Secondo l’esercito etiope il presidente dell’Organizzazione Mondiale della Sanità starebbe sostenendo politicamente e militarmente i dissidenti del Tigray. Le accuse
Il presidente dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, al centro delle accuse lanciate nelle ultime ore dall’esercito etiope. Accuse secondo le quali starebbe sostenendo politicamente e militarmente i separatisti della regione del Tigray.
Il capo dell’esercito, Berhanu Jula, ha affermato che Tedros appoggia il cosiddetto Fronte di liberazione popolare del Tigray (TPLF) nella sua offensiva armata contro il governo etiope:
“Mentre ha lavorato e continua a lavorare nei Paesi vicini per scongiurare e condannare gli attacchi, per loro si mobilita al fine di ottenere armi”,
ha affermato Berhanu nel corso di una conferenza stampa.
Malgrado l’effettiva mancanza di prove a sostegno di affermazioni così gravi, la circostanza ha immediatamente fatto scalpore e spinto in molti a evidenziare il passato di Tedros - di nazionalità etiope - come ministro della salute del Paese africano e un tempo a servizio del governo dominato proprio dai dissidenti del Tigray.
OMS, accuse da esercito etiope: “Fornisce armi a separatisti”
Tedros, che non ha risposto alle affermazioni del comandante dell’esercito,
è cresciuto proprio nella regione del Tigray, ed è stato ministro della salute dell’Etiopia dal 2005 al 2012, prima di venire eletto direttore generale dell’OMS nel 2017.
Ha fatto quindi parte del governo guidato dai dissidenti del Tigray prima del rovesciamento del 2018; da qui le accuse odierne.
In relazione agli scontri in atto sui territori, che vanno ormai avanti da oltre 3 settimane, l’ONU ha parlato apertamente di “crisi umanitaria in piena regola”.
Al momento la controversa e sanguinosa operazione militare del primo ministro etiope Abiy Ahmed (paradossalmente vincitore del Nobel per la pace) ha causato centinaia di morti e migliaia di sfollati.
Il governo etiope mira a fermare quelli che definisce “membri reazionari e canaglia” del TPLF, e non i civili del Tigray; ma in molti stanno facendo notare come questi ultimi stiano perdendo il lavoro o venendo addirittura arrestati solo per la loro provenienza.
A complicare una situazione già di per sé critica è il fatto che la regione sta attraversando un assoluto blackout comunicativo da settimane, dopo che le incursioni militari subìte ne hanno compromesso la quotidianità e i più essenziali servizi.
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