Negare i soldi alla moglie per prevaricarla configura un reato, ecco però a quali condizioni secondo la Cassazione.
Una recente sentenza della Cassazione conferma la configurabilità del reato di maltrattamenti nella violenza economica tra coniugi. Non si tratta affatto di un principio scontato, perché anche se da tempo la giurisprudenza ha riconosciuto le ipotesi di reato nei casi di violenza psicologica il controllo economico è spesso stato ritenuto insufficiente a tale scopo. La sentenza n. 1268/2025 della Corte di Cassazione afferma invece che comportamenti come non dare i soldi alla moglie per le sue necessità, impedirle la realizzazione economica ed esercitare così un controllo configurano il reato di maltrattamenti. Naturalmente, non c’è alcuna differenza in base al genere del coniuge.
È un mero fatto statistico che siano più frequenti le famiglie in cui è il marito a lavorare (o semplicemente guadagnare di più), senza contare che la sentenza che stiamo trattando affronta proprio un caso di questo tipo. Se fosse stata la moglie ad adottare quelle condotte, ovviamente, l’esito sarebbe stato il medesimo. Nei fatti affrontati dalla Cassazione, il marito è stato ritenuto colpevole di un’ampia serie di azioni che hanno dato luogo al reato, lasciando poco spazio ai dubbi.
I giudici hanno infatti constatato il proseguire per quasi vent’anni di umiliazioni, condotte vessatorie e controllanti, imposizioni economiche e impedimenti nella realizzazione professionale e personale della moglie, il tutto in presenza dei figli della moglie, oltre a minacce, imposizione del lavoro casalingo e la mancata remunerazione delle attività svolte per l’azienda familiare. Insomma, nella sentenza citata il reato di maltrattamenti in famiglia è stato evidenziato su tutti i profili possibili, incluso il controllo economico. Ciò però non significa che condotte meno evidenti e caratterizzate non siano parimenti allarmanti, né che i principi enunciati dai giudici trovino meno spazio in altri contesti familiari.
Non dare i soldi alla moglie è reato? La sentenza spiegata
Nelle condotte di violenza economica evidenziate dalla giurisprudenza figurano le vessazioni e le imposizioni fondate sulla superiorità reddituale, ma anche la negazione del sostegno economico previsto dal matrimonio (e dall’unione civile). In altre parole, non dare i soldi alla moglie (o al marito) può a tutti gli effetti integrare il reato di maltrattamenti, quando la condotta ha una gravità e/o una frequenza tale da causare un danno psicologico ed emotivo. La situazione riguarda principalmente le coppie che di comune accordo hanno scelto che uno dei due lavorasse affidando all’altro le attività domestiche e la cura dei figli, anche se non raramente il problema si presenta quando entrambi contribuiscono al reddito familiare.
Ecco che negare il sostentamento al coniuge che di comune accordo non lavora, contribuendo diversamente alle esigenze familiari, comportando una prevaricazione psicologica, è una vera e propria forma di violenza. Ciò non significa, dunque, dover consegnare completamente la gestione finanziaria all’altro coniuge o cedere tutti i propri soldi a ogni richiesta, anche perché altrimenti si configurerebbero posizioni prevaricatrici - e potenzialmente penalmente rilevanti - nelle condotte dell’altro coniuge. Lo stesso vale quando viene impedito al coniuge di lavorare e rendersi indipendente, comportamenti che spesso, ma non sempre, sono correlati.
La sentenza della Cassazione definisce in particolare:
(...) l’impedire alla persona offesa di essere economicamente indipendente costituisce una circostanza tale da integrare una forma di “violenza economica” riconducibile alla fattispecie incriminatrice in esame, quando i correlati comportamenti vessatori siano suscettibili di provocarne un vero e proprio stato di prostrazione psico-fisica e le scelte economiche e organizzative assunte in seno alla famiglia, in quanto non pienamente condivise da entrambi i coniugi, ma unilateralmente imposte, costituiscano il risultato di comprovati atti di violenza o prevaricazione psicologica.
Insomma, il controllo economico e la pressione psicologica sono una forma di violenza a tutti gli effetti, che nell’ipotesi coniugale richiama il reato di maltrattamenti. Quest’ultimo è punito dall’articolo 572 del Codice penale con la reclusione da 3 a 7 anni, oltre alle ipotesi aggravate, per esempio se il fatto è commesso in presenza di minori.
Bisogna inoltre ricordare che, indipendentemente dai profili ora enunciati, tra i coniugi vige il dovere reciproco di assistenza materiale e morale e anche la violazione di quest’obbligo costituisce un reato. Al di fuori di queste ipotesi di violenza o negazione del sostentamento, i rapporti economici tra i coniugi non aprono la strada a reati, non essendoci altri obblighi penalmente rilevanti. In altre parole, il marito non è obbligato a dare alla moglie i soldi richiesti (o viceversa), ma se la negazione esprime violenza psicologica, abuso e coercizione allora integra un reato, pur quando soltanto attraverso il controllo economico e in assenza di atti più immediatamente individuabili.
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