Patto di non concorrenza: caratteristiche, durata, nullità e violazione

Simone Micocci

17 Settembre 2018 - 16:08

L’imprenditore, per tutelare il patrimonio e l’attività della propria azienda, può stipulare con il dipendente un patto di non concorrenza. Vediamo quali sono i vincoli e gli obblighi del lavoratore in caso di scioglimento del rapporto di lavoro.

Patto di non concorrenza: caratteristiche, durata, nullità e violazione

Il patto di non concorrenza è quello strumento - disciplinato dall’articolo 2125 del Codice Civile - grazie al quale le aziende possono tutelarsi dai comportamenti scorretti che di cui i propri dipendenti potrebbero “macchiarsi”, anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro.

Potrebbe accadere, infatti, che un lavoratore dipendente una volta interrotto il rapporto con l’azienda utilizzi le competenze acquisite e i processi di lavorazione appresi nel corso dell’attività lavorativa, per aprire una propria attività o per lavorare presso un’altra impresa in concorrenza con quella del precedente datore di lavoro.

In tal caso si verrebbe a creare una sorta di conflitto di interessi: da un lato infatti, avremo l’interesse del datore di lavoro a non vedere la propria attività compromessa da altri imprenditori concorrenti, mentre dall’altro quello del lavoratore ad agire liberamente, cercando un nuovo lavoro o iniziando una nuova attività.

Il patto di non concorrenza, quindi, viene stipulato proprio al fine di evitare situazioni conflittuali mediante una disciplina in grado di regolare gli interessi in gioco.

Tuttavia bisogna fare una distinzione tra la differenza che c’è tra il patto di non concorrenza per il dipendente e quello che invece riguarda l’ex dipendente. Nel primo caso, infatti, il divieto di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con il proprio datore di lavoro scatta automaticamente con la stipula del contratto di lavoro subordinato (per saperne di più leggi anche-Obbligo di fedeltà lavoratori: in cosa consiste?).

Nel caso dell’ex dipendente, invece, il divieto di concorrenza con l’ex azienda va rispettato solamente in presenza di uno specifico accordo scritto.

Vediamo quindi cos’è il patto di non concorrenza, quali sono gli elementi che devono sussistere affinché questo sia valido e cosa succede nel caso di violazione dello stesso in questa guida dedicata.

Che cos’è il patto di non concorrenza

Il patto di non concorrenza è un accordo facoltativo tra datore di lavoro e lavoratore che può essere concluso prima o dopo la sottoscrizione del contratto di lavoro; è volto a regolamentare l’attività del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro (come previsto dall’art. 2125 del codice civile).

Si tratta di un vero e proprio contratto a prestazioni corrispettive con il quale il lavoratore si obbliga a non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con il precedente imprenditore. Il patto può riguardare qualsiasi attività che possa competere o concorrere con quella dell’ex datore di lavoro.

Affinché sia valido il patto di non concorrenza deve soddisfare determinate caratteristiche e limiti.

Come prima cosa è importante sottolineare che può essere stipulato solo con dipendenti assunti con contratto di lavoro subordinato o parasubordinato. Inoltre, per la sua validità, deve avere i seguenti requisiti:

  • stipulato in forma scritta;
  • previsione di un corrispettivo commisurato agli altri elementi del patto. Per intenderci il corrispettivo dovrà essere tanto maggiore a seconda della posizione gerarchica del lavoratore, dell’ampiezza del vincolo territoriale, dell’insieme delle attività individuate come concorrenti e della durata del patto;
  • indicazione dell’oggetto;
  • durata: Il patto di non concorrenza non può avere durata superiore a 5 anni per i dirigenti, 3 anni negli altri casi. Nel caso in cui il patto preveda una durata maggiore questa è automaticamente ridotta ai termini previsti dalla legge (appunto cinque o tre anni);
  • estensione territoriale: il patto in questione deve specificare l’operatività territoriale del divieto (città, regione, nazione). L’estensione del vincolo deve sempre tener conto del raggio di azione e dimensioni dell’impresa per la quale il dipendente lavorava. In alternativa, o in aggiunta, è ammessa l’indicazione delle imprese concorrenti con il quale l’ex dipendente non può lavorare o collaborare.

Per quanto riguarda il momento in cui il patto di non concorrenza deve essere stipulato dalle parti la legge non ne prevede uno specifico; ciò quindi può avvenire contestualmente all’assunzione, ma anche durante - o persino alla cessazione - il rapporto di lavoro.

L’importante quindi è che il patto sia in forma scritta e che ne venga specificato concretamente l’oggetto; a tal proposito la giurisprudenza ha stabilito che l’oggetto non può riguardare delle attività estranee al settore produttivo o commerciale in cui opera l’azienda, dal momento che in tal caso non si potrebbe parlare di concorrenza.

Casi di nullità

Oltre a quest’ultimo punto, il patto di non concorrenza ha altri limiti stringenti, il mancato rispetto dei quali può comportarne la nullità.

Esso è infatti nullo qualora imponga restrizioni o limiti tali da limitare fortemente la concreta professionalità del lavoratore sino a comprometterne ogni potenzialità reddituale. Inoltre è da considerare nullo quel patto in cui non è descritta chiaramente la limitazione territoriale.

È nullo, altresì, qualora preveda un compenso simbolico o comunque non adeguato all’impegno richiesto. Come anticipato, infatti, il compenso deve essere commisurato in relazione alla qualifica professionale del lavoratore, ai datori di lavoro individuati come concorrenti, al vincolo territoriale ed alla durata.

Modalità di pagamento del compenso

Per quanto riguarda le modalità di pagamento del corrispettivo sono ritenuti leciti i pagamenti:

  • con cadenza mensile (in tal caso il compenso dovrà essere specificatamente menzionato nella busta paga);
  • corrisposti interamente alla cessazione del rapporto di lavoro (insieme alle competenze di fine rapporto);
  • rateali a partire dalla cessazione del rapporto e per tutta la durata del vincolo;
  • una tantum allo scadere del vincolo;
  • in forma mista, come concordato dalle parti.

Violazione del patto di non concorrenza

Il datore di lavoro, per tutelarsi nel caso di violazione del patto da parte del lavoratore, può inserire una clausola penale fatto salvo il diritto al risarcimento del danno ulteriore che egli deve provare di aver subito a seguito della violazione del patto.

Ad ogni modo, in caso di inottemperanza degli obblighi assunti da parte del lavoratore, l’imprenditore potrà agire in giudizio procedendo secondo le seguenti modalità:

  • risolvere il patto di non concorrenza per inadempimento, chiedendo la restituzione del corrispettivo pagato e il risarcimento dei danni subiti a causa dell’attività svolta dall’ex dipendente in concorrenza;
  • chiedere l’adempimento del patto di non concorrenza. In questa ipotesi, il datore di lavoro è legittimato ad attivare la procedura cautelare d’urgenza affinché il giudice ordini al lavoratore di cessare lo svolgimento dell’attività concorrenziale (inibitoria).

Iscriviti a Money.it