetto in quelle situazioni in cui questa resta ancora obbligatoria (come ad esempio a scuola, sui mezzi di trasporto o al cinema).
Tuttavia, nella giornata di mercoledì 4 maggio il Governo ha deciso di prorogare l’obbligo d’indossare la mascherina nel luogo di lavoro privato. Lo ha fatto dopo essersi confrontato con sindacati e associazione del mondo del lavoro, dai quali è emersa la necessità di superare le restrizioni anti Covid in maniera graduale.
Per tutto giugno (data non ancora verbalizzata e dunque non ufficiale), quindi, vale ancora quanto deciso dal “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid negli ambienti di lavoro”, secondo cui in alcune circostanze la mascherina va obbligatoriamente indossata sul posto di lavoro.
Nel dettaglio, questa deve essere indossata in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, quindi sia al chiuso che all’aperto. Va quindi messa in tutte le situazioni più a rischio, mentre quando si lavora da soli - ad ampia distanza dai colleghi - questa non è necessaria.
Possiamo ricapitolare dicendo che la mascherina deve essere indossata:
- negli spazi comuni, come ad esempio nei corridoi o negli ascensori, come pure in sala pranzo;
- nelle aree di co-working;
- nelle situazioni in cui si è a contatto con il pubblico, sia al chiuso che all’aperto.
L’obbligo vale per tutti i luoghi di lavoro, negozi compresi. Viene dunque ripristinata la discutibile situazione dove chi lavora deve obbligatoriamente indossare la mascherina mentre i clienti no. Senza dimenticare, poi, che i suddetti obblighi non valgono per chi lavora nella pubblica amministrazione, dove l’utilizzo della mascherina è solo raccomandato.
Cosa rischia il lavoratore che non indossa la mascherina
Una situazione che potrebbe portare molti lavoratori a rifiutare l’obbligo di indossare la mascherina, come segno di protesta, nonostante il rischio di una sanzione disciplinare da parte del datore di lavoro.
In nostro soccorso viene una sentenza pronunciata dal tribunale di Venezia il 4 giugno 2021, con la quale si ribadisce che - tenendo conto delle disposizioni contenute nel protocollo condiviso Governo/parti sociali - grava sul datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per prevenire eventi dannosi. È il datore di lavoro, dunque, che deve controllare che i propri dipendenti rispettino le regole riguardanti l’utilizzo della mascherina, con la possibilità di sanzionare chi, rifiutandosi d’indossarla, commette una violazione dei doveri in materia d’igiene e sicurezza sul lavoro.
Ad esempio, con la sentenza in oggetto il tribunale di Venezia ha reputato legittima la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per tre giornate, con uno stop anche della retribuzione.
E non è tutto, perché secondo il tribunale di Trento, sentenza dell’8 luglio 2021 - è legittimo anche il licenziamento per giusta causa in caso di recidiva, ossia qualora il dipendente si opponga più volta alla richiesta d’indossare la mascherina. Principio ribadito anche dalla Corte di Cassazione, sentenza n.18615 del 2013, secondo la quale il persistente rifiuto da parte di un dipendente di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, tra i quali rientrano anche le mascherine, giustifica il licenziamento.
Cosa rischia il datore di lavoro se i dipendenti non mettono la mascherina?
Al datore di lavoro, quindi, compete l’adozione delle misure d’igiene e dei dispositivi di protezione individuale, tra cui figurano anche le mascherine, indicati nel suddetto protocollo.
Ad esempio, è obbligo per i datori di lavoro fornire ai dipendenti mascherine chirurgiche o Ffp2. E ancora, questi devono fare in modo che l’obbligo previsto dalla normativa venga rispettato da tutti i dipendenti.
Qualora il datore di lavoro non dovesse rispettare i suddetti obblighi, si configura la violazione dell’articolo 77 del decreto legislativo n. 81/2008 recante le norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e come tale verrà sanzionato.
Multe per chi non indossa la mascherina al lavoro: importi per datori di lavoro e dipendenti
Per il resto, poi, bisogna ancora fare riferimento - tanto per il datore di lavoro che per il dipendente - a quanto stabilito dal Dl n. 33 del 16 maggio 2020, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Qui si legge che - “salvo che il fatto costituisca reato diverso da quello di cui all’articolo 650 del codice penale” - le violazioni delle restrizioni Covid vengono punite con una sanzione che va dai 400 ai 1.000 euro (inizialmente l’importo massimo era persino d 3.000 euro). E qualora la violazione dovesse essere commessa nell’esercizio di un’attività d’impresa, si applica anche la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio, o comunque dell’attività, per un periodo che va da 5 a 30 giorni.
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