Avete mai sentito parlare di “near working”? Nei prossimi anni potrebbe soppiantare il lavoro da casa: come funziona e quali declinazioni potrà avere in futuro (a Milano e non solo).
Il near working potrebbe essere l’evoluzione dello smart working. Si tratta di un nuovo modo di lavorare a metà strada tra lavoro agile e in ufficio: nel near working i dipendenti devono svolgere le mansioni in sedi dislocate o coworking situati in varie zone della città, così da ridurre la distanza tra l’abitazione privata e l’ufficio.
I vantaggi? Senza dubbio quello di poter utilizzare una strumentazione tecnologica professionale e di recuperare il contatto con i colleghi (almeno in parte), garantendo il giusto compromesso tra gli impegni lavorativi e quelli della vita privata.
Ecco come funziona il near working e perché potrebbe rivoluzionare il modo di lavorare nei prossimi anni.
Near working: l’idea promossa dal Comune di Milano
L’idea del near working è nata all’inizio dell’anno dall’intuizione dell’assessore alle Politiche del Lavoro, Risorse Umane e Attività Produttive del Comune di Milano Cristina Tajani.
L’obiettivo di questa nuova modalità è avvicinare il luogo di lavoro all’abitazione dei dipendenti, quindi ridurre gli spostamenti e il rischio di contrarre il virus sui mezzi pubblici, con il duplice effetto positivo di diminuire lo stress e garantire più tempo libero.
L’intenzione sarebbe quella di implementare il near working sia per coloro che lavorano nella giunta e nella Pubblica Amministrazione che per gli impiegati del settore privato.
Come (e dove) si lavora in near working
Per concretizzare il near working è necessario individuare sul territorio delle strutture e degli spazi adeguati ad ospitare le diramazioni degli uffici. Questi non devono essere necessariamente ubicati in città, anzi lo scopo del near working è proprio quello di creare una dimensione di lavoro a metà strada tra le abitazioni dei dipendenti e il centro cittadino: in questo modo verrebbero valorizzate anche le periferie.
Starebbe poi agli specifici accordi aziendali stabilire gli obblighi orari: se rispettare il normale orario d’ufficio 9:00-18:00 oppure fasce più flessibili a seconda delle esigenze dei dipendenti e degli obiettivi di risultato da perseguire settimanalmente o mensilmente.
A tal fine possono essere utilizzati coworking già esistenti o adibire sedi aziendali periferiche dismesse o poco sfruttate.
Differenza e vantaggi rispetto allo smart working
La differenza fondamentale rispetto allo smart working riguarda la sede del lavoro: non più a casa propria (in camera da letto o in cucina) ma in uno spazio condiviso - coworking - dove si possono sfruttare strumenti tecnologici professionali, e non la connessione domestica, e postazioni più spaziose e comode.
Inoltre si avrebbe il vantaggio di lavorare in un luogo silenzioso dove, al contempo, è possibile ritrovare quella realtà umana di cui è fatta un ufficio, incontrare colleghi e condividere la pausa caffè o il pranzo.
Nel near working spetterebbe all’azienda datrice procurare i device, la scrivania e la sedia ergonomica ai propri dipendenti, cosa che non è prevista nello smart working, salvo i casi in cui il datore decida diversamente. Ma questa è una facoltà e non un obbligo.
Essendo una forma sperimentale, non è possibile al momento prevedere gli effetti di questa modalità di lavoro mista, ma un tentativo, a nostro avviso, varrebbe la pena farlo. Anche perché, oggi più che mai, è giunto il momento di riscrivere - senza lacune, stavolta - le norme che regolano lo svolgimento del lavoro tra casa e ufficio e, perché no, in un luogo intermedio che può essere appunto un ufficio secondario o un coworking in periferia.
Gli effetti potrebbero essere sorprendenti: per i dipendenti sarebbe meno «traumatico» tornare in ufficio dopo mesi e mesi di lavoro da casa e, dall’altro lato, potrebbe essere dato nuovo impulso economico in zone cittadine poco valorizzate.
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